SALUTE E BENESSERE

Salute: in Italia peggiora per crisi, meno frutta e verdura più antidepressivi
È il quadro che emerge dalla nona edizione del Rapporto Osservasalute (2011)

Peggiora la salute degli italiani, che si trova ora più che mai sotto il fuoco incrociato della crisi economica. E sebbene gli effetti di questa congiuntura negativa si rendano manifesti con una certa latenza di tempo, salta già agli occhi come i connazionali, pressati dalle restrizioni finanziarie, comincino a risparmiare su azioni preventive di base quali una sana alimentazione e lo sport. Si rinuncia per esempio a frutta e verdura, che diventano un lusso per pochi. Per la prima volta dal 2005, si registra un calo del numero di porzioni consumate al giorno: 4,8% contro 5,7%, dato che era rimasto grosso modo stabile fino al 2008. È il quadro che emerge dalla nona edizione del Rapporto Osservasalute (2011).
Il report, un'approfondita analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell'assistenza sanitaria nelle Regioni italiane, è stato presentato oggi a Roma all'Università Cattolica. Pubblicato dall'Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane che ha sede presso l'Università Cattolica di Roma e coordinato da Walter Ricciardi, direttore dell'Istituto di Igiene della Facoltà di Medicina e Chirurgia, il lavoro è frutto del lavoro di 175 esperti di sanità pubblica, clinici, demografi, epidemiologi, matematici, statistici ed economisti distribuiti su tutto il territorio italiano, che operano presso Università e numerose istituzioni pubbliche nazionali, regionali e aziendali.
Gli italiani, dunque, se costretti a fare economia, tagliano dove possono e cercano risposte rapide al moltiplicarsi dei piccoli disturbi, in aumento anche in funzione del carico psicologico legato all'incertezza; sempre più spesso lo fanno a spese proprie, per continuare a svolgere le funzioni quotidiane in famiglia e al lavoro e a tener testa a tutti gli impegni sempre più stringenti. Risulta così aumentato il consumo di farmaci antidepressivi: l'uso di questi medicinali è cresciuto di oltre quattro volte in una decade, passando da 8,18 dosi giornaliere per 1000 abitanti nel 2000 a 35,72 nel 2010, come effetto anche di un disagio diffuso dilagante, scatenato dalle difficoltà socio-economiche.
Anche quest'anno prosegue, dunque, il trend di aumento del consumo di farmaci antidepressivi, già visto nel precedente Rapporto. L'aumento dell'utilizzo interessa, indistintamente, tutte le Regioni e dura dal primo anno della rilevazione (2000). Si noti però che le Regioni del Centro-Nord, in particolare Toscana e Liguria, ma anche la PA di Bolzano, l'Emilia Romagna e l'Umbria, risultano avere consumi nettamente superiori rispetto a quelle del Sud. L'unica eccezione a questo quadro è rappresentata dalla Sardegna, i cui consumi si avvicinano a quelli delle regioni del Nord. Va sottolineato che l’aumento dell'uso di antidepressivi in Italia è in linea con il trend di consumo europeo ed è almeno in parte spiegabile come effetto della crisi economica che strozza l'Europa, ha spiegato Roberta Siliquini, ordinario di Igiene all'Università di Torino.
Oltre al maggior consumo di antidepressivi tout court, si rileva sia in Italia sia negli altri Paesi europei una notevole crescita della percentuale di soggetti che hanno ritenuto nell'anno di avere necessità di aiuto psichiatrico o psicologico: la richiesta di aiuto è aumentata del 10% negli ultimi 5 anni (studio Eurobarometer), soprattutto tra gli over 40, lavoratori manuali e disoccupati. Ed è chiaro che se aumentano le consulenze psichiatriche e psicoterapeutiche, cresce di pari passo il consumo di antidepressivi. Ciò deriverebbe anche dalla tendenza, sia da parte dei medici di medicina generale (l'aumentato utilizzo di questa classe di farmaci per le forme depressive più lievi - ansia e attacchi di panico - è spesso appannaggio dei Mmg più che degli specialisti), sia da parte degli psichiatri, di prescrivere l'antidepressivo alla prima richiesta del paziente, che sempre più spesso ne fa domanda, erroneamente in cerca di una 'cura rapida' al suo disagio.
"Il rischio è di confondere e non approfondire se c’è un vero quadro clinico depressivo o una forma di disagio che può essere gestita con un percorso psicoterapeutico adeguato – ha spiegato Siliquini - così il farmaco rischia di divenire un po' una panacea per curare un disagio scaturito in realtà da eventi esterni e non da un quadro organico di malattia, eventi legati soprattutto alla situazione socio-economica attuale". Laddove la diagnosi non sia certa l'uso del farmaco rischia di essere inappropriato e, poiché si tratta comunque di terapie lunghe e complesse, è bene scoraggiarne il più possibile l'uso scorretto. (http://www.adnkronos.com)

 

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