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IN PRIMO
PIANO
Ogm, quando un'opinione fa la differenza
Il famoso ambientalista britannico Mark Lynas, da sempre su posizioni
anti ogm, cambia radicalmente idea e apre alla sperimentazione. Ma a che
punto è il dibattito in Italia? Greenpeace e Coldiretti confermano
a Panorama.it le proprie distanze dagli ogm
Honorè Riqueti, aristocratico
liberale e uomo politico francese dell'Ancien Regime, amava ripetere che
“solo gli imbecilli non cambiano mai opinione”. E Mark Lynas,
attivista, ambientalista e uno dei giornalisti britannici più autorevoli
in tema di ambiente deve averlo preso in parola. Lui, che fino a qualche
giorno fa era uno strenuo oppositore degli ogm, ha recentemente cambiato
posizione. E in maniera radicale: “Il dibattito sugli Ogm è
finito, non abbiamo più bisogno di discutere su se siano o no sicuri
– ha dichiarato alla conferenza annuale degli agricoltori britannici
– Sono stati mangiati una decade e mezza con 3 mila miliardi di
pasti geneticamente modificati e non c’è mai stato un solo
caso di danno comprovato. Per di più, delle persone sono morte
per aver scelto il biologico, ma nessuno è morto per aver mangiato
Ogm”.
Questa affermazione apre ad uno scenario diverso al passato: quale impatto
potranno avere le parole di Lynas sull'opinione pubblica britannica e,
in generale, su quella mondiale? “Da San Paolo in poi siamo pieni
di esempi di conversioni ideologiche e questa ultima, vista da lontano,
appare come l'approdo dopo un percorso di studio complesso sulla singola
questione – sottolinea a Panorama.it, Stefano Masini responsabile
ambiente di Coldiretti -. In generale, non so quanto questo cambio di
opinione possa incidere. Noi non siamo pentiti della nostra posizione
e riteniamo come Coldiretti che, almeno nel nostro paese, l'economia è
fondata sulla conoscenza e sulla sperimentazione, ma essere liberi dagli
ogm è una leva importante per posizionare i nostri prodotti ad
un livello di maggiore interesse nel panorama economico mondiale”.
Resta saldo nella sua contrarietà Greenpeace che giudica il radicale
cambiamento di Lynas “un errore e un rischio di fuorviare l'opinione
pubblica sull'argomento”. “Noi restiamo contrari alla coltivazione
di ogm in campo aperto perchè è una fonte di inquinamento
genetico, minaccia la biodiversità e inevitabilmente contamina
le coltivazioni tradizionali e biologiche – dicono dalla sede dell'associazione
ambientalista -. Greenpeace non si oppone invece alla ricerca in un ambiente
confinato, ad esempio un laboratorio, in particolare in campo medico.
Noi non siamo contro la ricerca o il progresso, sosteniamo una scienza
che sia a vantaggio di tutti e che rispetti l'ambiente”.
OGM, TRA PAURA E NECESSITA'
Ma gli ogm fanno davvero paura? Il 55 per cento degli italiani sostiene
che sia utile continuare a fare ricerca scientifica e il 52 per cento
appare possibilista rispetto all'acquisto futuro di prodotti biotech.
Solo il 17 per cento non è d'accordo. Sono dati che emergono da
una ricerca Ispo per Futuragra . Il primo driver di scelta, il 48 per
cento, riguarda i possibili benefici per la salute seguiti dalla loro
maggiore sostenibilità ambientale, per il 37 per cento, e da un
prezzo più contenuto rispetto a un prodotto equivalente e riguarda
il 27 per cento del campione. La maggioranza degli italiani, il 52 per
cento, è anche concorde con il fatto che se la legge permette di
vendere ogm, dovrebbe anche consentirne la coltivazione.
“Da un lato abbiamo un'Europa incerta in materia sia dal punto di
vista normativo che scientifico, dall'altro molti stati mettono in discussione
la decisione della Corte europea di lasciare libera scelta di coltivazione
– aggiunge Masini -. Va detto che nessuno contesta la circolazione
di organismi geneticamente modificati purchè siano etichettati
e il consumatore finale conosca la reale differenza tra i prodotti normali
e quelli modificati. Diverso è il discorso sulla coltivazione.
Coldiretti pensa che in Italia sia inopportuno pensare a coltivare prodotti
che si scontrano con la salvaguardia e la qualità dei nostri modelli
di agricoltura. Abbiamo zone caratterizzate da un prodotto di qualità
che tutto il mondo ci invidia e ci copia, gli ogm metterebbero a rischio
questa qualità. Forse negli Stati Uniti, dove i terreni sono di
gran lunga più grandi dei nostri, si può pensare di mettere
a coltivazione una parte di questi terreni. In Italia no”.
Eppure gli agricoltori italiani già dipendono, in parte e forse
a volte senza saperlo realmente, dal transgenico. Ogni giorno una mucca
da latte rumina circa 17 chili di trinciato di mais, sei di fieno, quattro
di farina di mais e due chili di concentrato proteico. Quasi 5 chili della
razione quotidiana di una mucca sono biotech, poco meno di un sesto. “Per
i mangimi italiani è bene fare due valutazioni. La prima riguarda
quegli alimenti ogm che non provocano contaminazione con l'esterno e questi
sono già utilizzati da molti agricoltori italiani. Due agricoltori
confinanti non avranno problemi se una mucca mangia alimenti biotech.
Diverso è per la semina di mais o colza che potrebbe provocare
alterazioni nei terreni circostanti – riflette il responsabile
ambiente di Coldiretti -. La seconda analisi riguarda il mercato: il consumatore
finale deve essere informato su cosa mangia e cosa viene prodotto, anche
per premiare chi esclude gli ogm e far vincere la qualità. La trasparenza
e la giusta informazione devono essere alla base delle scelte finali.
Non è interessante produrre di più ma vendere meglio”.
LA SITUAZIONE NEL MONDO
Il “partito degli ogm” in Gran Bretagna recluta tra i suoi
il conservatore Owen Paterson, segretario di Stato all’ambiente
nel governo di David Cameron. Secondo Paterson, “Il pubblico britannico
dovrebbe essere persuaso dei vantaggi degli alimenti geneticamente modificati,
con ciò scoprendo le carte sugli intenti del governo di aprire
il Regno Unito allo sviluppo delle coltivazioni biotecnologiche e, probabilmente,
accendendo il dibattito europeo sulla loro diffusione.
In Francia ci si appresta a scrivere un nuovo capitolo della discussione
sugli organismi geneticamente modificati, scatenata ad ottobre dalla pubblicazione
di uno studio curato dal ricercatore Gilles-Eric Séralini, secondo
il quale il mais NK603 prodotto dalla Monsanto sarebbe la causa di una
serie di episodi tumorali riscontrati in un gruppo di topi. I deputati
del partito socialista hanno depositato una proposta di risoluzione all’Assemblea
nazionale, insistendo sulla necessità di effettuare ulteriori accertamenti
di lungo periodo sui prodotti Ogm, prima di consentirne la commercializzazione.
La risoluzione propone di finanziare con denaro pubblico studi indipendenti
e ad ampio raggio, secondo protocolli trasparenti, i cui risultati sarebbero
pubblicati integralmente.
Approvato in Polonia il provvedimento che vieta la coltivazione delle
varietà geneticamente modificate ammesse in Europa. La norma, elaborata
dal Ministero per l’agricoltura ed approvata dal Consiglio dei Ministri,
entrerà in vigore a partire dal 28 Gennaio 2013 e riguarderà
in particolare il mais MON810 della Monsanto e la patata “Amflora”
prodotta dalla Basf, anche se quest’ultima è stata già
formalmente ritirata dal mercato dall’azienda produttrice. La Polonia
si unisce così al fronte dei Paesi Membri schierati contro l’Esecutivo
Europeo in un braccio di ferro legale sulla possibilità o meno
di mettere al bando le colture transgeniche ammesse alla coltivazione
e che include Germania, Austria, Ungheria, Lussemburgo, Francia, Grecia,
Italia e Bulgaria.
Negli Stati Uniti c’è attesa per il parere positivo della
Fda sull'AquAdvantage Salmon , il salmone geneticamente modificato che,
dopo l’autorizzazione, potrà essere commercializzato. Il
nuovo salmone ogm ha incorporato un gene che gli consente di crescere
in 18 mesi anziché 3 anni e potrà essere sul mercato tutto
l’anno. La Casa Bianca vuole che l'Europa apra il suo mercato all'export
alimentare delle aziende statunitensi, sperando di convincere il vecchio
continente ad abbandonare le restrizioni sulla produzione e commercializzazione
di prodotti agricoli geneticamente modificati. Non sarà facile
però superare le resistenze europee, che sugli ogm ha la legislazione
più restrittiva al mondo, dovuta alla sfiducia diffusa nell'opinione
pubblica nei confronti di queste tecnologie. (Marino Petrelli www.panorama.it)
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