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QUALITA'
OGM SI’ O NO?
Gli
accesi dibattiti circa l’impiego di OGM nell’universo alimentare
e l’incoraggiamento alla sperimentazione espresso recentemente dal
Ministro Galan mi hanno riportato alla mente un libro molto interessante,
letto poco tempo fa.
E’ un saggio dal titolo curioso, “Come si sbriciola un
biscotto?”(Longanesi - La lente di Galileo - 311 pagine - 17,
50 euro) scritto da Joe Schwarcz - professore di chimica e direttore
dell’Ufficio per la Scienza alla McGill University di Montreal -
il quale dedica un intero capitolo proprio alla sperimentazione transgenica
nell’agricoltura. L’autore affronta l’argomento con
la competenza dello scienziato, la saggezza del filosofo e il buon senso
dell’essere umano, mantenendosi al di sopra di ogni interesse economico
e politico.
Schwarcz è consapevole del fatto che la modificazione genetica
dei cibi possa comportare effetti collaterali imprevedibili nell’immediato
presente. Nella vita, qualsiasi scelta, invenzione o cambiamento comporta
necessariamente qualche rischio. Così, senz’altro, shakerare
molecole e mixare geni può condurre a sorprese inimmaginabili,
come potrebbero confermare alcuni genitori che hanno unito i propri geni
per mettere al mondo dei figli. Ma condannare a priori la biotecnologia
sullo stesso catastrofico piano di Chernobyl o del talidomide, come alcuni
estremisti insistono a fare, è probabilmente irragionevole.
L’uomo ha cominciato, in realtà, da tempo immemorabile a
“giocare” con il corredo genetico di piante e animali. Pensate
che se gli agricoltori non avessero iniziato a spargere polline di una
specie di frumento sulla specie di un altro, oggi ogni spiga di grano
offrirebbe ancora solo quindici chicchi o poco più. Se il grano
non fosse stato poi incrociato con alcune piante selvatiche, i raccolti
sarebbero più scarsi e subirebbero molti più danni da parte
di funghi e parassiti. E ancora: senza la fecondazione incrociata non
esisterebbero le deliziose pesche noci, i succosi mapo, le mele Mackintosh
e quella dolcissima uva che si scioglie in bocca priva di quei fastidiosissimi
semi. Non esisterebbe nemmeno il pompelmo, che comparve per la prima volta
nel Settecento, grazie all’incrocio tra vari agrumi. Pensando a
questi generosi frutti, straordinariamente belli oltre che buoni, verrebbe
spontaneo considerare la manipolazione genetica solo come un miracolo
della scienza, in cui l’Uomo si è trasformato mirabilmente
in Creatore sulla Terra. Naturalmente, non è sempre così,
perché il progredire della ricerca scientifica avanza anche per
serendipità, incappando imprevedibilmente qua e là
in risultati non propriamente cercati.
Nel 1974 ci fu una svolta nella sperimentazione genetica. Per la prima
volta si isolarono e copiarono dei geni: minuscoli segmenti di molecole
di DNA presenti nel nucleo di ogni cellula cominciarono ad essere clonati.
In tal modo, fu possibile introdurre geni scelti ad hoc nel meccanismo
genetico di una cellula estranea, per indurla a svolgere le funzioni desiderate.
In teoria, si spalancava un universo infinitamente esteso di opportunità
di cui era praticamente impossibile scorgere l’orizzonte. Non entro
ora nella descrizione dettagliata del meccanismo chimico che ha portato
a ciò. Joe Schwarcz lo riassume, comunque, con affascinante semplicità
e leggerezza, tanto da far immaginare lo sbocciare di una rigogliosa e
magnifica pianta a partire da un microscopico batterio del suolo dal nome
improponibile, l’Agrobacterium tumefaciens. Il punto cruciale
della sua argomentazione è, piuttosto, questo: la manipolazione
genetica non è necessariamente “cattiva” per il bene
pubblico, solo perché è “buona” per le grandi
industrie che ne traggono profitti. E’ inevitabile che gli interessi
economici siano esorbitanti e trascinanti ma nessuna società vorrebbe
compromettere la propria reputazione, e l’esistenza stessa, mettendo
avventatamente sul mercato prodotti pericolosi. E, comunque, la ricerca
in sé, in ogni campo scientifico, è anche un dovere morale,
umanamente non rinunciabile, da svolgere con cautela e intelligenza. Il
progresso è una sfida e, come tale, ha sempre dei costi ma se temiamo
l’ignoto non arriveremo mai da nessuna parte!
Joe Schwarcz ci
ricorda che la manipolazione genetica dei cibi ha portato finora incontestabili
benefici e la sfida alla malnutrizione ne è un esempio. La malnutrizione
non riguarda esclusivamente gli estremi drammatici del Terzo Mondo. Ne
esistono altre manifestazioni, meno clamorose forse ma altrettanto serie
e diffuse, come la carenza di ferro, che può causare deficienza
intellettuale, immunodepressione e complicanze nella gravidanza. Milioni
di persone soffrono di anemia sideropenica e la maggior parte di esse
si nutre prevalentemente di riso, alimento poverissimo di ferro. Grazie
alla modificazione genetica, si è arrivati a produrre una varietà
di riso ricca di ferro, introducendo nel DNA del riso “normale”
un gene isolato dei fagiolini verdi. Questo gene codifica la sintesi di
una proteina, la ferritina, utile nell’accumulo del ferro nell’organismo.
E non solo: chi si alimenta prevalentemente con riso, soffre anche di
carenza di vitamina A, perché il riso contiene una proporzione
insignificante di betacarotene, il precursore di questa vitamina. E la
carenza di vitamina A è tra le maggiori cause di cecità,
di alcuni tipi di cancro e di malattie della pelle. Oggi esiste, grazie
alla manipolazione genetica, un tipo di riso arricchito anche di vitamina
A, “rubata” da due geni della giunchiglia e da altri due provenienti
da un batterio. E forse - aggiungo ingenuamente io, perché il libro
di Schwarcz non è così aggiornato da poterlo dire - i due
tipi di riso potrebbero essere già stati incrociati tra di loro,
ottenendone un terzo portentoso mix di amido, ferro e vitamine.
Tutto ciò è estremamente affascinante e anche inquietante,
lo riconosco, ma credo che ogni estremismo vada evitato, incoraggiando
la ricerca e la sperimentazione con coraggio e coscienza. Del resto, anche
il primo volo dei fratelli Wright non fu uno spettacolo molto convincente.
Ma chi vide quell’aereo traballante arrancare in volo per pochi
metri si rese conto, con un po’ d’immaginazione, che quel
maldestro esperimento avrebbe rivoluzionato il modo di viaggiare. Oggi,
nei nostri viaggi, ci serviamo dell’aereo perché sappiamo
che i benefici superano di gran lunga i rischi e, forse, è con
questo stesso spirito che va considerata l’opportunità dei
cibi geneticamente modificati.
Io continuo a consumare turgidi germogli di soia, fragrante mais color
zafferano, succosi mega pomodori e supersalmoni traboccanti di omega tre.
E mi sento in grande forma … almeno per ora!
Mi associo, quindi, alla riflessione conclusiva di Schwarcz che, con saggezza
e un pizzico d’ironia, chiosa il suo capitolo dedicato agli OGM
così: “La modificazione genetica è un problema
scientifico, economico, politico ed emotivo estremamente complesso e questa
non è certamente la mia ultima parola sull’argomento. Forse,
un giorno, potrei essere costretto a rimangiarmi quanto ho detto. Ma allora
avremo probabilmente anche una versione geneticamente modificata più
nutriente e altamente appetibile.”
Paola Cerana
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