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PRIMO PIANO
L’INFORMATORE AGRARIO . maggio 2006
Arrivano i trucioli, le botti tremano
Pratiche enologiche discusse
La possibilità di dare al vino un falso invecchiamento utilizzando
metodi molto più economici dei tradizionali contenitori in legno
suscita accese polemiche tra i produttori italiani
Come era inevitabile l’autorizzazione, da parte del Comitato di
gestione vini dell’Unione Europea, dell’uso dei trucioli di
legno in enologia anche per i vini europei, inclusi ovviamente quelli
italiani, (vedi riquadro) ha scatenato numerose discussioni e ha fatto
emergere alcune preoccupazioni.
Innanzitutto va premesso, altrimenti non assolveremmo al meglio il nostro
dovere di giornalisti, che l’utilizzo dei trucioli era ampiamente
«sperimentato» anche nel nostro Paese da alcuni anni. A tale
proposito si sono tenuti anche convegni e incontri tecnici per analizzare
vantaggi e problemi di tale pratica enologica.
Una pratica, ricordiamo, che viene dal cosiddetto nuovo Mondo, Australia
in particolare. «Paese – racconta Daniele Accordini, enologo,
presidente dell’Assoenologi del Veneto Occidentale – dove
il vino è considerato come una bevanda enologica e non, come giustamente
avviene da noi, un frutto della terra, del territorio. Già questa
distinzione dovrebbe far capire come per un Paese come l’Italia
l’utilizzo di tale pratica enologica dovrebbe essere considerato
con estrema cautela. Tutte le tecniche, infatti, che portano a standardizzazioni
e omologazioni dei gusti dovrebbero essere evitate dal nostro sistema
vitivinicolo che proprio nell’autenticità, nel forte legame
con il territorio, trova la base per differenziarsi da altri prodotti
internazionali».
Certo, riguardo ai costi di produzione i trucioli rappresentano una notevole
opportunità. «Non c’è ombra di dubbio –
spiega Accordini – che rispetto a una barrique o a una botte di
legno, i trucioli hanno costi decisamente inferiori, ma non si deve dimenticare
che i gusti dei consumatori stanno cambiando e oggi i vini "di legno"
sembrano piacere sempre di meno. Per questo omologarsi adesso è
oltremodo pericoloso. Basti pensare, a dimostrazione del calo dell’appeal
dei vini con forti sentori di legno, che il mercato della barrique è
in calo inesorabile e nel 2005 le vendite sono diminuite nel nostro Paese
tra il 30-35%».
A conferma di quanto affermato da Accordini arrivano anche i dati dall’Australia
che mettono in luce una crisi inaspettata. Dal 2002 a oggi l’export
dei vini australiani è calato del 33% e oltre il 40% delle aziende
vitivinicole australiane, secondo un’indagine della Deloitte, società
di consulenza, manifesta fatturati in perdita. A dimostrazione che il
fascino del vino australiano allo stato attuale segna battute d’arresto.
Preoccupazioni arrivano anche da uno dei più prestigiosi produttori
italiani, Angelo Gaja. Secondo Gaja anche alcuni esponenti del mondo produttivo
italiano, soprattutto del settore cooperativistico e industriale, hanno
caldeggiato l’autorizzazione di questa pratica enologica. Gaja,
quindi, teme «un ennesimo inciucio all’italiana».
«Non è ammissibile autorizzare in Italia l’uso dei
trucioli per i vini da tavola – spiega Gaja – se non è
stato prima individuato e riconosciuto il metodo ufficiale di analisi
che consenta a chi dovrà poi operare i controlli di rilevare se
il vino sia maturato in barrique, se abbia invece ricevuto l’aggiunta
di trucioli di legno oppure, ancora, se il produttore abbia utilizzato
le une e gli altri. Perché autorizzare nei vini da tavola l’uso
dei trucioli significa anche che occorrerà porre sotto controllo
i vini igt, doc, docg, ma il metodo ufficiale di analisi per riconoscere
se sono stati utilizzati i trucioli anziché la barrique va ancora
individuato, poi testato e infine approvato ufficialmente. E non saranno
certamente tempi brevi. Potrebbe anche succedere che gli inesperti che
abusino, o semplicemente usino, la barrique con scarsa maestria per dei
vini non da tavola corrano il rischio di venire perseguiti».
Molto più pragmatica la posizione di Alessio Planeta, titolare
della famosa azienda siciliana. «Io penso – spiega Planeta
– che l’importante sia la chiarezza nei confronti dei consumatori.
Fondamentale, quindi, etichettare i vini che utilizzano questa tecnologia.
Si potrebbe scrivere "vini affinati con derivati del legno"
o qualcosa del genere. La mia preoccupazione è che oggi stiamo
dando la sensazione ai consumatori di qualcosa di pericoloso che addirittura
potrebbe quasi provocare danni alla salute. Si doveva, dal mio punto di
vista, chiarire prima le cose all’interno delle organizzazioni del
sistema produttivo. Io ritengo che anche questa polemica sull’utilizzo
dei trucioli sia frutto di un errore di fondo del nostro sistema vitivinicolo.
E cioè che tutti devono puntare alla fascia alta della qualità
produttiva. In questo modo la nostra fascia media e bassa, che è
quella dei grandi numeri, sta perdendo quote di mercato. Ebbene, per questa
fascia di produttori l’utilizzo di trucioli può rappresentare
un’opportunità in termini di competitività nei costi
di produzione. Non poter avere questa chance sarebbe un errore.
Infine – conclude Planeta – sarebbe stato positivo, una volta
per tutte, discutere non solo di trucioli ma di tutte quelle tecniche
enologiche oggi "contestate" nel sistema vino italiano. Mi sembra,
infatti, paradossale trovarsi a parlare di trucioli no e tannini sì,
chips sì e concentratori no, tanto per fare alcuni esempi. È
il caso di fare trasparenza totale e prendere decisioni importanti».
Primo ok all'uso dei trucioli
Bruxelles. Una par condicio tra pratiche enologiche ammesse in Europa
e quelle applicate nel resto del mondo è alla base del lavoro di
revisione delle tecniche di elaborazione attualmente sotto esame del Comitato
di gestione vini della Commissione europea, per assicurare una maggiore
competitività alle produzioni comunitarie.
Tra le innovazioni in via di attuazione, la modifica del regolamento comunitario
n. 1.493 del 1999, che riprende gli orientamenti espressi fin dal 2001
dall’Oiv, l’Organizzazione internazionale per il vino, che
ammetteva l’utilizzo dei frammenti di legno (in particolare trucioli
di quercia), e ha quindi aperto la strada alla generalizzazione di questa
pratica nei nuovi Paesi produttori, dagli Usa al Cile, dal Canada al Sud
Africa.
L’argomento passa ora alla Wto, dove dovrà pronunciarsi il
Comitato tecnico contro gli ostacoli agli scambi. Comunque le nuove norme
comunitarie potranno essere formalizzate tra qualche mese, in quanto è
evidente che la Wto non farà obiezioni.
L’Italia naturalmente non intende restare esclusa da questa corsa
alla razionalizzazione della produzione e alla riduzione dei costi e ha
appoggiato a suo tempo l’estensione della pratica anche ai vini
di produzione nazionale invece della tradizionale maturazione dei vini
in barrique; una richiesta accettata dalle istanze comunitarie (non soltanto
per l’Italia) ma solo a titolo temporaneo, in base a una deroga
scaduta nel luglio dello scorso anno.
Una nota del Ministero delle politiche agricole ha dunque chiesto alla
Commissione europea di modificare a titolo definitivo il regolamento 1.493,
per poter procedere all’utilizzo dei trucioli di rovere, includendo
tra le pratiche ammesse alle stesse condizioni dei Paesi extracomunitari,
pur considerando l’esclusione della pratica per talune categorie
di vini.
L’iniziativa si inquadra nelle «grandi manovre» per
la riforma dell’ocm vino, il pacchetto di proposte che prevede tra
l’altro –
nell’ambito di un’accresciuta flessibilità dell’offerta
– la piena autorizzazione nell’Ue, per i vini destinati al
consumo interno, delle pratiche già accettate per il prodotto destinato
all’esportazione.
Fabio Piccoli
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