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PRIMO PIANO
Stranieri: non solo braccianti, anche agricoltori
Uno studio di Inea traccia l'identikit
di chi ha scelto di investire in Italia: oltre 17mila aziende agricole
di piccole e medie dimensioni, autofinanziate e per quasi la metà
condotte da donne.
La presenza di stranieri nel comparto agricolo è associata, quasi
sempre, al lavoro stagionale e al bracciantato, ma gli stranieri
sono impegnati nel settore anche come imprenditori. E' un fenomeno ancora
dalle dimensioni ristrette, ma testimonia percorsi di integrazione lavorativa
e sociale significativi e costituisce un segnale della progressiva stabilizzazione
dell'immigrazione sul territorio italiano. L'avvio di un'attività
imprenditoriale è, infatti, indice di investimento nel paese di
arrivo e di una progettualità a lungo termine, che coinvolge spesso
tutto il nucleo familiare. Secondo i dati Infocamere, alla fine del terzo
trimestre 2012, gli imprenditori stranieri attivi in Italia erano circa
591 mila, con un incremento del 4,1% rispetto allo stesso periodo del
2011. Si tratta di una tendenza opposta rispetto a quella che riguarda
gli imprenditori italiani, che nello stesso periodo hanno registrato una
contrazione del -1,5%. I principali settori di attività sono il
commercio (32,9% del totale degli imprenditori stranieri), le costruzioni
(24,0%) e le attività manifatturiere (10,2%).
E veniamo all'agricoltura. Gli imprenditori che sono occupati nel settore
agricolo rappresentano solo il 2,9% del totale degli imprenditori stranieri,
con un contributo abbastanza limitato: in questo settore, infatti, le
imprese straniere producono l'1,6% del valore aggiunto totale (pari a
quasi 76 miliardi all'anno, il 5,5% dell'intera ricchezza prodotta a livello
nazionale), a fronte di un 13,8% nelle costruzioni, 10,1% nel commercio,
6,6% nella manifattura, 6,3% nei servizi alle persone e 4,9% nei servizi
alle imprese. Per mettere in luce il ruolo dell'imprenditoria straniera
nel settore agricolo e individuare aree problematiche su cui eventualmente
intervenire anche con strumenti di politica, l'INEA, nell'ambito del progetto
"Promozione della cultura contadina", ha realizzato in collaborazione
con la Fondazione Leone Moressa un'indagine sulle imprese agricole italiane
gestiste da stranieri. Ne è emerso un quadro interessante, sia
dal punto di vista della varietà dei soggetti impegnati sia da
quello delle attività realizzate.
Il volume Le imprese straniere nel settore agricolo in Italia, pubblicato
nel corso del 2013, presenta i risultati dell'analisi dei dati forniti
da Infocamere e di quelli emersi da un'indagine questionaria realizzata
ad hoc per capire meglio quelle dimensioni più complesse altrimenti
difficili da scoprire. Si tratta di un argomento molto complesso da approcciare,
fatto di piccoli numeri e di situazioni molto differenziate all'interno
del medesimo universo di riferimento, che ha quindi richiesto un'attenzione
particolare anche nell'impianto metodologico e nel rapporto con i soggetti
da intervistare.
I principali risultati dell'indagine
Nel 2011, secondo i dati Infocamere, c'erano 6.110.074 imprese operanti
in Italia, di cui 454.029 straniere, pari al 7,4% del totale; le imprese
agricole registrate erano 13.353 (l'1,6% del totale delle imprese di questo
settore), con una distribuzione non omogenea sul territorio nazionale:
una presenza più significativa si ha infatti in Toscana, con il
4,0% di incidenza sul totale delle imprese nello stesso comparto, in Friuli
Venezia Giulia (2,8%), Umbria (2,7%) e Liguria (2,4%)
Imprenditori agricoli stranieri per regione, 3° trimestre
2012
Elaborazione Fondazione Leone Moressa su dati Infocamere
Gli imprenditori agricoli stranieri provengono principalmente da Svizzera
(16,0%), Germania (15,2%) e Francia (7,7%). Tra i paesi a pressione migratoria,
spicca la Romania (5,3%), che si posiziona prima di Stati Uniti (4,4%),
Gran Bretagna (4,3%), Belgio (3,3%), Albania (3,1%), Tunisia (2,8%) e
Venezuela (2,8%). Da questi paesi proviene oltre la metà (64,9%)
degli imprenditori stranieri nel comparto agricolo.
Il 97,3% delle imprese agricole condotte da stranieri in Italia è
a partecipazione straniera esclusiva.
Per andare oltre una fotografia del fenomeno e cercare di indagare meglio
alcune questioni è stata realizzata un'indagine ad hoc che ha raggiunto
532 imprenditori stranieri[1], oltre la metà dei quali ha avviato
la propria attività dopo una permanenza in Italia inferiore ai
10 anni. Il 42% dei soggetti stranieri non ha mai avuto precedentemente
alcuna esperienza nel settore e più della metà di chi ha
avuto esperienze imprenditoriali nel settore agricolo lo ha fatto nel
proprio paese di origine e nel 71,3% dei casi come collaboratore familiare.
Il 59,7% dichiara di non aver trovato difficoltà nell'avvio dell'attività,
ma il 37,5% degli imprenditori ha avuto problemi di accesso al credito
(37,5%) o difficoltà di espletare le pratiche burocratiche (24,1%).
In particolare, coloro che si sono affacciati all'esperienza imprenditoriale
prima del 1990 hanno avuto problemi legati alla scarsa padronanza della
lingua (27,1%) e difficoltà ad orientarsi verso i soggetti cui
chiedere aiuto e/o informazioni (24,7%). La metà degli imprenditori
che ha avviato l'attività tra il 1990 e il 1995, invece, ha avuto
problemi con l'accesso al credito; dal 1995 in poi, infine, gli imprenditori
hanno avuto maggiori difficoltà a districarsi tra le pratiche burocratiche.
È interessante notare come le imprese gestite dagli stranieri siano
molto simili, per organizzazione, capitale umano, attività a quelle
degli italiani. Si tratta, ad esempio, nella maggior parte dei casi, di
aziende di piccole e piccolissime dimensioni, spesso a gestione familiare,
senza lavoratori dipendenti. Il 28,6% dei casi ha un solo addetto oltre
al titolare, l'11,9% ne ha 2 e solo il 4,8% dei casi ha 3 o più
addetti; l'83% della manodopera è di tipo familiare. Gli addetti
sono nel 73,8% dei casi della stessa nazionalità dell'imprenditore,
nel 20,4% dei casi sono italiani e solo nel 5,8% dei casi di una nazionalità
diversa. Più della metà degli imprenditori intervistati
è di sesso femminile (56,5%); il 29% possiede la licenza media,
il 26,7% la licenza elementare, il 21,2% il diploma superiore in materie
diverse da agraria, che invece è un titolo posseduto solamente
dal 10,6%. Solo lo 0,8% ha conseguito una laurea in agraria e l'11,7%
è laureato in altre materie.
Le superfici sono abbastanza ridotte: più di un terzo delle aziende
non supera i 5 ettari di SAT e il 25,0% ha superfici comprese tra i 5
e i 10 ettari. Solo l'1,1 % possiede un'attività di dimensioni
superiori ai 20 ettari.
Anche dal punto di vista del fatturato le imprese coinvolte nella rilevazione
non presentano grandi numeri: il 70,4% degli imprenditori agricoli stranieri
intervistati non ha fatturato più di 25 mila euro e il 9,2% ha
fatturato tra i 26 e i 50 mila euro. Solo l'8,2% dei casi ha registrato
un fatturato compreso tra i 51 e i 100 mila euro, e il 4,8% dei casi tra
i 101 e i 150 mila euro. Solo l'1,3%, infine, ha superato il milione di
euro di fatturato.
Una differenza si riscontra però analizzando i dati di genere:
la presenza di donne, infatti, è più alta sia rispetto ad
altri settori in cui si registrano considerevoli livelli di imprenditoria
straniera, sia rispetto alle imprenditrici italiane nel medesimo comparto.
Secondo i dati Infocamere, le donne sono il 48,1% degli imprenditori stranieri
nel comparto agricolo a livello nazionale, con una presenza significativa
soprattutto in Campania (58,8%) e Molise (57,1%). La presenza di donne
straniere imprenditrici in agricoltura sul totale degli imprenditori stranieri
nel settore è più elevata rispetto a quella della popolazione
complessiva, che supera di poco il 27%. Il dato può essere letto
in diversi modi: da una parte può mostrare una maggiore facilità
di accesso a questo tipo di lavoro autonomo anche da parte della popolazione
straniera femminile, dall'altra può suggerire una maggiore difficoltà
a trovare soddisfazione dal punto di vista occupazionale, soprattutto
in alcuni territori, nel lavoro subordinato.
Distribuzione delle imprese agricole straniere per attività, anno
2012
Elaborazione Fondazione Leone
Moressa su questionario
Il lavoro autonomo, in questi casi, diventa l'unica possibilità
di occupazione. L'attività principale, dall'indagine realizzata,
risulta essere la coltivazione (71,0%); l'8,9% delle imprese è
dedita all'allevamento; l'8,0% sia alla coltivazione sia all'allevamento.
L'orientamento produttivo è distribuito in maniera abbastanza omogenea
su tutto il territorio nazionale, con una punta al Sud e nelle isole per
le coltivazioni (quasi l'80%); l'allevamento, al contrario, è
concentrato maggiormente al centro (10,4%) e nel nordovest (11,6%). Tra
gli intervistati ci sono anche imprenditori che hanno avviato attività
di agriturismo, soprattutto nelle zone del centro. Il 20,5% degli imprenditori
fa agricoltura biologica. Nel dettaglio, oltre la metà (62,6%)
delle imprese si dedica alla coltivazione di seminativi e il 13,6% all'ortofrutta.
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, gli agricoltori stranieri
in Italia che si occupano nella produzione di prodotti tipici del paese
di origine sono solo il 4,3%, mentre il 16,6% produce prodotti tipici
locali.
Solo il 6,2 % degli imprenditori intervistati fa ricorso a prestiti bancari
e il 2,4% utilizza fondi pubblici, mentre il 90,5% autofinanzia la propria
attività. Per consulenze e consigli, il 39,6% degli imprenditori
si rivolge a un consulente privato, il 21,6% a un'organizzazione professionale
e il 18,9% a un'organizzazione dei produttori.
Per quanto riguarda gli investimenti, negli ultimi tre anni il 79,3% degli
imprenditori ha investito soprattutto in sostituzioni e rinnovi delle
attrezzature (60,2%), e nell'acquisto di nuove superfici coltivabili (11,1%)
o nella ristrutturazione degli spazi (11,1%); l'8,3% ha fatto investimenti
in innovazione produttiva e nuove coltivazioni. In termini economici sono
state mobilitate risorse contenute: il 27,4% degli imprenditori ha investito
meno di 10 mila euro, oltre un terzo tra gli 11 e i 25 mila euro, e solo
il 28,4% tra i 26 e i 50 mila euro. Le prospettive per il futuro non sembrano
migliori, da questo punto di vista: il 79,1% dichiara di non prevedere
investimenti per i prossimi tre anni e il 12,4% non ha ancora pianificato
nulla in proposito.
Cosa ritengono importante per lo sviluppo della propria attività
questi imprenditori? Gli intervistati ritengono necessaria una diminuzione
della pressione fiscale (29%) e maggiori incentivi per l'agricoltura (28,1%),
ma anche una riduzione del carico burocratico (19,2%), richieste che probabilmente
li avvicinano molto agli imprenditori italiani.
Qualche considerazione conclusiva
L'indagine mostra come l'imprenditoria straniera, anche nelle dimensioni
ridotte che ancora assume, rappresenta un importante tassello nell'economia
del settore, capace di svilupparsi nonostante il periodo di crisi e le
maggiori difficoltà che gli stranieri possono incontrare nell'avvio
delle attività. La dimensione delle aziende sia in termini economici
sia di superfici, la scarsa presenza di addetti oltre al titolare e al
di fuori della cerchia familiare mostrano, tuttavia, una certa difficoltà
ad emergere nel quadro dell'imprenditoria agricola. Occorre comunque tenere
conto del fatto che l'avvio e il mantenimento di un'attività imprenditoriale
presuppone una serie di mezzi e di risorse, oltre a un buon livello di
integrazione, una conoscenza del territorio e dei servizi che offre, degli
strumenti burocratici e finanziari necessari a questo tipo di attività.
Il settore agricolo, inoltre, è un comparto particolare, caratterizzato
da una forte stagionalità e da un ruolo marginale rispetto ad altri
comparti nazionali, che rendono ancora più difficile avviare
e mantenere un'attività imprenditoriale.
Per capire ancora meglio alcune dinamiche del settore sarebbe, tuttavia,
necessario un ulteriore approfondimento, anche utilizzando strumenti più
idonei, come indagini qualitative in profondità che, a partire
da questi primi risultati, siano in grado di mostrare meglio le difficoltà
da superare e le opportunità da cogliere, anche in vista del prossimo
periodo di programmazione dei fondi strutturali. Ad esempio, dall'indagine
risulta una scarsa propensione all'associazionismo e all'utilizzo di forme
collettive, come i consorzi, le cooperative di produttori, ecc. Sarebbe
interessante capire se la causa di questa scarsa partecipazione è
la difficoltà a comunicare e fare rete oppure se esistono vincoli
e problemi di altra natura alla costituzione di forme di collaborazione
con altre imprese o con altri soggetti del territorio.
(Francesca Giarè - www.pianetapsr.it)
[1] Il campione è statisticamente rappresentativo della realtà
presa in esame a seguito; lo schema di campionamento è di tipo
stratificato proporzionale secondo le macroaree territoriali. La somministrazione
del questionario è avvenuta tramite tecnica CATI (somministrazione
telefonica), in modo da consentire una supervisione costante e un monitoraggio
in tempo reale dello stato di campionamento.
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