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IN PRIMO
PIANO
Più di mille prodotti agricoli “salvati” dalla spesa
in campagna
Con la vendita diretta, oltre tremila imprese “difendono”
le antiche tradizioni agricole dall’estinzione. E il 52 per cento
di chi sceglie l’acquisto dal produttore, lo fa anche per “scovare”
queste rarità. Un’indagine della Cia descrive i segreti del
successo di una filiera corta che solo nei primi sei mesi dell’anno
ha portato in azienda 2 milioni di persone.
Non è
solo la crisi a spingere gli italiani a fare la spesa in campagna. Dietro
al crescente successo di questo fenomeno, che nei primi sei mesi dell’anno
ha già coinvolto più di due milioni di consumatori, oltre
al risparmio, ci sono anche tutte quelle specialità della terra,
ignorate dai canali ufficiali della distribuzione alimentare e custodite
solo dai pochi agricoltori che ancora le producono. Dal cacio “marcetto”
abruzzese al liquore di sambuco siciliano, dall’annona calabrese
al sedano nero di Trevi, alla focaccia di barbarià del cuneese:
più di mille sapori dimenticati nelle pieghe del nostro paesaggio
rurale, che risultano i più richiesti dagli “abitué”
della spesa in campagna nelle 3000 aziende che ne perseguono la tradizione.
Lo rileva la Cia-Confederazione italiana agricoltori nel report sulla
“spesa in campagna”, presentato in occasione della VI Conferenza
economica in svolgimento a Lecce.
Se i numeri di questa enogastronomia “alternativa” sono contenuti,
-spiega la Cia- queste rarità dell’agricoltura italiana dimostrano
comunque di avere un grande “appeal” tra i più avvezzi
all’acquisto in azienda. Secondo un’indagine condotta nelle
imprese aderenti alla “Spesa in campagna”, infatti, dopo il
risparmio (82 per cento) e la ricerca di cibi sani (73 per cento), ad
attrarre gli italiani in azienda è proprio la singolarità
di questi sapori (52 per cento) legati alle tradizioni fortemente locali.
Per il 47 per cento del campione, inoltre, la spesa in campagna è
un’ottima occasione per passare qualche ora all’aria aperta.
Questi i motivi alla base del crescente successo della spesa in campagna.
Dopo il “boom” del 2011, che aveva fatto segnare un incremento
del 15 per cento, i primi sei mesi dell’anno -afferma la Cia- confermano
questo trend. Da gennaio a giugno a scegliere i prodotti delle aziende
agricole sono stati già due milioni di italiani: un piccolo esercito
di consumatori attenti e consapevoli, che opta per la qualità e
la tracciabilità degli alimenti, senza dimenticare le esigenze
del portafoglio. Secondo l’identikit tracciato dalla Cia, l’appassionato
della spesa in campagna ha circa 40 anni, un titolo di studio elevato
e almeno un figlio piccolo. Il livello di scolarizzazione è molto
alto, con il 25 per cento di laureati. Tra questi, il 33 per cento sono
insegnanti, il 24 per cento impiegati e il 19 per cento pensionati. Per
il resto, nel 9 per cento dei casi si tratta di liberi professionisti,
nel 5 per cento di imprenditori e nel 3 per cento dei casi di studenti.
“Di fronte a questo rinnovato interesse degli italiani per la campagna
e per i cibi sani della nostra agricoltura -ha spiegato la vicepresidente
nazionale della Cia, Cinzia Pagni-, i produttori si stanno dimostrando
attenti e propositivi, moltiplicando l’offerta e rendendola sempre
più originale e appetibile. Non solo tradizione, quindi. In campagna
molto spesso le antiche produzioni vengono sapientemente reinterpretate
in modo creativo da tante aziende”. C’è chi prepara
l’aperitivo in azienda a base di vini d’annata e formaggi
tipici; o ne inventa di analcolici a base di azzeruolo, melograno, uva
spina, lamponi e tanti frutti di bosco dimenticati; chi ha aperto un’agro-gelateria
o un’agro-latteria a base del latte vaccino prodotto dai propri
allevamenti o chi vende granite al gelso nero di Sicilia, succhi alle
bacche di corniolo e alla pera “volpina”, frullati freschi
alla mela “zittella”, aceto al corbezzolo o pappe per bambini
alla mela “limoncella”, dove l’ingrediente base è
rigorosamente “coltivato” in azienda. Ma non mancano neanche
iniziative originali come percorsi del gusto, “brunch” in
fattoria, merende e pranzi al sacco per il trekking, fino alla ristorazione
vera e propria, che mette nel piatto i prodotti coltivati in azienda per
offrire la massima tracciabilità possibile. Questi e tanti altri
i modi in cui le imprese più dinamiche stanno aggiornando la propria
offerta per sfruttare al massimo il successo in ascesa della vendita diretta.
“Alla base di questo consenso sempre più allargato, c’è
il binomio vincente di qualità e risparmio, che oggi solo la campagna
riesce ad offrire. Nella filiera distributiva ‘classica’,
infatti, fra il produttore e il consumatore -ha affermato il direttore
nazionale della Cia Rossana Zambelli- il prezzo può moltiplicarsi
addirittura di dieci volte. E l’unico modo di “tagliare”
gli innumerevoli passaggi della filiera agroalimentare che gonfiano i
prezzi dei prodotti dal campo alla tavola è proprio la vendita
in azienda, che permette di risparmiare fino al 30 per cento rispetto
alla tradizionale catena distributiva”.
Secondo i calcoli della Confederazione su un budget medio mensile per
alimentari e bevande di 467 euro a famiglia, la “spesa in campagna”
fa spendere circa 140 euro in meno. Cifra che, moltiplicata per dodici
mesi, si traduce in un risparmio annuo di ben 1.680 euro per nucleo familiare.
Non poco, quindi, soprattutto se si considera che la crisi economica ha
costretto una famiglia su tre a “tagliare” il carrello alimentare,
mentre tre su cinque hanno dovuto modificare il menù quotidiano
e oltre il 39 per cento ha scelto di rivolgersi quasi esclusivamente agli
hard-discount e alle promozioni commerciali.
Una panoramica dei prodotti agroalimentari dimenticati
Valle d'Aosta
Ricotta “Serass” affumicata e invecchiata
“Brossa” (burro ottenuto dal grasso recuperato per affioramento
dal latticello)
Piemonte
Focaccia di barbarià (farina di grano e segale)
Aglio di Caraglio
Lombardia
Formaggio di ricotta “Zingherlino”
Mortadella di fegato di maiale del Parco del Ticino
Trentino Alto Adige
“Parapampolo” della Valsugana (liquore a base di caffè,
grappa e zucchero)
Suiga del Vanale (salume di maiale con le rape)
Friuli Venezia Giulia
“Pestaat” di Fagagna (insaccato di maiale con verdure)
“Brovada” (rapa aromatizzata alla vinaccia)
Veneto
Cavolo “cappuccio” di Vinigò
Soppressa con l’ossocollo
Emilia Romagna
Pera “volpina”
Gallina modenese
Liguria
Chinotto di Savona
“Brussu” (formaggio cremoso piccante dei pastori delle Alpi
liguri)
Toscana
Zafferano del Chianti
Pollo del Valdarno
Umbria
Sedano nero di Trevi
Fava “cottora” dell’amerino
Marche
Vino cotto o “sapa”
Farina di mais rosso di Roccacontrada
Lazio
Fico “romanella”
Zucchina “trombetta”
Abruzzo
Cacio “marcetto” del teramano
Ventricina vastese
Molise
Stracciata alto-molisana
Mela “limoncella” e mela “gelata”
Puglia
Sponsali di cipolla
Finocchio marino sott'aceto del Salento
Campania
Broccolo “di Natale” dell'Agro nocerino
Cicerchia del Cilento
Basilicata
Lupino del Pollino
Farina di “carosella”
Calabria
Fileja (pasta di grano duro “squadremi”)
Ficodindia Coccorino
Sicilia
Mora di gelso
Corbezzolo
Sardegna
Patata viola di Santu Lussurgiu
Formaggio “greviera” di Orzieri
(fonte www.cia.it)
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