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SALUTE
E BENESSERE
Federalimentare, tassare junk food inefficace e controproducente
La ipotizzata tassa su bevande alcoliche
e i cosiddetti junk foods continua a suscitare interesse. A cominciare
dal nutrizionista Andrea Ghiselli, Dirigente di ricerca e Responsabile
dell'ufficio comunicazione INRAN, che guarda all'ipotesi di tassazione
senza alcun entusiasmo.
''Non entro nel merito politico-economico di una tassazione del cibo perché
esula dalle mie competenze - dice - ma non si faccia in nome di un miglioramento
dell'alimentazione degli italiani perché non ha senso. Sono sempre
scarse le risorse che abbiamo a disposizione per la prevenzione e la corretta
educazione alimentare, ma una tassa discriminatoria potrebbe aumentare
la confusione, oltre ad essere regressiva. Non è corretto infatti
classificare gli alimenti in buoni e cattivi, cibi si e cibi no, ed è
cattiva educazione alimentare. Come facciamo inoltre a definire il junk
food? Alimenti troppo ricchi di grasso? Di calorie? Di zucchero? Di sale?
Allora è junk food tanta parte del patrimonio alimentare italiano,
dall'olio di oliva, al parmigiano, al prosciutto crudo. Terzo ma non ultimo:
il consumo di prodotti comunemente considerati junk food, come merendine
e bevande carbonate, rappresenta oggi una piccola parte dell'apporto calorico
della popolazione italiana, ma si vorrebbero additare come responsabili
dell'eccedenza ponderale''.
Intenzioni lodevoli, dunque, ma totalmente sbagliata la strategia, secondo
Ghiselli: ''Dobbiamo invece educare il consumatore ad adeguare la propria
alimentazione al proprio fabbisogno energetico, facendo discriminazione
tra sedentarietà e attività fisica, non fra alimenti buoni
e alimenti cattivi, cosa che inevitabilmente distoglierebbe l'attenzione
dallo stile di vita''.
Se la parola passa al mondo dell'industria, la reazione, come è
logico, è ancora più radicale. Filippo Ferrua Magliani,
Presidente di Federalimentare - l'associazione che rappresenta le tutte
le industrie produttrici del food&drink del nostro Paese - rifiuta
l'ipotesi di tassa di scopo destinata a compensare alcune misure di rimodulazione
della spesa sanitaria di competenza regionale per due diverse ragioni.
La prima, di principio: ''E' un'ipotesi - sottolinea in una nota - che
non ho difficoltà a definire malaugurata perché ritengo
- a nome dell'industria alimentare del Paese - che la tutela sanitaria
dei nostri cittadini non si persegue con le tasse ma con l'educazione
alimentare. Non esistono cibi cattivi di per sé: occorre adottare
corrette diete e modalità e frequenze di consumo''. La seconda
ragione è invece relativa alla sostanza e agli effetti della tassa
ipotizzata: ''Esiste una vasta letteratura scientifica che testimonia
l'inefficacia di politiche sanitarie rivolte a penalizzare alcuni consumi
alimentari ritenuti, impropriamente, come testimoniano molti esperti,
dannosi.
Oltre alla distorsione di concorrenza e al rinforzo delle spinte recessive,
purtroppo già operanti nel nostro Paese, il risultato sarebbe paradossale.
I consumatori, costretti a salvare i cosiddetti consumi anaelastici -
quelli dei quali, come la benzina, non si può fare a meno - di
fronte a un aumento dei prezzi di quelli elastici, dirotterebbero le proprie
scelte verso prodotti analoghi, più economici e di peggiore qualità,
intaccando in questo modo non solo il potere d'acquisto ma anche la qualità
della dieta''. (com/mpd - http://www.asca.it)
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