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IN
PRIMO PIANO
Alimentare, per la prima volta iniziano a calare occupazione e investimenti
La crisi dei consumi in 5 anni
ha bruciato 20 miliardi
Nonostante la relativa tenuta della produzione (-1,4%) e la buona risposta
dell’export (+8%), il settore inizia a pagare le conseguenze di
una crisi che dura ormai da troppi anni. Complice la lenta erosione dei
consumi interni, che in 5 anni ha tagliato ben 20 miliardi di euro alla
spesa alimentare, nel 2011-2012 il settore ha visto un calo dei livelli
occupazionali (circa 5000 posti di lavoro), mentre sono scese dal 58%
al 45%le imprese che effettueranno investimenti per il prossimo biennio.
Anche per colpa di un accesso al credito sempre più difficoltoso...
Ferrua: “Questo settore, simbolo del made in Italy, invece di essere
sostenuto e difeso in una congiuntura così difficile è oggetto
di una pressione fiscale tra le più elevate della storia. No all''aumento
dell''Iva al 22% e alle tasse di scopo, Si a lotta alla contraffazione,
Si al sostegno alle esportazioni, Si ai progetti di educazione alimentare”.
Roma, 13 marzo 2013 – Immaginate 10 anni senza mai andare al cinema
o senza comprare più smartphone e tablet. O, se preferite, 2 anni
di fila senza acquistare e leggere nemmeno un libro o 3 senza nemmeno
una partita di calcio… Solo con questi paragoni, forse, ci si può
rendere conto dell’astronomico ammontare dei tagli alla spesa alimentare
registrati degli ultimi 12 mesi: un forse non appariscente -3%, che corrisponde
però, in valore, a quasi 7 miliardi di euro. Percentuale che lievita
a -10% se prendiamo in esame gli ultimi 5 anni, con dispense e frigoriferi
più “leggeri”, in questo caso, di ben 20 miliardi di
euro. Proseguendo nella comparazione, in questo caso è come se
per 10 mesi si fossero chiuse le frontiere al turismo straniero e il sistema
Paese non avessero incassato neppure un euro da questo business, vitale
per la nostra economia, o come se per un anno e mezzo non si fosse più
andati al ristorante e in pizzeria! Nel 2012 l’industria alimentare,
secondo settore produttivo dopo il manifatturiero, paga un prezzo sempre
più alto al protrarsi della crisi, che alla recessione dei consumi
nazionali aggiunge sfide sempre più ardue sui mercati esteri. E,
alle soglie del 2013, arrivano tre concreti segnali di preoccupazione
per la competitività del settore, con valori di segno negativo
sul fronte degli investimenti (dal 58% al 45% le imprese che effettueranno
investimenti nel prossimo biennio), dell’occupazione (persi 5.000
posti di lavoro) e dell''accesso al credito (1/3 delle imprese che hanno
chiesto un fido ha avuto un esito negativo, con risposte inferiori alle
richieste o con richieste non accolte). A lanciare il grido d''allarme
è Federalimentare, in occasione della presentazione del bilancio
2012 dell’Industria alimentare Italiana e della valutazione delle
prospettive per il 2013. “Nella crisi non esistono isole felici,
dichiara Filippo Ferrua Magliani, Presidente di Federalimentare. Finora
l''industria alimentare ha saputo confermare la sua vocazione alla qualità,
ma l’erosione dell''occupazione, la riduzione della propensione
agli investimenti e la difficoltà nell''accesso al credito sono
il riflesso di una spirale involutiva del Paese che ci fa guardare al
futuro con preoccupazione. Per sostenere l’Industria buona, portiamo
all’attenzione del nuovo Governo un documento programmatico su alcune
aree di intervento di rilancio del settore (fisco, internazionalizzazione,
politiche europee, educazione alimentare e ricerca e innovazione). Bisogna
in particolare ridurre la pressione fiscale fermando ogni tassazione impropria,
come food tax o accise, contrastare l’aumento dell’aliquota
del 21% previsto a luglio 2013 e ridurre l’incidenza fiscale dei
costi di trasporto e dell’energia; sostenere l''internazionalizzazione,
adottare una politica fieristica chiara e lungimirante e lottare contro
la contraffazione; partecipare attivamente al dibattito sulla revisione
della PAC, in particolare riguardo ai temi dell’approvvigionamento
e della security alimentare”.
OCCUPAZIONE, IN SOLI 2 ANNI 5000 POSTI DI LAVORO IN MENO L''occupazione
del settore alimentare chiude il 2012 con un valore di segno negativo
per il 6,6% delle imprese. Una erosione dei livelli occupazionali, derivante
dalla mancata sostituzione del turn over fisiologico, che si traduce in
circa 5mila posti di lavoro in meno negli ultimi due anni. Secondo l''analisi
congiunturale Format Research-Federalimentare, condotta su un campione
di 1.000 imprese del settore distribuite nell’intero territorio
nazionale, sono infatti circa il 10% le aziende che hanno dichiarato di
aver dovuto ridurre l''organico. Va però rilevato che, di contro,
circa il 4% delle imprese prevede nuove assunzioni nel 2013.
FORMAT: CALANO LE IMPRESE CHE INVESTIRANNO NEL BIENNIO 2013-14 Emerge
anche il ruolo dell’industria alimentare come driver del tessuto
economico italiano per quanto concerne gli investimenti: il 45% delle
imprese alimentari ha dichiarato di essere intenzionato ad effettuare
investimenti nel prossimo biennio, con un calo di circa 13 punti percentuale
rispetto al 2011-2012.
ACCESSO AL CREDITO CRITICO, 1/3 DI RISPOSTE NEGATIVE DALLE BANCHE E anche
per i più “coraggiosi” che decidono di investire nonostante
tutto, l''accesso al credito si fa sempre più difficile: la ricerca
Format/Federalimentare rivela che in un anno 1/3 delle aziende che hanno
fatto richiesta di accesso al credito hanno visto accordato un ammontare
inferiore a quello richiesto o hanno visto la richiesta non accolta. Va
anche rilevato che ad essere penalizzate sono soprattutto le piccole realtà,
dato che le condizioni del credito applicate alle aziende alimentari peggiorano
man mano che la dimensione occupazionale di queste ultime diminuisce.
FATTURATO 2012 A 130 MILIARDI DI EURO, PRODUZIONE TIENE A -1,4% Secondo
le stime del Centro Studi Federalimentare, nell''anno appena concluso
il fatturato dell''industria alimentare ha raggiunto i 130 miliardi di
euro, con un aumento del +2,3% sul 2011 legato esclusivamente all’effetto
prezzi. Infatti la produzione in termini quantitativi è calata
del -1,4% sull’anno precedente a parità di giornate lavorative.
Va sottolineato comunque che, rispetto al livello di “picco”
pre-crisi del 2007, la produzione 2012 dell’industria alimentare
cede “solo” 2,5 punti, a fronte dei 22,9 punti dell’industria
italiana nel suo complesso.
CONSUMI ALIMENTARI IN CALO: PERSI 20 MILIARDI DI EURO IN 5 ANNI (-10%)
D''altra parte, rispetto alla solidità dimostrata dal settore a
livello produttivo, la crisi dei consumi interni ha colpito il settore
in modo più pesante rispetto alla media del Paese. I consumi alimentari
degli ultimi 12 mesi hanno registrato una flessione del -3%. Un dato a
prima vista non così eclatante rispetto alle perdite subite da
altri comparti industriali (uno tra tutti, l''automobilistico). Ma che
corrisponde – visti gli enormi volumi che muove questa industria
- ad una perdita in valore di -6,8 miliardi di euro. Pari a 10 volte il
mercato di computer, smarthphone e tablet, 10 volte gli incassi dell''industria
cinematografica, 3 volte il business del calcio e il doppio di quello
del libro. Ma se consideriamo l’arco gli ultimi 5 anni (2007-2012),
il calo della spesa alimentare tocca i 10 punti percentuali (-20 miliardi
di euro), il doppio rispetto alla contrazione dei consumi nazionali complessivi,
che, in valuta costante, hanno accumulato una perdita di 5 punti in termini
concatenati (come se non fossimo mai andati al ristorante e in pizzeria
nell’ultimo anno e mezzo).
LA CRISI COLPISCE IL VALORE AGGIUNTO DELL''ALIMENTARE: -4 PUNTI DAL 2007
Il “dimagrimento” dei consumi ha innescato, negli ultimi anni,
il calo di una variabile strategica come il valore aggiunto espresso dal
settore alimentare, sceso, dal 2007 a oggi, di quattro punti in valori
concatenati. Compriamo di meno e scegliamo prodotti più economici.
Il prezzo è ormai la principale variabile di scelta del consumatore,
ma neanche le promozioni operate dalla GDO riescono ad incentivare i consumi.
La perdita di capacità di acquisto delle famiglie ha portato quindi,
pesanti penalizzazioni a un settore che gioca sulla qualità la
propria identità e la propria immagine detenendo il record UE per
numero di prodotti a denominazione garantita, con oltre 210 unità
riconosciute DOP e IGP e 530 prodotti nella piramide del vino. Eppure
anche in un momento difficile per l''economia del Paese, l’industria
alimentare è riuscita a contenere i prezzi dei prodotti alimentari,
confermando il suo ruolo calmieratore: nel tempo, infatti, le dinamiche
dei prezzi alimentari al consumo (e più ancora a monte, a livello
di prezzi alla produzione) sono state inferiori all’inflazione.
E questo, malgrado le due impennate (2007-2008 e 2011-2012) delle quotazioni
delle commodity agricole, tanto più gravi per un paese strutturalmente
importatore di materie prime come il nostro. Secondo elaborazioni del
Centro Studi Federalimentare, i prodotti dell’industria alimentare
hanno registrato nel gennaio scorso un +2,0% sullo stesso mese del 2012,
confermandosi sotto il tasso di inflazione (+2,2%). Diversa la dinamica
dell’alimentare “fresco”, che invece ha registrato a
gennaio una netta accelerazione, segnando un +4,8% sui dodici mesi. In
realtà, sono ben altre le voci che gravano sul “carrello
della spesa” degli italiani. Basta dire che, sull’arco gennaio
2012 - gennaio 2013, i prodotti energetici sono saliti del +5,4%.
EXPORT (24,8 MILIARDI DI EURO) +8%: ESTREMO ORIENTE E PAESI ARABI SUGLI
SCUDI, ANCHE IN VISTA DELL’EXPO 2015 Con i consumi interni in recessione,
l''export rappresenta una importante valvola di sfogo e di redditività
per il settore: nel 2012 tocca i 24,8 miliardi di euro, +8% sul 2011 e
un''incidenza sul fatturato totale dell''industria alimentare del 19%.
E’ la percentuale più alta di sempre, ma inferiore a quella
di Germania, Francia e Spagna, che oscillano tra il 22% e il 29%, e circa
la metà di quella del manifatturiero italiano nel suo insieme (37%).
Contribuisce a questo gap la grande frammentazione di un settore composto
per lo più da piccole e piccolissime aziende, che hanno maggiori
difficoltà ad andare sui mercati più lontani e promettenti.
Guardando agli sbocchi del made in Italy, l''anno scorso l’area
UE (+4,9%, con punte del +6% in Germania, Francia e UK) è stata
meno dinamica rispetto ai mercati extra-comunitari. Gli USA hanno registrato
un +9,7%, mentre le crescite più significative si sono registrate
nei mercati emergenti. Medio Oriente, con Emirati Arabi Uniti (+41,5%),
Arabia Saudita (+29,1%) e Turchia (+38,5%). Estremo oriente, con Cina
(+20,6%), Giappone (+21,2%) e, soprattutto, Thailandia (+38,5%), Corea
del Sud (+25,9%) e Hong Kong (+19,3%). Significativi anche gli spunti
di il Messico (+35,2%) Russia ( +19%) e Ucraina (+18,0%). Pesa sulle potenzialità
del nostro export il fenomeno della contraffazione e dell’Italian
Sounding, che sfiora i 60 miliardi di euro di fatturato e raggiunge livelli
macroscopici sui mercati più ricchi, come quello nord-americano.
È questa sicuramente l’unica voce premiante e anticiclica
del settore, ma purtroppo anche sul piano delle esportazioni solo l’allargamento
degli sbocchi potrà consentire di preservare, sul lungo passo,
stabilità e spazi significativi di espansione del comparto.
(www.federalimentare.it)
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