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IN PRIMO
PIANO
Cibo, la rivoluzione del food sharing contro gli sprechi
Nella spazzatura va un alimento su 5. Ma
l'80% è ancora buono. Così si recuperano avanzi.
Non al denaro, non all’amore né al cielo, ma alla spazzatura.
È alla discarica che bisogna pensare ogni volta che s’infila
qualcosa nel carrello della spesa: almeno un prodotto su cinque tra quelli
acquistati è infatti destinato a finire tra i rifiuti, spesso senza
nemmeno passare dal piatto.
Carne, ortaggi, latticini, pesce, prodotti confezionati e talvolta intonsi:
non si salva nulla. E meno male che la crisi ci ha reso più poveri
e attenti.
OGNI ANNO 8 MILIARDI BUTTATI. Economia ferma, stipendi inchiodati e aspettative
di miglioramento agonizzanti producono indignazione, ma ancora - almeno
stando ai numeri - nessun cambiamento rilevante: in Italia ogni nucleo
famigliare, single inclusi, butta in media 35 chili di alimenti ogni anno,
per un valore complessivo di 8,1 miliardi di euro (dati del Rapporto 2014
Waste watcher - Knowledge for Expo). Più o meno quanto mezza manovra
finanziaria.
SFAMEREMMO 3/4 DEL PAESE. Se poi si sommano le 300 mila tonnellate di
cibo che partono dai campi e dalle fabbriche e finiscono direttamente
in discarica per colpa di problemi nella distribuzione, e gli scarti quotidiani
di negozi e supermercati, il risultato sono 10 milioni di tonnellate di
alimenti inceneriti o lasciati a marcire ogni anno: secondo Coldiretti,
abbastanza per sfamare 44 milioni di persone.
Tre quarti del Paese, insomma, potrebbe mangiare gratis, soltanto con
quello che finisce nella spazzatura. E il problema, forse, sta proprio
nelle definizioni: se al posto di chiamarli rifiuti li considerassimo
come potenziali pranzi e cene, nutrirsi degli scarti altrui non sembrerebbe
più così strano.
L’idea è il concetto alla base del food sharing, letteralmente
condivisione di cibo, declinazione in chiave socio-ambientale dell’economia
della collaborazione (sharing economy), il fenomeno che sta rivoluzionando
sia le modalità di consumo sia quelle di produzione di beni e servizi.
Tuttavia, se quando si parla di piattaforme per condividere automobili
o abitazioni c’è sempre anche un’azienda che ci guadagna,
con il food sharing gli unici a guadagnarci sono i cittadini e la Terra.
SPRECATI TERRENI E ACQUA. Per produrre gli 1,6 miliardi di tonnellate
di alimenti che finiscono in discarica, infatti, vengono utilizzati il
30% della superficie agricola del pianeta e 250 miliardi di litri d’acqua,
pari al consumo della città di New York da qui al 2134.
Non solo: il trasporto, la trasformazione e la conservazione del cibo
sprecato sono la causa di 3,3 miliardi di tonnellate di emissioni di anidride
carbonica ogni anno, la terza fonte di inquinamento mondiale.
Ripensare al binomio rifiuti-alimentazione, insomma, rischia di essere
un’azione saggia e rivoluzionaria. E, soprattutto, non poi così
sconvolgente, nemmeno per gli occidentali abituati alle proteine garantite
e costretti alle diete dimagranti.
LA GERMANIA ASSAGGIA I RIFIUTI. L’esempio arriva dalla Germania
dove, sotto la spinta emotiva di un documentario intitolato Taste the
Waste (Assaggia i rifiuti, 2011), migliaia di cittadini si sono organizzati
per eliminare gli sprechi.
Il film, firmato da Valentin Thurn, mostra il cammino cortissimo che porta
i prodotti dagli scaffali dei supermercati alle discariche: e non sempre,
come spesso si pensa, per eccesso di burocrazia o regolamentazioni. Le
logiche, come ha raccontato il regista a Lettera43.it, «sono soprattutto
commerciali: il cibo deve sembrare bello, non essere buono. E deve essere
facile da inscatolare. Quando si impacchettano le mele, non c’è
tempo di cercare quali sono buone e quali marce: se ce ne sono anche soltanto
un paio bacate l’intero lotto finisce nella spazzatura».
Recuperare le mele buone e metterle a disposizione della collettività
è il compito che si sono auto assegnati i foodsaver (letteralmente:
salvatori di cibo) e i foodsharer tedeschi, gruppi di cittadini collegati
tramite una piattaforma internet costata 12 mila euro, interamente raccolti
con un’operazione di crowdfunding.
I due nomi corrispondono a diversi impegni nel progetto di riduzione degli
sprechi. Il foodsaving consiste nell’andare a frugare tra gli scarti
dei supermercati per selezionare quello che è ancora buono e consumabile:
secondo le statistiche, l’80% di quello che viene gettato in discarica.
LATTE NON SCADUTO VIA DAGLI SCAFFALI. Non solo frutta e ortaggi, ma anche
prodotti in scatola con confezioni rovinate, latticini che spariscono
dagli scaffali prima della scadenza perché il supermercato vuole
dare un’idea di freschezza, pane vecchio magari solo di qualche
ora che non può più essere proposto ai clienti.
I foodsaver, grazie a un’organizzazione ferrea, racimolano tutto
e lo mettono a disposizione della collettività. Non immaginatevi
gruppi di cittadini imbacuccati che aprono di nascosto la spazzatura altrui;
il movimento ha stretto accordi con gli addetti dei supermercati, dopo
averli sensibilizzati sullo scempio: così oggi, spesso anche a
insaputa del management delle catene, è possibile accedere agli
scarti prima che materialmente siano buttati nei bidoni.
Gli alimenti buoni vengono poi condivisi (food sharing) sia attraverso
un sistema di depositi urbani - ricavati in punti di ritrovo quali spazi
ricreativi, palestre, parchi pubblici e persino case private - sia attraverso
la piattaforma su internet.
RECUPERATE 515 TONNELLATE DI CIBO. Per capire l’impatto sulla vita
quotidiana di migliaia di famiglie, basta dire che in poco più
di un anno complessivamente sono state recuperate 515 tonnellate di alimenti.
Alle quali si sono aggiunti, sulla scia di un entusiasmo contagioso, anche
i contributi dei singoli foodsharer: chiunque abbia in casa qualcosa che
sta per scadere, non farà in tempo a mangiare o ha comprato in
eccesso, al posto di buttarlo via può offrirlo agli altri, portandolo
nei depositi oppure tramite il sito internet.
E l’Italia? Da noi il food sharing è ancora poco noto e praticato.
I soldi sono pochi e i consumi si contraggono - la spesa alimentare è
calata dell’12,8 % dal 2007 al 2013 -, ma l’incoerenza è
una specialità nazionale quanto la pizza e il catenaccio.
E qualcuno quantomeno ha il merito di ammetterlo: nello studio sugli sprechi
alimentari realizzato da Waste Watcher il 26% degli italiani si dice sensibile
all’ambiente, preoccupato per la povertà, moralmente disturbato
dal cestinare cibo buono, eppure ostinatamente e irrimediabilmente incapace
di controllare la data di scadenza sulle confezioni. Dunque sprecone.
CREARE UN PORTALE NON BASTA. In Rete da tempo esiste un sito (www.ifoodshare.org)
che voleva ispirarsi all’esempio tedesco, ma che ancora non ha superato
la massa critica di utenti necessaria a far funzionare un’idea intimamente
basata sul coinvolgimento emotivo e sull’impegno personale: come
insegnano i foodsaver, creare un portale non basta, poi bisogna che gli
utenti siano altamente sensibilizzati e abbiano voglia di sporcarsi le
mani.
Da poco è approdato su internet anche S-cambia cibo (www.scambiacibo.it),
«un progetto di urbanistica», per usare le parole di una degli
ideatori, Ilaria Venturelli.
Cosa c’entra l’urbanistica con i rifiuti alimentari? «Ridurre
gli sprechi tutela l’ambiente e propone nuovi modi di interagire
con la comunità e di vivere gli spazi della città»,
ha spiegato.
Chi si iscrive a S-cambia cibo può inserire sul sito gli alimenti
che è pronto a condividere salvandoli dalla spazzatura o visualizzare
quelli messi a disposizione da altri, con una funzione di geolocalizzazione
che consente di individuare subito le cose più vicine al proprio
indirizzo di residenza.
NUOVO TESSUTO UMANO E SOCIALE. Tocca ai membri poi mettersi d’accordo
per organizzare gli scambi: di qui l’idea che il food sharing possa
contribuire anche a creare un nuovo tessuto umano e sociale.
Certo, un sito internet da solo non può fare miracoli: serve la
partecipazione. Ma i tempi sono maturi. Dell’Expo milanese si ricorda
solo il tintinnare di manette, ma la manifestazione è formalmente
dedicata a ‘Nutrire il pianeta’.
LA BOCCONI LANCIA UN CONCORSO. E l’università Bocconi, in
occasione dell’esposizione, ha lanciato un concorso (http://www.foodsavingbec.com)
per selezionare 200 studenti brillanti che aiutino a pensare a come ridurre
gli sprechi alimentari.
Se trasformare le abitudini dell’intera catena produttiva è
certamente complicato, il modo più semplice è l’impegno
individuale. Insomma: prendete e condividetene tutti.
(Gea Scancarello - www.lettera43.it)
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