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LUOGHI
Gli ulivi monumentali? Reclamano il diritto di “resilienza”
Sono circa 40 milioni di alberi, una popolazione vegetale
estesa di cui almeno il 35 per cento dei quali sono secolari. Abbandono
ed entusiasmo, crucci e speranze, la Puglia olivicola, in molti casi,
ripete le solite carenze strutturali, proteste e proposte latente
“Quando togliamo qualcosa alla terra,
dobbiamo anche restituirle qualcosa. Noi e la Terra dovremmo essere compagni
con uguali diritti. Quello che noi rendiamo alla Terra può essere
una cosa così semplice e allo stesso tempo così difficile
come il rispetto” (Jimmie Begay - Indiano Navajo.)
Il territorio pugliese è anche un’espressione agricola che
conduce vivamente circa 40 milioni di ulivi di cui almeno il 35% di essi,
sono secolari! La legge regionale pugliese di tutela del 2007, non traduce
solo riferimenti tecnici, essa convalida anche idee e azioni locali ormai
diventate esigenze e bene comune.
La Puglia olivicola, in molti casi, ripete le solite carenze strutturali,
proteste e proposte latenti senza le quali non ci sarebbe dibattito, produzione
e protezione.
Abbandono ed entusiasmo, crucci e speranze, sono gli ordinari dondolii
che caratterizzano la complessità economica e sociale della rete
rurale pugliese dove la difficoltà di risalire un cambiamento si
manifesta ogni giorno. La capacità dell’olivicoltura di riassestarsi,
tra costi, prezzi e calamità varie è al limite della tolleranza;
fino a che punto un territorio è in grado di reggere?
In biologia, la resilienza è la capacità di un ecosistema
di ristabilire una condizione di equilibrio dopo uno shock ecologico,
ossia un danno o una perdita di risorse che il sistema stesso produce.
In altre parole, esprime la misura con cui un ecosistema è in grado
di riadattarsi quando subisce un trauma esterno di diversa natura e portata.
Si parla perciò di resilienza, ad esempio, quando si affrontano
questioni riferite a deforestazione e desertificazione, in cui l’Italia
meridionale è direttamente coinvolta.
Nella sua definizione, la resilienza contiene inoltre, i concetti di sensibilità,
vulnerabilità e rischio.
L’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) riporta la definizione
di “sensibilità” come un “area in cui devono
essere adottate misure speciali per proteggere gli habitat naturali che
presentano un elevato livello di vulnerabilità; la vulnerabilità
come un “grado a cui un sistema è suscettibile, o incapace
di far fronte, ad un danno” e di “rischio” come di “perdite
attese (di vite, persone ferite, proprietà ed attività economica
danneggiate) dovute ad un particolare pericolo in una certa area ed in
un periodo di riferimento”. Tale definizioni sono state poi avvalorate
perfino dall’IPCC istituto internazionale che si occupa di cambiamenti
climatici.
Come succede per l’essere umano, attraverso forme di auto regolazione
(omeostasi), quando gli si manifesta addosso il peso della decadenza,
anche l’ulivo tende fisiologicamente a recuperare nel tempo la sua
naturale solidità. Sia l’uomo che l’ulivo sono esseri
in grado di superare o venirne fuori perfino rinvigoriti da un evento
dannoso a meno esso non sia davvero compromettente.
L’uomo naturalmente è in grado di razionalizzare e normalizzare
notevoli capacità di resilienza e riconciliare il suo rapporto
con la Terra.
Ricorrendo alla semplicità di un tempo, ad esempio, all’umiltà
della condivisione etica si fortifica un’affezione verso un territorio
come la Puglia riconosciuta non solo come smisurata residenza di ulivi
ma come fertile contenitore di idee e di nuovi atteggiamenti.
Alla fine avremo il piacere di riconoscere la magnanimità e lo
splendore di un ulivo secolare, quel dolce motivo di condividere un patrimonio,
vissuto e vivibile che restituisce emozioni, razionalità e unione!
Tal equilibrio è stato da sempre un modello di coesistenza tra
il popolo degli ulivi e quello degli uomini.
Il rispetto per gli alberi è un modello di sviluppo formativo,
economico oltre che un attuale estratto di pura civiltà ecologica.
Ecologia della mente, quindi, applicata ad una filiera olivicola, elisir
di un nuovo pensiero globale, creativo, che abbia dentro tutta la secolarità
di un ulivo.
Gli ulivi sono piante, che pur essendo dissimili per forma e carattere,
interagiscono tra loro e con l’uomo attraverso una felice ricombinazione
simbiotica; questa relazione, può intendersi oggi come un gradevole
restituzione alla campagna attraverso cui la monumentalità delle
piante si può ripercorrere e riqualificare la cultura mediterranea.
Un grande bacino di resilienza, quindi, dove si offrono la difesa di una
comunità vegetale, nido o riparo di civile convivenza, serafico
esercito d’ulivi nel cui silenzio è piacevole smarrirsi o
riconsegnarsi.
I territori diventano dissimili quando si accende la fiamma del profitto,
le crisi economiche insuperabili, quando aumentano le competitività
e l’insostenibilità dei soliti errori.
Spesso, quando non si è in grado di riconoscerne le qualità,
l’uliveto si definisce, con comoda e sprezzante indifferenza, un’entità
fisica che divide gli spazi universali da quelli naturali.
Sono queste descrizioni il motivo d’irruenti metodici abbandoni
e dei soliti rapimenti agricoli in nome di uno stravolgente progresso,
dove l’abuso del termine “biodiversità” si rivela,
paradossalmente un ingranaggio svantaggioso.
Ogni millenario legame della comunità rurale è impoverito
e relegato entro confini indefiniti oltre i quali lo sfratto dell’agricoltura
è riproposto come inevitabile olocausto stabilito dall’urgenza
di tutelare altre occupazioni: l’identità senza entità.
La letteratura, l’arte o la storia restituisce il significato di
“bosco di ulivi”, invece, come entità raffigurata da
un insieme ecologico, un apparato naturale dove specie animali e vegetali
convivono in equilibrio. La definizione diventa complessa invece, quando
un oliveto, che per un decreto (d.lgs.18.05.2001 n. 227) e per altre normative,
non rientra come bosco o foresta ma come essenza d’interesse agricolo,
paesaggistico o addirittura, per molti, patrimonio dell’umanità
addirittura come nona meraviglia del mondo.
L’albero dell’ulivo reclama oggi, il cosiddetto “diritto
alla resilienza” senza la cui fotosintesi non ci sarebbe maturità,
partecipazione e progresso; d’altronde come considerare una società
che non identifica o valorizza il territorio cui appartiene. (Mimmo Ciccarese
- www.teatronaturale.it)
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