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QUALITA'
Il nuovo "made in Italy" si muove
contro corrente
Vecchie glorie e protagonisti dell'ultima ora disegnano le geografie della
produzione a marchio Italia. E' il rapporto curato da Symbola, Fondazione
Edison e Unioncamere. E il nostro paese è tra i primi cinque del
G-20 che ha un surplus strutturale con l'estero nei prodotti non alimentari
Vanno contro corrente. Remano veloci nonostante il peso di una burocrazia
ingombrante e di un sistema politico imballato. Sono le imprese vincenti,
quelle che disegnano il profilo di un’Italia che ce la fa. Vecchie
glorie (dalla moda al food, dalle ceramiche agli occhiali) e nuovi protagonisti
che aggiungono performance in settori come le macchine per imballaggio,
le barche, le tecnologie per il caldo e il freddo, gli strumenti per la
navigazione aerea e spaziale. Tutti assieme disegnano le geografie del
nuovo made in Italy che emergono dal rapporto ITALIA (Industria, Turismo,
Agroalimentare, Localismo, Innovazione, Arte) curato da Symbola, Fondazione
Edison e Unioncamere.
L’analisi parte dall’inserimento dell’Italia nella ristretta
pattuglia dei cinque Paesi del G-20 (assieme a Cina, Germania, Giappone
e Corea) che hanno un surplus strutturale con l’estero nei prodotti
non alimentari. Vuol dire – spiega il rapporto - che se pensiamo
al mercato globale come a un’olimpiade in cui vince chi ha la differenza
maggiore tra export e import, l’Italia conquista una medaglia quasi
mille volte salendo sul podio dei primi tre classificati.
Solo dai 235 i prodotti in cui, nel 2011, ci siamo collocati al primo
posto nel mondo per surplus commerciale si ricava un saldo positivo pari
a 63 miliardi di dollari: 31,6 miliardi di dollari nel settore dell’automazione
meccanica, della gomma e della plastica; 18,1 miliardi di dollari dall’abbigliamento
e della moda; 6,4 miliardi di dollari dal settore alimentare e vini; 2,9
miliardi di dollari da beni per la persona e per la casa; 4,3 miliardi
di dollari da altri prodotti tra cui industria della carta, del vetro
e della chimica.
Buona parte di queste eccellenze è tinta di verde. Quasi una impresa
italiana su quattro investe in tecnologie o prodotti green. E sono loro
le aziende più dinamiche (il 37,9% ha introdotto innovazioni di
prodotto o di servizio, contro il 18,3% delle imprese che non investono
nell’ambiente) e più capaci di export (il 37,4% è
attivo sui mercati esteri, contro il 22,2% delle altre). Una presenza
articolata in molti campi.
Nel manifatturiero nel 2012 siamo stati secondi in Europa dopo la Germania
per attivo con i Paesi extra-UE. Anche perché a un’offerta
tradizionalmente caratterizzata da un alto valore estetico e di design
siamo riusciti ad aggiungere l’attenzione alla difesa della salute.
Ad esempio nel campo dell’arredo le vernici ad acqua (più
salubri) stanno prendendo il posto di quelle a solvente (nel quinquennio
2005-2010, sono salite dal 20% del totale al 34% scavalcando le altre).
Per quanto riguarda il biologico siamo il primo Paese nell’Unione
Europea per addetti (oltre 48 mila) e il secondo per superficie (quasi
un milione e centomila ettari). Siamo undicesimi al mondo come valore
agroalimentare complessivamente esportato, ma in 13 produzioni su un totale
di 70 monitorate – dalla pasta, agli aceti ai superalcolici a base
di vino - abbiamo la leadership globale.
Nel settore del turismo, nonostante una profonda sofferenza derivante
dalla diminuzione della domanda interna, l’Italia ha conquistato
il record europeo per pernottamenti di turisti extra-Ue, distaccando Gran
Bretagna e Spagna.
E perfino nel campo della ricerca, dove il taglio dei fondi ha dato risultati
drammatici, il nostro Paese è in prima linea, con il Cnr, in due
progetti su cui la Commissione Europea ha deciso di puntare con un finanziamento
di 2 miliardi di euro: il grafene e il cervello artificiale.
“Nel campo della cultura è stato recentemente evidenziato
l’effetto crisi sulla vendita di biglietti per cinema, teatro e
musei”, ricorda Ermete Realacci, presidente di Symbola. “Ma
se guardiamo al valore aggiunto prodotto dalla cultura sull’intero
sistema Paese il trend è ben diverso. L’industria della cultura
crea direttamente 75,4 miliardi di euro di valore aggiunto e ne attiva
altri 133. In tutto sono 214 miliardi: circa il 15% del Pil totale. Questa
è la strada vincente. L’Italia può guadagnare spazio
nella competizione globale se valorizza le sue qualità: la bellezza,
il paesaggio, l’ingegno.
(Antonio Cianciullo - www.repubblica.it)
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