|
QUALITA'
Prodotti biologici: che cosa mettiamo nel piatto?
Abbiamo analizzato alcuni alimenti, bio e convenzionali,
per capire quali sono migliori: le differenze ci sono, ma non così
tante
Nel menù improbabile degli ultimi giorni ci hanno servito lasagne,
ravioli e tortellini al cavallo, così come c’era cavallo
al posto della carne bovina in polpette e ragù. Ci hanno offerto
tortine al cioccolato in cui si annidavano batteri fecali. Il tutto da
parte di marchi noti: Findus, Buitoni, Nestlé, Ikea. Per non parlare
(l’ultima insidia) dei molluschi contenenti tracce di cadmio, un
metallo altamente tossico, venduti al mercato del pesce di Chioggia. Mentre
la Commissione europea ha avviato un’indagine per valutare se il
consumo di carne equina comporta danni alla salute (in alcuni campioni
c’erano residui di un antiinfiammatorio usato per i cavalli da corsa),
il risultato di tutto ciò è uno scandalo alimentare che
rischia di travolgere, di sospetto in sospetto, gran parte degli alimenti
che finiscono nelle nostre tavole.
In seguito allo scandalo della carne di cavallo, sono crollati del 30
per cento gli acquisti di piatti pronti e surgelati e, secondo la Coldiretti,
«sei italiani su 10 hanno paura a tavola». Infine, la notizia
che, entro l’anno, torneranno le farine animali nell’alimentazione
degli allevamenti (erano state la causa dell’epidemia di «mucca
pazza») non tranquillizza certo gli animi. Che sia il momento di
abbandonare il modello alimentare industriale e di scoprirsi «bio»
in nome di una cultura del cibo che promette di essere più affidabile?
I numeri, del resto, lo dicono già: nel 2012 i consumi di alimenti
convenzionali sono calati del 3 per cento, mentre il settore biologico
(salito già nel 2011 del 9 per cento) ha avuto un incremento del
7,3 per cento, soprattutto nei discount, dove il bio low cost è
cresciuto del 25,5 per cento (dati della Cia, Confederazione italiana
agricoltori).
Ma consumare biologico vale davvero la pena? Il bio mantiene le promesse
di maggiore qualità e sicurezza? Per scoprirlo, Panorama insieme
ad Altroconsumo ha fatto analizzare alcuni prodotti biologici e convenzionali
acquistati nei supermercati, alla ricerca di pesticidi, nitrati, antibiotici
e micotossine. Il risultato dell’indagine (su frutta e verdura,
uova, olio, pasta, latte e yogurt) è confortante: nessuna traccia
di sostanze chimiche proibite nei prodotti bio e residui ben al di sotto
del limite di legge negli altri. «Entrambi i tipi di alimenti analizzati
sono sicuri» sintetizza Franca Braga di Altroconsumo. Qualche mese
fa, aveva suscitato scalpore uno studio dell’Università di
Standford, che aveva confrontato i risultati di 237 precedenti ricerche
giungendo alla conclusione che i cibi bio non sono più salutari
di quelli convenzionali, perché non contengono in media più
vitamine o proteine. Possono risultare contaminati da batteri come l’E-coli
esattamente come gli altri, ma il rischio di trovare residui di pesticidi
è inferiore del 30 per cento, anche se non sempre i prodotti biologici
ne sono risultati totalmente privi.
D’altro canto, proseguiva l’indagine americana, la carne di
pollo e di maiale biologica è meno esposta a ceppi batterici resistenti
agli antibiotici. Gli scienziati di Standford ammettono che la loro metaanalisi
presenta limiti, soprattutto perché gli studi analizzati erano
piuttosto eterogenei, ma la polemica bio-non bio rimane accesa.
«È impossibile dare una risposta definitiva sulla questione:
ci sono troppi fattori che incidono sulle caratteristiche di un prodotto
e il modo in cui è coltivato è solo uno di questi»
ritiene Flavio Paoletti dell’Istituto nazionale di ricerca su alimenti
e nutrizione (Inran). «Contano la genetica, il clima, l’esposizione
alla luce del sole. Inoltre, non c’è un solo modo di produrre
biologico o convenzionale». Purtroppo, ammette Paoletti, ricerche
che di volta in volta riaffermano o sconfessano le proprietà dei
cibi biologici rischiano di essere macchiate da un peccato originale:
l’appartenenza degli autori alla squadra dei biofan o a quella dei
bioscettici.
Studi scientifici e clinici, in ogni caso, stanno individuando alcune
tendenze: la frutta biologica contiene in genere più vitamina C.
Il latte è più ricco di omega 3, che proteggono il sistema
cardiovascolare, elemento sottolineato anche nella ricerca di Standford.
L’Università di Pisa ha poi confermato la maggiore presenza
di minerali e licopene (sostanza anticancro) nei pomodori coltivati senza
fertilizzanti chimici.
«Molti italiani si sono avvicinati al biologico per stare meglio
e per combattere intolleranze e allergie alimentari» sottolinea
Edoardo Freddi, marketing manager della società Ecor NaturaSì,
che controlla una catena di 90 supermercati di prodotti bio. I dati dell’Osservatorio
Sana presentati all’ultimo salone del biologico di Bologna riaffermano
la tendenza: se il 53,2 per cento delle famiglie ha comprato almeno un
prodotto bio nei mesi precedenti, la percentuale sale al 64 per cento
nei nuclei con figli sotto i 12 anni.
Laura Di Renzo, docente all’Università di Tor Vergata, da
anni esamina gli effetti sulla salute della dieta mediterranea italiana,
un mix di frutta, verdura, pesce azzurro, legumi. Ha sottoposto persone
sane e pazienti affetti da patologie renali a un regime alimentare biologico
e convenzionale: «I test hanno dimostrato come il potere antiossidante
degli alimenti fosse superiore nella dieta bio» riassume «mentre
inferiore si è rivelata la presenza di fattori infiammatori. Lo
studio ha ribadito che una dieta biologica equilibrata riduce il livello
di omocisteina, correlata a rischi cardiovascolari».
Il 71 per cento degli intervistati per l’Osservatorio Sana afferma
di scegliere i prodotti bio perché li ritiene più sicuri
e il 64,9 perché li trova più buoni; ma i consumatori riconoscono
anche altri valori: i metodi di coltivazione rispettano i cicli naturali,
sono banditi pesticidi e fertilizzanti chimici. Le tecniche colturali
preservano la ricchezza del suolo e consentono di risparmiare acqua ed
energia. Negli allevamenti sono vietati gli ormoni e limitati gli antibiotici.
Che cosa mettono nel biocarrello gli italiani? Soprattutto frutta e verdura,
latte, biscotti, pasta. Ma non sempre i prodotti biologici trasformati
sono più sani degli altri. «Nelle nostre indagini abbiamo
appurato che certi biscotti, yogurt o confetture biologiche contenevano
coloranti, grassi di dubbia qualità e troppi zuccheri» osserva
Braga.
In Italia, il mercato dei prodotti biologici è ancora una nicchia,
vale l’1,3 per cento del totale, pari a circa 1,7 miliardi di euro,
contro il 6 per cento della Svizzera, il 7 per cento dell’Austria
o il 2,7 della Francia. Quasi la metà delle vendite avviene attraverso
la grande distribuzione, anche se sono cresciuti i canali alternativi:
secondo il rapporto Bio Bank, le aziende che hanno aperto spacci diretti
nell’ultimo triennio sono aumentate del 16 per cento, l’ecommerce
del 27 per cento, e si moltiplicano i servizi di consegna a domicilio
di cassette di frutta e verdura biologica. Ma il vero boom è quello
delle mense scolastiche: tra il 2009 e il 2011 il numero di quelle che
servono pietanze bio è passato da 837 a 1.116. A Roma sono ormai
il 70 per cento.
Il prezzo degli alimenti biologici è però un tema cruciale.
L’elevato costo è la ragione che tiene lontano un terzo dei
consumatori convenzionali. Difficile stabilire quanto questo divario sia
giustificato. Nel caso della spesa effettuata da Panorama alcuni prodotti
bio sono risultati quasi tre volte più cari degli altri (le coste),
ma in altri casi, come il latte, il costo è inferiore. «Ormai
prodotti di base come pasta o passata di pomodoro si pagano meno, per
via delle politiche commerciali della grande distribuzione» sintetizza
Alessandro Triantafyllidis, presidente dell’Associazione italiana
agricoltura biologica (Aiab). «Diversa è la questione per
ortaggi e frutta: la logistica è più difficile perché
le aziende biologiche sono più disperse di quelle convenzionali.
E questo si ripercuote sul prezzo finale. Ma a fare lievitare lo scontrino
è soprattutto il rifiuto dei supermercati di certificarsi, che
comporta l’obbligo di vendere tutto impacchettato». Inoltre
il fatto che un’unica società che fa capo al gruppo Ecor
NaturaSì controlli di fatto la distribuzione dei prodotti non favorisce
la discesa dei prezzi.
L’agricoltura biologica ha costi di produzione in media del 20 per
cento più alti: le rese sono inferiori e la rotazione delle colture
impone, di fatto, che per un anno o due l’agricoltore rinunci alla
sua produzione principale. Le condizioni di allevamento implicano aggravi:
i polli maturano nel doppio del tempo, 90 invece di 46 giorni impiegati
nei sistemi convenzionali.
«Le mie mucche sono al pascolo tutto l’anno» dice Stefano
Chellini, allevatore della provincia di Genova. «I mangimi per integrare
la loro dieta mi costano il 30 per cento in più. È difficile
trovare soia non ogm. E poi per rispettare la fisiologia degli animali
che sono ruminanti c’è un limite agli alimenti concentrati
che possiamo dare. Negli allevamenti convenzionali i bovini si ammalano
spesso per problemi alla digestione e sono curati con antibiotici. Da
me il veterinario viene solo per le gravidanze e i traumi».
Chellini vende direttamente ai consumatori pacchi famiglia da 5 o 10 chili
e così facendo riesce a contenere il prezzo. «Accorciare
la filiera è l’unica strada per diminuire i costi»
avverte Triantafyllidis. «Siamo il paese con la maggiore estensione
agricola bio d’Europa, un milione di ettari, e il maggior numero
di aziende nel settore, dalla produzione alla trasformazione. Ma la superficie
è la stessa di 10 anni fa, ad aumentare sono state le importazioni
di materie prime».
Il biologico non è esente da ombre. La prospettiva di guadagnare
di più (in un settore in crisi come quello dell’agricoltura)
induce alla frode. L’ultima è di qualche giorno fa: in Germania
milioni di uova sono state vendute con il marchio bio benché gli
allevamenti non rispettassero i parametri per avere la certificazione:
150 allevamenti della Bassa Sassonia sono finiti sotto inchiesta per sovraffollamento
negli stabulari, maltrattamento degli animali e gravi mancanze alimentari
ai danni delle galline. In Italia, la truffa più grossa in questo
settore è stata messa in luce un paio di anni fa dalla Guardia
di finanza di Verona. L’operazione, denominata Gatto con gli stivali,
aveva scoperto una quarantina di aziende che commercializzavano cereali
e frutta bio che di bio non avevano nulla.
Un’altra frode non da poco è quella svelata, l’anno
scorso a maggio, dalla Forestale di Comunanza (Ascoli Piceno) che ha scovato
migliaia di preparati a base di propoli e miele ufficialmente biologici,
in realtà contenenti residui di fitofarmaci vietati e pericolosi
per il sistema nervoso. Altro punto dolente sono i controlli delle aziende
bio, che sono affidati a una serie di organismi certificatori ma spesso
risultano inadeguati e più attenti alla verifica dei numerosi documenti
che alle analisi effettuate sul campo.
Al di là dei comportamenti illegali, c’è una discussione
che attraversa i movimenti bio di tutto il mondo: l’allargamento
del mercato non rischia in realtà di tradire l’idea iniziale,
quella di un’agricoltura attenta ai tempi e ai modi della natura?
Sotto accusa è il cosiddetto «biologico di sostituzione»,
ovvero un semplice cambiamento dei fattori: via i fertilizzanti chimici,
dentro quelli bio, via i pesticidi, dentro le sostanze consentite dalla
legge. E per le galline ovaiole, una vita in un ambiente più ampio
delle colleghe non bio, con mangimi adeguati ma lontano dall’immagine
bucolica di pennuti che razzolano nel prato verde. La certificazione,
in questo caso, attesta che si è rispettato una disciplina europea
(tranne i casi di truffa), ma nulla dice su tutto il resto che può
fare molta differenza.
(Franca Roiatti - http://scienza.panorama.it)
Torna all'indice di ASA-Press.com
|
|
|