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Influenza aviaria, 32 mila tacchini abbattuti a Rovigo. Quasi impossibile la trasmissione del virus H5N8 dai polli all’uomo

La notizia dell’abbattimento di 32 mila tacchini in un allevamento di Porto Viro in provincia di Rovigo, dopo avere rilevato la presenza del virus dell’influenza aviaria H5N8, è stata ripresa da molti giornali e da decine di siti internet. La parola aviaria in Italia fa ancora molta paura perché nel 2005, dopo le dichiarazioni fantasiose di ministri incompetenti alla ricerca di visibilità e di giornalisti inesperti, la notizia dell’influenza ha occupato per mesi le pagine dei giornali e gli schermi televisivi. A fronte di questa situazione abbastanza kafkiana, il settore ha subìto un calo di vendite incredibile, anche se in Italia non si sono registrati episodi e non è morto un solo pollo.
Vediamo ora le vicende e di valutare la situazione di questi giorni. La doverosa premessa è che in alcune aree del sud est asiatico l’influenza aviaria è una patologia endemica e i virus vengono periodicamente esportati in altri Paesi, compresa l’Europa. Per questo esiste un sistema di monitoraggio internazionale che segue i percorsi dei virus dell’influenza aviaria. Il primo episodio attribuito a questo nuovo virus H5N8, è stato segnalato a gennaio di quest’anno nella Repubblica di Corea dove sono stati abbattuti 600 mila polli e anatre. Poi il virus in aprile è arrivato in Giappone (112 mila capi abbattuti) per trasferirsi in ottobre in Cina. In Europa il 4 novembre 2014 c’è stato il primo caso in Germania. Il patogeno è stato confermato nel Regno Unito e in quattro allevamenti di polli e uno di anatre nei Paesi Bassi dove oltre 200 mila capi sono stati abbattuti. L’ultimo episodio è quello di Rovigo del 15 dicembre dove sono stati soppressi 32 mila tacchini. Il fatto che un così elevato numero di capi siano stati eliminati non deve però impressionare, perché la malattia stessa provoca una mortalità molto elevata negli allevamento e poi la regola prevede che tutti gli animali siano abbattuti per contenere il rischio di diffusione. (Roberto La Pira - www.ilfattoalimentare.it)

 


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