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QUALITA'
Tonno sostenibile»: interesse comune di consumatori e aziende
La certificazione di provenienza di Asdomar. I controlli
e la «classifica rompiscatole»
Bilanci di sostenibilità,
educazione alimentare tra i banchi di scuola, classifiche rompiscatole
e creazione di oasi marine. Sono alcune delle azioni fatte, fino adesso,
in Italia (secondo Paese per produzione in Europa, dopo la Spagna) per
rendere le scatolette di tonno più sostenibili. Una serie di cambiamenti,
cominciati negli ultimi anni, che coinvolgono non solo la selezione delle
razze e delle dimensioni dei tonni da vendere, ma anche delle metodologie
e i luoghi nei quali vengono pescati. Misure e limiti - dalla certificazione
di provenienza alla lotta contro alla cattura accidentale, fino alla pesca
con la canna di alcune specie - incoraggiati anche dai più grandi
marchi nazionali. Che da qualche tempo sembrano sempre più interessati
a rendere più green il nostro tonno in scatola. A cominciare, per
esempio, dai giganti come Rio Mare e Asdomar.
BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ - A presentare, nel 2014, il suo primo
bilancio di sostenibilità aziendale il tonno Asdomar - marchio
del gruppo Generale Conserve - che ha deciso di mettere nero su bianco
la sua idea di sviluppo. Analizzando l’impatto sociale, ambientale
ed economico delle attività che ruotano attorno alla filiera del
tonno. Non solo aderendo a programmi di salvaguardia internazionale o
usando le certificazioni - Friend of The Sea per la sostenibilità
della pesca e SA8000 per la responsabilità sociale - ma anche capendo
che la sostenibilità è un punto fondamentale per continuare
a vendere le scatolette. «È un nostro interesse», afferma
Vito Gulli, presidente di Generale Conserve, «fare tutto ciò
che è possibile per proteggere il tonno e la sua catena di valore.
La sostenibilità della filiera, infatti, è il mezzo per
la prosecuzione della vita dell’azienda stessa». Business
che, come nel caso del tonno, per essere sostenuto necessita di mantenimento
degli elementi che lo alimentano. E che, soprattutto, impone alle imprese
dei limiti. Come, per esempio, di peso. «Per salvaguardare la riproduzione
dei tonni», prosegue Gulli, «abbiamo scelto di mettere sul
mercato soltanto tonni adulti, che superano i 20 chili. Una scelta per
noi molto importante visto che siamo gli unici a lavorare il tonno intero
in Italia». Decisione che trova riscontro anche nelle recenti campagne
di conservazione delle varie specie. Tra cui, per esempio, la campagna
sul controllo delle dimensioni: «size does matter» (cioè:
le dimensioni contano). «Anche le scelte per le modalità
di pesca»,conclude Gulli, «sono fondamentali per allargare
l’offerta oltre al consueto pinna gialla. Per questo, ad esempio,
puntiamo anche sulla diffusione commerciale del tonnetto striato che,
invece delle reti, viene pescato a canna».
CLASSIFICA ROMPISCATOLE - Controlli di sostenibilità che in Italia
e nel mondo vengono spesso effettuati da Greenpeace, impegnata anche nella
vigilanza delle scatolette tonno. E che, a questo proposito, ogni due
anni dedica un report specifico (La classifica rompiscatole) che viviseziona
marchi e etichette. Non solo indicando informazioni preziose che spesso
sfuggono anche ai consumatori più attenti, ma anche analizzando
i propositi di sostenibilità delle varie aziende. Con consigli
pratici e domande che in questi anni si sono trasformati in un vero e
proprio dialogo. Esempio tra tutti, il caso di Rio Mare: bacchettato dalla
classifica di Greenpeace per migliorare gli standard di sostenibilità
(comunque ai vertici dello scenario italiano) si è fatto aiutare
proprio dall’associazione. Promettendo di rendere sostenibile entro
il 2017 il 100% della propria produzione. «L’imbeccata di
Greenpeace», spiega Luciano Pirovano, Csr Director di Bolton (proprietaria
del marchio Rio Mare), «è servita all’azienda come
stimolo per migliorare la sostenibilità di tutta la nostra filiera.
Dalla produzione, per cui grazie a un software possiamo tracciare la storia
di ogni confezione, fino all’impegno per la riduzione della pesca
accidentale. Anche se questa rappresenta soltanto il 5% del pescato».
Esempio di questo, il progetto Bycatch Reduction per ridurre del 50% entro
la fine del 2014 della pesca accidentale generata dai Fad (Fishing Aggregating
Devices), ossia i sistemi di aggregazione dei pesci. Ma anche la costruzione
di una filiera totalmente sostenibile alle isole Salomone e progetti di
educazione alimentare.
EDUCAZIONE ALIMENTARE - Insegnamenti che trovano terreno fertile nelle
scuole e in vista delle tematiche di Expo 2015. «Dal 2011»,
spiega Pirovano, «siamo partner di Expo per educare i giovani all’alimentazione
e quest’anno porteremo nelle classi il tema dello spreco».
Progetti che fino a oggi hanno già coinvolto oltre 6 mila scuole
e 800 mila alunni del territorio nazionale e che l’anno passato
hanno toccato proprio la filiera degli alimenti. Tra cui anche quella
del pesce. «L’obiettivo», conclude Pirovano, «è
stimolare le nuove generazioni verso i consumi sostenibili».
LA PESCA DEL FUTURO - Consumi sostenibili che partono anche dalla pesca.
E per cui, secondo Greenpeace, nonostante gli sforzi si deve ancora lavorare.
«Tra i primi passi», afferma Cristiana De Lia, attualmente
responsabile delle campagne Mare dell’associazione, «è
necessario rendere sostenibile il 100% della produzione italiana, cosa
che già avviene in alcuni Paesi anglosassoni». Ma anche rivedere
completamente alcune metodologie di pesca, spingendo le aziende a essere
più chiare. «Spesso», aggiunge De Lia, «si parla
di nuove tecniche e di tecnologie per pescare in sicurezza, ma non è
stato ancora spiegato bene di che cosa si tratta». Discorso che
può valere per i Fad che, secondo Greenpeace, restano comunque
pericolosi per specie come squali e tartarughe. Senza contare le oasi
protette per la riproduzione dei pesci. «Per mantenere l’equilibrio»,
conclude De Lia, «è necessario che le zone protette in futuro
riguardino almeno il 40% degli oceani».
(Carlotta Clerici - www.corriere.it)
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