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PRIMO PIANO
IL TRUCIOLO
Da un paio di mesi non si parla d’altro. Su tutti i giornali.
Ne discutono tutti ed anche il presidente della Camera Franco Marini e
tale Ermete Realacci hanno sottoscritto qualcosa in proposito. In fatto
di trucioli anche io, permettetemi, posso dire la mia. Nipote e figlio
di falegname ne ho spazzati, raccolti e smaltiti qualche tonnellata (tutte
le sere si puliva la bottega) e mi ritengo un’autorità in
materia. La mia competenza si estende anche alla segatura ed ai ricci
prodotti con la pialla ma rimaniamo sul truciolo.
Anzi restringiamo ancora il campo e limitiamoci al loro uso enologico.
Si, perché il truciolo è assurto a pietra dello scandalo
in quanto usato per elevare i tannini (ho detto bene?) e dare il gusto
di barricato (ho detto bene?) a dei vini che il legno non lo hanno mai
visto.
Contro l’uso del truciolo nel vino è insorta l’associazione
delle “Città del vino” e “Legambiente”
ha promosso una petizione per chiedere che tale pratica sia riportata
in etichetta. Anche l’Assoenologi è stata chiamata in ballo
e se l’è cavata con un compromesso: passiino un po’
di trucioli ma solo se di quercia e non trattati, in modo che non rilascino
caratteristiche improprie. Insomma, se volete un vino con sentore di mela
verde il processo è un poco più lungo: prima si trita un
querciolo poi si aggiungono a parte i torsoli e le bucce di mela.
Chi non ne parla o ne parla poco sono i viticoltori. E questo è
il lato serio della vicenda. Queste pratiche sono sempre state marginali,
anzi, per grandi vini Piemontesi e Toscani si parla e si stà tornando
al solo uso delle botti senza il passaggio in barrique.
La moda del vino “barricato” ha trovato anche un antagonista
altrettanto radicale. Il vino “un-oaked” , che significa vino
privo di passaggio in legno. Naturalmente anche questa dicitura trova
una sua collocazione in etichetta.
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