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SALUTE
E BENESSERE
Il taglio delle calorie realizzato negli USA dai colossi del junk
food si rivela un fallimento. L’unica soluzione è cambiare
le abitudini alimentari
La guerra contro le calorie in eccesso non può essere lasciata
in mano alle aziende. Negli Stati Uniti infatti hanno il compito –
attraverso la Healthy Weight Commitment Foundation, la fondazione lanciata
nel 2010 da 16 dei più importanti marchi USA e non solo –
di abbassare la triade mortale composta da zuccheri, sali, grassi. La
Fondazione, partita con un certo slancio, a quanto pare è oggi
del tutto arenata e soprattutto poco utile.
In seguito al continuo allargarsi della circonferenza media degli americani,
e all’aumentare del loro peso, 16 autentici colossi (Bumble Bee
Foods, Campbell Soup Company, ConAgra Foods, General Mills, Inc., Hillshire
Brands, Kellogg Company, Kraft Foods Group/Mondelez, Mars, Incorporated,
McCormick & Company, Inc., Nestlé USA, PepsiCo, Inc., Post
Foods,Coca-Cola Company, Hershey Company, J.M. Smucker Company, Unilever)
si erano riuniti nella Foundation, annunciando il solenne impegno, entro
il 2012, di rimuovere dai cibi venduti qualcosa come un trilione di calorie,
che sarebbero diventate 1,5 entro il 2015, rispetto al 2007. Stando ai
dati resi noti dalla stessa nello scorso mese di gennaio, sempre rispetto
al 2007, nel 2012 le calorie tolte dal mercato sarebbero state addirittura
6,4 trilioni, cioè avrebbero venduto il 10,6% di calorie in meno
rispetto al 2007, pari a 78 calorie per persona in meno al giorno: un
contributo molto importante alla lotta all’obesità.
Ma uno studio indipendente, condotto di nutrizionisti dell’Università
del North Carolina, mostra quanto la realtà sia diversa, e quanto
le cifre roboanti sparate dalla fondazione si traducano poi in effetti
di ben scarsa entità, se non addirittura nulla, su adulti, bambini
e ragazzi, soprattutto su quelli più esposti alla pubblicità,
al junk food e alle malattie metaboliche. I ricercatori hanno infatti
calcolato che nel 2007-2008 la percentuale di obesi era del 34%, e che
nel 2011-2012 era addirittura salita, toccando il 35%; tra i bambini e
i ragazzi di età compresa tra 2 e 19 anni, la percentuale era del
16,9% nel 2007-2008, ed era immutata nel 2011-2012.
Secondo gli autori, il fatto che l’immissione di un numero minore
di calorie sul mercato non si sia tradotta in un calo ponderale è
dovuta a un motivo facilmente intuibile: le abitudini alimentari malsane
restano inalterate. In altre parole – hanno commentato sull’American
Journal of Preventive Medicine – togliere calorie come risultato
di riformulazioni di dolci, snack e soft drink, che hanno portato a un
abbassamento del contenuto in zuccheri, grassi e sali di molti cibi, di
per sé, non serve. Andando a vedere i risultati, dal punto di vista
delle abitudini alimentare, emerge tutto il fallimento dell’iniziativa.
Analizzando i dati di oltre 61.000 famiglie con bambini e ragazzi di età
compresa tra 2 e 18 anni, gli autori hanno infatti dimostrato che le aziende
hanno venduto solo 66 calorie in meno per persona al giorno, e non 78
come avvenuto nella popolazione generale. Inoltre, anche se alcuni prodotti
oggi sono meno calorici di qualche anno fa, il marketing spinge soprattutto
bambini e ragazzi a consumare una somma di alimenti il cui bilancio calorico
e nutrizionale continua a essere pessimo. Ridurre quindi le calorie degli
alimenti considerati junk food e migliorarne la composizione nutrizionale
non basta, soprattutto se la quantità di merendine e snack è
eccessiva o se si aggiungono anche patatine, bibite, panini ecc. Non è
proprio la soluzione migliore e un impegno aziendale serio per diminuire
l’obesità infantile.
(Agnese Codignola - www.ilfattoalimentare.it)
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