RASSEGNA STAMPA

DIECI DOMANDE PER CAPIRE L’EXPORT DEL VINO ITALIANO IN USA….

Il mercato vinicolo negli Stati Uniti si e’ sviluppato progressivamente negli ultimi anni e continua a mostrare segni di indubbia crescita anche nel 2006. Dai dati dell’Italian Wine and Food Institute: le importazioni totali USA nel periodo gennaio-ottobre 2006 sono ammontate a 5.643.870 di ettolitri e 2,61 miliardi di dollari, contro i 5.233.850 di ettolitri e 2,39 miliardi di dollari nel corrispondente periodo del 2005, un incremento del 7,8% in termini di quantità e del 9,1% in termini di fatturato. Nel comparto degli spumanti, si rileva che le importazioni totali USA nel periodo gennaio-ottobre 2006 hanno fatto registrare un aumento dell’8,2% in quantità e del 10,2% in fatturato, passando a 367.160 ettolitri e 511,48 milioni di dollari da 339.360 ettolitri e 464,26 milioni di dollari nel corrispondente periodo del 2005.
Le importazioni dall’Italia, primo paese fornitore per volume e fatturato, contribuiscono in maniera determinante a questa espansione. I vini italiani sono molto apprezzati dai consumatori americani e continuano a conquistare dominanti posizioni di prestigio. Complessivamente, le importazioni USA di vini italiani nel periodo gennaio-ottobre 2006 sono ammontate a 1.737.950 di ettolitri per un valore di 845,2 milioni di dollari contro 1.626.180 ettolitri per un valore di 790,92 milioni di dollari nel corrispondente periodo del 2005. Nello stesso periodo, le importazioni dei soli “sparkling wines” (vini spumante) dall’Italia hanno fatto registrare un aumento del 3,7% in quantità e del 12,8% in valore, passando da 106.360 ettolitri e 60,48 milioni di dollari a 110.240 ettolitri e 68,22 milioni di dollari. (Tab. n. 1 e n. 2)

L’anno che si e’ appena concluso potrebbe passare alla storia per un duplice record: il superamento, per la prima volta in assoluto delle esportazioni vinicole italiane verso gli USA, del miliardo di dollari e il raggiungimento dopo tanto tempo, di oltre i due milioni di ettolitri in volume nell’export.

Per capire meglio le prospettive di sviluppo del vino in questo paese, abbiamo intervistato Leonardo Locascio, presidente di Wine Bow, azienda leader nell’importazione e distribuzione di vino italiano di pregio in USA.

- Signor LoCascio, quando ha iniziato l’attività di import negli Stati Uniti?
Mi sono trasferito dalla Sicilia negli Stati Uniti quando ero giovane. Dopo aver frequentato con successo un MBA in International Business presso l’Università di Chicago e dopo aver lavorato per alcuni anni nel campo della finanza a New York, ho deciso di iniziare creare la Wine Bow Inc. nel 1980.

- All'inizio della sua attività quali vini italiani importavate e da quali regioni?
Sono nato e cresciuto in Sicilia e sono partito da lì. Sono stato il primo a credere in questa regione e ad importare il Nero d’Avola in purezza. Mi ricordo che quando iniziai, commercializzavo solo tre aziende siciliane. A breve seguirono i vini pugliesi (Salice Salentino), il Cirò della Calabria ed i sardi. In una fase successiva, abbiamo puntato molto su Veneto e Umbria., poi via, via da tutt'Italia.
A differenza di altri importatori, che giustamente hanno investito fin dall’inizio su Toscana e Piemonte, noi abbiamo agito al contrario, investendo sulle regioni che solo alcuni anni fa, erano totalmente sconosciute sul mercato americano. E’ stato faticoso, ma ad oggi, siamo pienamente ricompensati.

- Qual è la struttura organizzativa della Wine Bow Inc. ?
La Wine Bow agisce come importatore/distributore. Questo significa che i vini delle aziende italiane, sono importati dalla nostra società, in esclusiva per tutto il territorio degli Stati Uniti. In sei mercati specifici, (New York, New Jersey, Pennsylvania, Washington DC, Connecticut e Massachussets) operiamo come distributori, quindi in questi mercati vendiamo direttamente a ristoranti ed enoteche. Nel resto del territorio nazionale, abbiamo creato collaborazioni e partnership, per commercializzare i nostri vini, con uno o al massimo due distributori per ogni singolo stato. In totale la società conta quattrocento addetti che lavorano direttamente nell’organigramma aziendale, di questi il 50% è composto dal reparto vendite, il resto è suddiviso tra i reparto contabile - amministrativo e logistico (stoccaggio, spedizione ecc…).


- Quali sono i numeri del vostro import di vino italiano ?
Nel 2006 abbiamo raggiunto 1 milione di cartoni, circa 12 milioni di bottiglie. In termini di valore monetario, 185 milioni di dollari di ricavi tra attività di importazione e distribuzione. Ad oggi abbiamo rapporti commerciali con 70 cantine italiane ed una gamma di oltre 3000 etichette da tutto il mondo.

- Secondo la sua esperienza da importatore in usa, mi può descrivere lo sviluppo del vino italiano negli ultimi 15 anni?
Esistono diversi fattori che hanno giocato un ruolo importante per la rinascita del vino italiano negli States. Anche se è un po’ scontato dirlo, in generale, è migliorata la qualità del vino. Vini meno aggressivi, meno tannici, più equilibrati, adatti al palato americano, sono stati importati dall’Italia.
La gastronomia e la ristorazione italiana sono divenute sinonimi di qualità e life style, al pari di tutti gli altri prodotti importati dal nostro paese. Già da qualche anno, i produttori italiani hanno cambiato il loro approccio al mercato, sono divenuti business e marketing oriented: giovani, dinamici, che parlano perfettamente l’inglese.
Rispetto ai processi di produzione, abbiamo visto l'affermarsi delle barriques sia nei vini bianchi che nei rossi. Dopo aver raggiunto l'apice circa 10 anni fa, l'uso delle barriques ha cominciato ad attenuarsi per entrambe le tipologie. Mi vengono in mente, i vini piemontesi ad esempio, per i quali si sta tornando a botti più grandi e comunque a meno uso di barriques. Queste, sono come il sale, in piccole dosi condiscono bene ma se si esagera rovinano il piatto, in questo caso il vino. Inoltre, da molti anni, la Winebow ha da sempre creduto nei vini del centro-sud, in questo mercato abbiamo agito da pionieri. Dalla Puglia, al Molise, dall'Umbria/Lazio, alla Sardegna, dalla Campania alla Sicilia. Oggi e' gratificante vedere che molte carte di vini dedicano ampio spazio al Sud. Un altro grande cambiamento è avvenuto con l’affermarsi dei vitigni autoctoni. Abbiamo visto crescere Barbera e Dolcetto, Cortese di Gavi e Vermentino, Nero d'Avola e Primitivo, Aglianico e Montepulciano, Cannonau e Fiano di Avellino e Greco di Tufo, ma tanti altri ancora. Abbiamo anche visto apparire e sparire vini che avevano il solo pregio di essere autoctoni ma che non erano in sintonia con i gusti moderni, penso allo Schioppettino ed al Refosco, al Verduzzo ed al Sussumaniello.

- Crede che il consumatore americano possa essere influenzato da un vino Doc e/o Docg al momento dell’acquisto, e sia disposto a pagare un prezzo più alto per queste tipologie ?
Gli americani, sono tutto sommato un popolo di neo consumatori di vino. Avendo a disposizione vini da tutto il mondo da poter acquistare, il consumatore medio, agisce secondo una logica riferita al prezzo in primis. Poi è orientato al vitigno menzionato sull’etichetta, in alcuni casi gli interessa il processo produttivo se ben spiegato (Amarone, Ripasso) e solo alla fine, è influenzato in minima parte dalla classificazione di qualità del vino italiano. Credo che il sistema delle Doc e Docg in Italia debba essere rivisto in modo sostanziale. A parte alcuni casi di eccellenza qualitativa, attualmente è molto difficile convincere un americano a spendere una somma maggiore per un vino Doc e Docg. Anche gli Igt sono acquistati per brand di marca e non per la qualità.


- Ad oggi, quali sono i vini italiani che si vendono maggiormente ed a quali prezzi? E per questo, quanto è disposto a pagare mediamente un vino per l’import negli Stati Uniti?
L’esplosione delle vendite del nostro vino negli ultimi anni, oltre che per i fattori menzionati in precedenza, è avvenuta anche perché l’Italia è divenuta leader nella produzione e commercializzazione di vini di fascia media, quelli che sullo scaffale al consumatore si vendono tra i 10 ed i 20 dollari. Vini come il Prosecco, il Dolcetto, in Nero d’Avola, il Primitivo, un Chianti Docg, vini che hanno una loro tipicità In questa fascia di mercato, oltre ad un buon mark-up (ricarico) sul prezzo di importazione, si possono fare anche grandi numeri in termini di fatturato.
Per quanto mi riguarda, il prezzo FOB (free on board, dalla cantina fino al porto italiano di partenza) che mediamente sono disposto a pagare si aggira tra i 2,50 ed i 6,00 euro. Tuttavia devo specificare che acquisto vini anche con un prezzo maggiore, se ne vale la pena.


- Quali sono le regioni italiane che secondo lei avranno un grande potenziale per l'export nel futuro?
Tutta l’Italia ha un grande potenziale che deve essere sfruttato al meglio. La Wine Bow ha sempre creduto e investito soprattutto nei vini del sud e continuerà a farlo. Tuttavia credo che anche Veneto, Umbria e Abruzzo siano in forte crescita.


- Insomma, come vede il futuro del vino italiano per l'export in USA?
Credo che il futuro sia ottimo. Tuttavia, anche se il "made in Italy" continua ad essere apprezzato, i ristoranti italiani sono i più diffusi ed in continuo miglioramento, il mercato è in espansione, bisogna stare vigili. Fino ad oggi la standardizzazione del gusto del vino, in generale, ha predominato anche sul mercato statunitense.
Bisogna quindi mirare a produrre vini di territorio, autentici con un buon rapporto qualità prezzo, ma anche buoni da bere. Il tipico che non è buono, non si può più vendere sul mercato americano.


Winebow Inc.
75 Chestnut Ridge Road
Montvale NJ 07645 - USA
Tel. 001 201 445 0620
Fax 001 201 445 5893
www.winebow.com


di Filippo Magnani
(pubblicato su Corriere Vinicolo del 19 febbraio 2007)