SCHEDE

Riportiamo in tavola il frumento integrale

Si racconta che ai tempi di Santa Lucia, e siamo nel terzo secolo dell'era cristiana, a Siracusa fosse in atto una tremenda carestia e il popolo rischiava di morire di fame, per cui all'arrivo di un carico di grano non si perdette tempo a macinarlo e fare il pane ma si decise di mangiarlo così com'era, di cuocerlo cioè intero. Questa è la leggenda che si racconta in Sicilia quando si parla dell'origine di una tipica preparazione gastronomica che si consuma il tredici di dicembre festa di Santa Lucia. Ma la tradizione di cuocere il grano intero è molto più antica e risale prima al mito greco di Demetra, dea della terra coltivata, e poi presso i Romani al culto di Cerere dea delle messi, alla quale si offriva frumento bollito come cibo cerimoniale. Ci troviamo di fronte ad una delle tante leggende cristiane innestatesi direttamente sui miti pagani precristiani che non si sa esattamente quando hanno avuto inizio.
Si chiama cuccìa la preparazione dolce siciliana a base di grano bollito che risale a tempi antichissimi, a prima che in Sicilia compaprisse il più grande prodotto di trasformazione del grano, la pasta secca portata dagli Arabi.
Un tempo il grano, ma anche altri cereali, era quindi impiegato in cucina direttamente senza alcuna trasformazione, semmai era prima frantumarlo nei mortai di pietra. Le cene dei Romani molto spesso erano a base di cereali frantumati e poi cotti; prima il farro ereditato dagli Etruschi e poi il grano, importato dall'Egitto. Inizialmente il grano era utilizzato soltanto dalle classi elevate, poi, con il passare degli anni, il suo consumo aumentò, prendendo il posto del farro, che pure rimase un alimento base molto importante. Ai tempi dell'austero Catone la graneam triticeam era di consumo quotidiano; dice il filosofo: "Si metta in un mortaio pulito mezza libbra di frumento scelto, si lavi bene, si scortichi bene. Poi si versi in una pentola, si aggiunga acqua pura e si cuocia. Quando è cotto, si aggiunga del latte a poco a poco, finché sarà diventata una crema densa".
E così ancora, o quasi, a Santagata di Puglia, dove si fanno i "cicci cotti". Durante la notte dei morti si mette in una pentola il grano intero già ammollato e si fa cuocere lentamente come quando si cuociono i legumi, aggiungendo acqua di volta in volta, fino a quando non si spappola e caccia l'amido; poi il giorno dopo quando è rassodato viene condito con olio e sale oppure trattato con vincotto (che è uno sciroppo di fichi), succo di melagrana, pezzetti di cioccolato e noci.
La cuccìa, sempre come cibo cerimoniale, pur mantenendo come ingrediente principale il frumento intero, risale la penisola e si modifica; la cuccìa si fa anche in Calabria, ma è già un piatto salato, ed arriva fino alla provincia di Salerno dove diventa il trionfo dell'armonia tra cereali e legumi. A Poderìa, paese di collina geograficamente molto vivino alla Calabria dove cresce soltanto il grano tenero, si mettono a bagno assieme tutti i grani conosciuti, sia di legumi che di cereali e poi si lavano, si scolano e si fanno bollire in molta acqua per un paio d'ore con cipolla, aglio e pecorino grattugiato; quindi si sala e si pepa e si condisce con olio extravergine d'oliva. Porta sempre il nome di cuccìa e si prepara una volta all'anno, per Santa Lucia. In Campania, il grano intero ammollato, trova impiego anche nella pastiera napoletana, che è diffusa fino alla provincia di Potenza ed è il dolce pasquale per eccellenza.
Nelle vaste pianure della Pugvlia, invece, dove si coltiva quasi esclusivamente grano duro, e dove il frumento cotto non è cibo cerimoniale, non si cuoce il frumento intero, ma u grane sfegghjate di Bari o il grano stumpatu di Lecce, ultimamente recuperato alla grande, al punto che un ristorante di Maglie che serve piatti tradizionali ne ha fatto un suo cavallo di battaglia. Fu riscoperto soprattutto durante il secondo conflitto mondiale, quando i contadini erano obbligati a portare il grano all'ammasso e andare al mulino era un reato. Allora furono recuperati gli antichi grandi mortai di pietra, gli stompi, un tempo usati anche per brillare anche il miglio. A casa dei contadini il grano franto (cranu stumpatu) si faceva spesso ed una volta tolto dallo stompu si passava al setaccio per la farina d'orzo le cui maglie erano meno fitte di quelle per la farina di grano. Allora si pestava anche più volte ed ogni volta si passava al setaccio, fino ad ottenre una farina abbastanza fine per fare la pasta, ancora oggi il cibo che procura la massima soddisfazione. Certe donne cuocevano il grano, lo condivano con il sugo di pomodoro preparato contemporaneamente in altra casseruola e lo lasciavano insaporire. Poi lo versavano in un tegame alto smaltato e lo sistemavano in una sporta di vimini; se lo caricavano in spalla ancora caldo e lo portavano in campagna per il pasto della famiglia. Qualcuno per ricavare la farina, anziché il normale pestatoio di legno, usava la palamina, un paletto di ferro che nelle cave serviva per preparare i buchi delle le mine.
Il grano franto non ha bisogno di ammollo. Si prepara il soffritto e poi si aggiunge l'acqua; quando bolle si cala il grano, come fosse riso, e si fa cuocere. Con quello avanzato si può fare lo scarfatu cu li morsi, ma non parliamone qui per non rischiare di uscire troppo dal seminato.
Si intuisce quale frumento si può cuocere intero e quale dev'essere prima franto o quanto meno ammaccato. Chiariamo che i tipi di frumento più importanti sono il grano duro ed il grano tenero; il grano duro ha spiga più tozza e cariossidi più dure, vitree, gialline e non farinose, che si spezzano a stento fra i denti; il grano tenero ha spiga più sottile e più lunga, con cariossidi fragili e mandorla (interno della cariosside) farinosa. La regola, quindi dovrebbe essere la seguente: si cucina intero il grano tenero ammollato e pestato quello duro; diversamente, nelle ricette in cui si adopera il grano duro intero, l'ammollo dura tre o quattro giorni, ed in qualche posto dove il grano tenero non si produce, come a Casalvelino in provincia di Salerno, per fare la pastiera napoletana si adopera il grano duro franto. Ad ogni modo, per evitare eccessivi rompicapo, il grano ammollato si può comprare già pronto in barattoli.
Io non faccio la cuccìa, né quella siciliana né quella calabrese, ma ogni tanto mi piace preparare una minestra di grano integrale e non potendo adoperare quello duro, per mancanza del necessario brillatoio, adopero il grano tenero che metto a bagno la sera prima di cucinarlo. L'ultima volta l'ho fatto con i broccoli verdi, che non a tutti piace vedere a pezzi nel piatto; in tal caso, una volta stufati con olio e scalogno, conviene passare i broccoletti al frullatore, rimetterli nel tegame e poi aggiungere il frumento già cotto. Si può anche frullare la zuppa già pronta: non diventa proprio cremosa ma il grano franto si può ugualmente servire con crostini di pane abbrustoliti in forno. Il cavolbroccolo può essere sostituito con il cavolfiore.
Oppure si può unire nella stessa pentola frumento e fagioli cannellini che hanno già subito una mezza cottura, salare e far cuocere ancora per un'oretta a fuoco dolce, aggiungendo acqua calda quando necessario, e servire la zuppa condita con abbondante olio d'oliva e pepe franto al momento o peperoncino in polvere. Sotto i denti si sentirà la gradevole consistenza del frumento ed allo stesso tempo la pastosità dei fagioli.
Che poi con il grano intero, o franto, si possono preparare tante ricette quante se ne preparano con il riso; pensiamo al grano alla marinara (ai frutti di mare), al timballo di grano (con grano ammollato, carne macinata, pomodoro e mozzarella), al grano con patate e cozze e così via da leccarsi le dita subito.


Giorgio Creti


Torna all'Indice delle schede


Torna all'Indice delle rubriche