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SCHEDE
L'oro in tavola
Risotto, cervellada, costoletta e pizza del color dell'oro
Nella Piana di Navelli, vicino all'Aquila, si coltiva il
Crocus sativus, nato dai semi trafugati da un frate domenicano dall'oriente
e dagli stimmi del fiore si estrae il preziosissimo zafferano che, stranamente,
non compare nella cucina abruzzese. Per trovarne traccia si deve scendere
all'amarissimo Adriatico dannunziano, a Vasto, dove si prepara lo "scapece"
di pesce fritto e marinato in aceto allo zafferano. Risalendo la costa
lo zafferano tinge d'oro antico il brodetto marchigiano fino a Porto Recananti,
più su interviene il pomodoro a tingere di prepotente rosso cupo
i brodetti dal Conero alla Romanga.
Lo zafferano ha una tradizione millenaria entrando già nella colorazione
del "curry" indiano, poi nella cucina araba e quindi nelle più
interessanti preparazioni mediterranee; fino all'arrivo del pomodoro che,
con il suo prepotente colore, ha prevaricato le tenui sfumature giallo
dorate dello zafferano. Il particolare colore d'oro antico colpì,
agli albori della sua storia, la fantasia dell'uomo che lo utilizzò
anche per tingere veli e tessuti dalle toghe degli antichi egizi, ai fili
di lana intrecciati nei preziosi tappeti orientali; famoso come la porpora,
ma assai meno caro, lo zafferano tingeva i sandali dei babilonesi e dei
re assiri e la tunica che le spose portavano sotto la veste nuziale indotte
dalla credenza che lo zafferano avesse proprietà afrodisiache...
non si sa mai! Nelle miniature lo zafferano sostituiva a volte l'oro,
con esso si tingeva il cuoio e il vetro desinato alle vetrate delle cattedrali;
a questo proposito il Giulini riporta la patetica storia d'amore legata
alla nascita del più celebre piatto ambrosiano. La duplice funzione
di colorare e insaporire i cibi è presente in un'altra preparazione
ambrosiana: preparata con lardo fresco tritato, impastato con grana grattugiato
e insaporito con spezie fra le quali lo zafferano che conferiva il caratteristico
colore alla "cervellada" che ha dato il nome ai "cervellee",
antenati dei salumieri, che lo vendevano alle massaie come sapida base
del soffritto
Un altro elemento che evidenzia la tendenza manifestata da sempre dai
milanesi a preferire la signorilità dell'oro all'esuberanza del
rosso, che non compare quasi mai nei piatti della tradizione ambrosiana,
è la costoletta. Già in un documento milanese del dodicesimo
secolo viene narrata una curiosa lite tra il prevosto e l'abate della
basilica di S. Ambrogio che pretendeva di cambiare le nove portate, divise
in tre servizi, e precisamente modificare i "lombolos cum panitio"
antenati della costoletta alla milanese impanata e fritta per assumere
l'aspetto di una vivanda dorata: semplice surrogato dei cibi rivestiti
di polvere d'oro serviti alle tavole dei ricchi come rimedio per non meglio
identificati disturbi cardiaci.
Anche i pizzaioli dell'APES hanno reso omaggio a Milano presentando all'EXPO
FOOD, Salone Internazionale del Sistema Alimentare, la "Pizza Milano"
nella sua veste solare che la riconduce alle più antiche tradizioni
della pizza prima dell'invasione del rosso pomodoro onnicoprente.
Gianni Staccotti
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La pizza Milano
Sciogliere nella panna liquida lo zafferano in polvere. Disporre sul disco
di pasta un fondo di mozzarella cubettata, una spolverata di grana grattugiato,
gorgonzola e salsiccia a tocchetti. Mettere in forno per due minuti, togliere
e spruzzare sulla pizza la panna con lo zafferano a chiazze e completare
la cottura.
Il risotto giallo
"L'invenzione, poiché fu proprio un'invenzione, si deve a
un garzone di Valerio di Fiandra, maestro che terminò in Duomo
la vetrata di Sant'Elena lasciata incompiuta da Rainaldo d'Umbria. Maestro
Valerio era tanto abile nell'arte sua quanto in quella di vuotare boccali
di buon vino, per cui sembra che il merito delle sue vetrate, piuttosto
che a lui, debba toccare al garzone di cui parliamo, il quale, per aver
saputo con lo zafferano saggiamente dosato in aggiunta ai colori ottenere
effetti meravigliosi, per celia era chiamato dal maestro con il soprannome
di zafferano. Zafferano nel rosso, zafferano nell'oro e perfino nel giallo
d'argento. Insomma, zafferano dovunque. 'Un giorno o l'altro - gli ripeteva
il maestro convinto di dire un'enormità, finirai per metterlo persino
nel risotto' Ché allora il risotto si faceva bianco. Zafferano
ci pensava e stava zitto. Ma il giorno degli sponsali della figlia del
maestro Valerio, il giovanotto, d'accordo con l'oste del bettolino della
Cascina del camposanto, perché il pranzo si tenne nel cantiere
dietro il Duomo, portò proprio in tavola un bel risotto color dell'oro.
Passato lo sbalordimento provocato dall'inattesa apparizione, il primo
ad esserne entusiasta, da quel sommo esperto del colore che era, fu proprio
maestro Valerio. Era nato il risotto alla milanese nel mese di settembre
dell'anno 1574."
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