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PRIMO PIANO Secondo una ricerca del Politecnico
di Milano, in Italia sono 6 milioni di tonnellate, pari a un valore di
12,3 miliardi di euro, le eccellenze alimentari generate per oltre il
55% dalla filiera agroalimentare e per il restante nell’ambito del
consumo domestico. Di questo, quasi il 50% è recuperabile per l’alimentazione
umana con relativa facilità, indicando in circa 3,2 milioni di
tonnellate annue quelle definite “ad alta e media fungibilità”,
ossia rapidamente e perfettamente recuperabili per il consumo umano. Ma
solo il 6% delle eccedenze viene recuperato per essere donato e distribuito
agli indigenti e quando il surplus ancora buono non viene recuperato diventa
spreco. Le cifre più difficili da recuperare riguardano gli sprechi
di piccole attività commerciali e alimentari, tipo bar e piccole
tavole calde, che comunque si attestano su 100 kg di cibo annuali per
ogni singola attività. L’importanza di queste cifre è
notevole, e dunque appare notevole la follia legislativa che impedisce
a questo cibo di arrivare sulle tavole di chi ha bisogno. Basta guardare
una qualsiasi strada di una città europea per rendersi conto che
la moltiplicazione di questi 100 kg produce montagne di cibo vertiginose
che finiscono tutte nell’ambiente sotto forma di spazzatura, trasformandosi
in grande fonte d’inquinamento. Una volta, venivano contemplati
i peccati che gridano vendetta al cielo. Ora, in tempi d’indifferenza
consumistica, nessuno sembra più scandalizzarsi di questo scialo.
Eppure, sono convinta che non ci sia nulla di così profondamente
scandaloso quanto il cibo sprecato. Tra le tante iniziative lodevoli -
come ad esempio l’impegno del professor Andrea Segrè con
il suo Last Minute Market e l’Emporio della Solidarietà delle
Caritas - esiste anche un’associazione che dal 2007 cerca di ovviare
a questo scandalo - perché di scandalo si tratta - con gesti concreti
e logisticamente efficienti ma, per una perversione burocratica - che
investe ogni ambito del nostro Paese, rendendo facile la vita ai disonesti
e impossibile agli onesti - questo progetto non riesce a decollare. Il
progetto Pasto Buono - sostenuto da Qui Foundation (www.quigroup.it) e
che conta già 120 mila esercizi di ristorazione in tutta Italia
- ha appunto lo scopo di rendere usufruibile il cibo già preparato
e rimasto invenduto, impedendogli di finire nella spazzatura. Oltre alla
burocrazia eccessiva, si sovrappongono delle clausole legate all’igiene
che ne rendono quasi impossibile la realizzazione. I donatori virtuosi,
infatti, - che esporrebbero nelle loro vetrine una vetrofania apposita
per dimostrare la loro partecipazione - dovrebbe rifornirsi, oltre che
di contenitori di alimenti a norma, di furgoni refrigerati per il trasporto
del cibo e anche di un costoso “abbattitore di temperatura”.
La cosa paradossale è che tutti noi, come clienti della rosticceria
possiamo comprare il cibo e portarcelo a casa, magari lasciandolo anche
due ore in macchina, ma, per donarlo, è necessario abbattere la
temperatura. Sarebbe dunque importante semplificare la legge, permettendo
alle persone che hanno bisogno di poter mangiare questo cibo civilmente
e non accalcandosi ai cassonetti nei quali viene gettato, cosa che accade
attualmente. E una questione di dignità del cibo e di dignità
della persona, e dunque di tutta la società civile. Purtroppo sempre
più spesso si vedono persone, soprattutto anziani, che frugano
nella spazzatura alla ricerca di qualcosa da mangiare e, con questa terribile
crisi che stiamo vivendo, il fenomeno si sta allargando anche alle famiglie
monoreddito e di coloro che hanno perso il lavoro. Il cibo c’è,
e anche in abbondanza, ma non lo si può mangiare perché
non sono igieniche le condizioni di trasporto. Perché, mangiare
dal cassonetto è forse igienico? Chi ha provato a fare una qualsiasi
cosa in questo Paese - non per interesse personale ma per il bene della
collettività - sa che i bastoni tra le ruote sono infiniti perché,
nel sadismo paralizzante della burocrazia, c’è sempre un
desiderio di perseguitare chi agisce con onestà, correttezza e
senza avere tornaconti personali. Il nostro è il Paese del cartelli
del “severamente vietato”. Mi sono sempre chiesta cosa voglia
dire “severamente”. O una cosa è vietata o non lo è.
Perché non sognare un cambiamento che ci faccia andare tutti verso
la semplicità, la convivialità, la responsabilità
condivisa da tutti? Nel caso del cibo sprecato, abbiamo un problema e
abbiamo anche la soluzione, ma da questa soluzione nessuno ci guadagna
niente, tranne la civiltà e l’umanità. Forse l’inciampo
è proprio questo. Se il problema risiede, come probabilmente sarà,
in una legge della Comunità europea - questa Comunità che,
a furia di proteggerci, ci farà tutti morire un giorno per un banale
batterio - perché, per una volta, non fare una bella figura e lottare
per il bene comune in sede di Parlamento europeo, cercando di modificare
le clausole che permettono questo scandalo?
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