|
IN PRIMO
PIANO
Cari italiani spreconi siete troppo «casalinghi»
Primo non sprecare. Secondo, recuperare.
Terzo, azzerare. Quarto, prevenire. Comincia con questi quattro verbi
all’insegna della pura ecologia e della buona economia il decalogo
della lotta allo spreco proposto da Andrea Segrè, docente di Politica
agraria internazionale a Bologna, ideatore della campagna europea "Un
anno contro lo spreco" e coordinatore del Piano nazionale per la
prevenzione degli sprechi alimentari. Il suo ultimo libro – che
viene presentato lunedì, al Festival cinemambiente di Torino, presso
il Cinema Massimo, alle 19.15 – s’intitola non casualmente
Spreco (Rosenberg e Sellier, pagine 124, euro 9,50) e rappresenta un’efficace
commistione fra il manuale, il saggio tecnico, il pamphlet di denuncia,
il testo programmatico. L’idea di fondo è che lo spreco alimentare
(quello a cui si riferisce il volume) è un problema culturale legato
alle abitudini "casalinghe" e pertanto deve essere affrontato
con un’adeguata opera di informazione.
La conferma viene da un’indagine condotta in Italia da Waste Watcher,
l’Osservatorio sullo spreco istituito presso la stessa Università
di Bologna, dalla quale emerge che gli "spreconi" si collocano
in particolare fra coloro che hanno abitudini consumistiche e «alla
moda»: vanno in palestra e frequentemente al cinema e ai concerti,
acquistano prodotti fuori stagione, hanno frigo molto forniti, approfittano
delle offerte commerciali, hanno un titolo di studio elevato, un reddito
medio o alto, risiedono in una grande città... prendono alla lettera
la dicitura: "Da consumare preferibilmente entro...".
Perché concentrarsi sullo spreco domestico piuttosto che
su quello dovuto ai vari passaggi di filiera?
«Perché dal monitoraggio incrociato fra spreco domestico
e spreco negli altri anelli della filiera (produzione agricola, industria
di trasformazione, piccola e grande distribuzione, ristorazione collettiva...)
emerge che il primo conta lo 0,5% del Pil, mentre tutto il resto insieme
supera di poco lo 0,2%. In sostanza ogni anno nelle pattumiere degli italiani
finiscono quasi 9 miliardi in generi alimentari, al costo di poco più
di 7 euro settimanali a famiglia».
Sette euro a settimana sembra persino una cifra sottostimata.
«Certo viene da pensarlo. Si tratta di una stima riguardante un
settore in cui non esistono statistiche e comunque di difficile indagine.
Quello che è certo è che fra frigo e pattumiera si concentra
il grosso dello spreco alimentare e pertanto è qui che occorre
concentrare le misure concrete per ridurre e prevenire gli sprechi».
Il libro inizia facendo la differenza fra spreco e rifiuto.
«È una distinzione essenziale se si vogliono programmare
iniziative efficaci di riduzione degli sprechi. La parola inglese waste
comunemente usata non distingue fra spreco e rifiuto e in questo modo
non aiuta a comprendere il problema. Ogni buona politica di recupero deve
invece partire dalla distinzione di ciò che si butta nella pattumiera
perché è l’involucro del cibo e ciò che non
si può mangiare (rifiuto), da ciò che invece è il
contenuto dell’involucro che viene gettato perché giunto
a scadenza (spreco) o perché ha fatto la muffa. Il rifiuto richiede
politiche e tecniche di intervento specifiche: dalla raccolta differenziata
al riciclo. Lo spreco deve invece essere prevenuto e ridotto con l’obiettivo
di giungere a "spreco zero". Considerando che, per esempio,
se spreco un chilo di carne bovina ho anche sprecato il foraggio (con
la terra necessaria per produrlo) e l’acqua con la quale l’animale
è stato alimentato, oltre all’energia e alla manodopera utilizzate
in tutta la filiera fino alla nostra tavola».
I cibi giunti a scadenza non si devono buttare?
«Il problema è nel modo in cui viene intesa la dicitura "da
consumarsi preferibilmente entro...". Preferibilmente non significa
che da quel momento il cibo è categoricamente immangiabile. Non
a caso dall’indagine prima citata è emerso che in seguito
alla crisi negli ultimi sei mesi un 8% in più di italiani toglie
la muffa col coltello dal formaggio invece di gettare tutto il pezzo,
o che prima di buttare il latte o lo yogurt scaduti valuta se siano commestibili».
Feuerbach sosteneva che siamo ciò che mangiamo, oggi si
potrebbe dire che siamo ciò che sprechiamo.
«In questo senso lo spreco alimentare è una questione culturale.
La verità, come ha sottolineato Papa Francesco il 5 giugno del
2013, giornata mondiale dell’ambiente, è che il consumismo
ci ha indotti allo spreco e non siamo più capaci di dare il giusto
valore al cibo. E noi sappiamo che gli alimenti che attualmente vengono
sprecati lungo tutta la filiera sarebbero sufficienti a sfamare oltre
due miliardi di individui. Il parlamento europeo ha indicato il 2025 come
limite entro cui ridurre del 50% lo spreco alimentare. Su questa linea
lavora il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare varato
il 7 ottobre scorso dal Ministero dell’Ambiente, che io coordino.
Il 4 giugno, proprio al Ministero, in una conferenza stampa proporremo
gli otto punti del programma che pensiamo essenziale per affrontare il
problema con successo».
Quali sono i primi tre punti?
«In ordine di importanza al primo posto c’è l’educazione
alimentare da adottare nelle scuole come materia inerente all’educazione
civica. Al secondo c’è l’esigenza di un piano nazionale
di comunicazione fatto con l’idea che non può bastare Pubblicità-progresso.
Al terzo la necessità di promuovere la ricerca su tutti i passaggi
di filiera, per renderli più efficienti».
Per esempio?
«Mi viene in mente il packaging. Non c’è ricerca istituzionalizzata
su questo settore, ma per ridurre rifiuti e sprechi è essenziale
che le confezioni siano ecosostenibili e capaci di conservare al meglio
e più a lungo i cibi».
(Roberto I. Zanini - www.avvenire.it)
Questo sito web utilizza solo cookie tecnici per garantire il corretto funzionamento. Per saperne di pił
Torna all'indice di ASA-Press.com
|
|
|