SOSTE GOLOSE

SOSTANZE CHIMICHE: SONO DAVVERO UN RISCHIO?
Esperti tossicologi rassicurano i cittadini: inutili i falsi allarmi, le norme ci tutelano

Milano, 15 novembre 2005 - Pesticidi nel piatto, sostanze tossiche nel sangue, dolcificanti cancerogeni: quanto c’è di vero nelle notizie che riguardano la sicurezza dei cibi che mangiamo e degli oggetti che ci circondano?Viviamo davvero in un mondo incontrollato, esposti a gravi rischi per la nostra salute?
Per far luce su questi delicati argomenti, il MURCOR, nuovo Centro Interdipartimentale di Ricerca per la Caratterizzazione del Rischio Tossicologico dell’Università degli Studi di Milano, ha deciso di organizzare un incontro sul tema “ Realtà e miti del pericolo chimico”. L'obiettivo è meglio comprendere, attraverso relazioni di esperti tossicologi, la reale pericolosità dell’esposizione della popolazione a sostanze chimiche.

Sempre più spesso allarmi sui rischi per la salute derivanti dall’esposizione a sostanze chimiche industriali, senza opportune analisi scientifiche, generano confusione e panico ingiustificato. Se, da una parte, una maggior attenzione verso questo tipo di rischio costituisce un fattore positivo per la salvaguardia della salute pubblica, un’informazione non scientificamente corretta può portare pericolose conclusioni.

Secondo i tossicologi milanesi, è bene sapere che:
1) in un mondo che vive di chimica e che della chimica non può fare a meno, l’esposizione a sostanze chimiche è inevitabile;
2) l’equazione “esposizione a sostanze chimiche = avvelenamento” è scientificamente sbagliata;
3) la quantità dell’esposizione è il vero punto critico nella valutazione del rischio tossicologico.
L’uso di sostanze chimiche non è mai fine a se stesso, ma strettamente correlato ad un beneficio che dall’uso della chimica stessa ne deriva. Una adeguata valutazione del rapporto tra rischi e benefici deve essere, dunque, presa nella dovuta considerazione prima di arrivare a drastiche conclusioni.

Alcuni esempi: un’Organizzazione Non - Governativa ha condotto in Italia un’indagine sulla presenza di residui di agrofarmaci nella frutta e negli ortaggi acquistati in normali punti vendita. Soltanto nel 2,2% dei campioni esaminati (più di 3.600) i residui superavano i limiti legali. Si badi che tali limiti sono già largamente protettivi per il Consumatore, perché sono largamente inferiori ai livelli di tossicità dimostrata. Questo risultato molto positivo significa che in Italia l’uso degli agrofarmaci è ben regolamentato, la legge è generalmente rispettata e che frutta e verdura possono essere tranquillamente consumati senza rischi per la salute. L’informazione tuttavia è stata trasmessa in maniera allarmistica: “pesticidi nel piatto”, “mangiamo pesticidi e verdura”, ”la frutta è avvelenata”.
Ancora, un’associazione indipendente ha analizzato il sangue di 18 volontari (appartenenti al mondo dello spettacolo e politico) riscontrando diversi inquinanti (mediamente 47 a campione) quali metalli pesanti, policlorobifenili, diossine, agrofarmaci clorurati, ecc. Questo senza nemmeno riportare i livelli riscontrati, e senza tenere in considerazione che gli strumenti analitici attuali permettono di determinare anche tracce infinitesimali di sostanze esogene (ed endogene). Inoltre, non tutti gli xenobiotici presenti nell’ambiente e che possiamo ritrovare nel nostro sangue derivano necessariamente da processi di sintesi e da attività umane, mentre moltissime sostanze chimiche presenti nell’ambiente sono di origine naturale. Ma il messaggio che questa rilevazione ha generato è: “Siamo tutti avvelenati dalle sostanze chimiche”.

Recentemente uno studio ha annunciato la cancerogenicità del dolcificante più diffuso al mondo, sulla base di uno studio effettuato sui ratti. La fonte non era stata sottoposta al vaglio scientifico e dunque al riscontro della comunità internazionale, ma questo non ha impedito che l’allarme venisse diffuso con grande risonanza, a potenziale detrimento di chi, come obesi e diabetici, si avvale del dolcificante per prevenire patologie gravi.

Una responsabilità cruciale per il Legislatore, dunque, è acquisire e diffondere alcuni semplici concetti:
? la quantità (livello di esposizione) è il punto critico nelle valutazioni del rischio tossicologico;
? le sostanze presenti volontariamente o non negli alimenti e nelle acque potabili sono regolamentate sulla base di legislazioni nazionali e internazionali che determinano la dose giornaliera ammissibile (DGA o ADI), che può essere assunta per tutta la vita senza che ne derivi un rischio per la salute.

E’ dunque di fondamentale importanza far comprendere alla popolazione la differenza fra rischi reali e rischi percepiti: ad esempio, se la presenza di residui di agrofarmaci è un rischio percepito, la deficienza nutrizionale che potrebbe derivare da una minore diffusione di frutta e verdura è invece un rischio reale.

In conclusione, dunque, il processo di gestione del rischio chimico può e deve essere migliorato:
? organizzando una campagna di formazione ed informazione, supportata da Esperti, per spiegare alla popolazione che “chimico” non è equivale a “pericolo” come “naturale” non equivale a “sicuro”;
? prendendo decisioni basate sulla valutazione del rischio e non del solo pericolo;
? armonizzando le procedure non solo fra altre Nazioni (Giappone, USA) ma anche all’interno dell’Europa e dei Comitati di una stessa Nazione;
? scegliendo gli Esperti che devono lavorare nei vari Comitati sulla base del curriculum delle loro attività;
? promovendo iniziative per la formazione di giovani Ricercatori nell’ambito della tossicologia che siano in grado di valutare scientificamente il rischio.

Ufficio stampa
Encanto comunicazione
Cristina Cobildi – Ursula Beretta
tel.02/29523460 – fax 02/29524983