|
IN PRIMO
PIANO
Consumi sempre peggio, spariscono i piccoli negozi
Ufficio Studi: "Il 2012 dovrebbe presentare la peggiore variazione
negativa dei consumi pro capite della storia della Repubblica (oltre il
-3 per cento)". Sempre meno i piccoli esercizi al dettaglio mentre
crescono discount e media e grande distribuzione.
"Il 2012 dovrebbe presentare la peggiore variazione negativa della
spesa reale pro capite della storia della Repubblica (oltre il -3%)":è
la stima di Confcommercio, che spiega come tra il terzo trimestre del
2007 e il secondo trimestre di quest'anno i consumi procapite degli italiani
sono diminuiti in termini reali del 6,5%. All'interno di questo perimetro
fortemente recessivo, solo pochissimi settori di spesa (la telefonia e
l'informatica) e solo un canale di distribuzione, il discount, tengono
i livelli di fatturato reale del 2011. Nel 1 semestre del 2012, infatti,
la grande distribuzione nel complesso ha registrato in termini tendenziali
un modesto incremento (+0,1%), contro una flessione del 2,6% del fatturato
delle imprese operanti su piccole superfici. A tenere un profilo di crescita
più dinamico nei primi 6 mesi dell'anno sono solo i discount (+1,8%)
ed i supermercati (+1,4%). E' del tutto evidente che al netto di un'inflazione
di poco superiore al 3%, il potere d'acquisto del sistema commerciale
si sia ovunque ridotto. Crisi e calo dei consumi si ripercuotono sui piccoli
esercizi al dettaglio il cui stock, pari a poco più di 757mila
unità nel 2011, è in diminuzione rispetto al 2010 (-0,1%);
in flessione anche il fatturato di questa tipologia distributiva (-2,6%
nei primi sei mesi del 2012), mentre cresce quello dei discount (+1,8%)
e dei supermercati (+1,4%). Questi i dati sulla struttura territoriale
della distribuzione commerciale per canale di vendita contenuti nel "Rapporto
sulle economie territoriali e il terziario di mercato" realizzato
dall'Ufficio Studi Confcommercio. Molise (-1,9%), Friuli Venezia Giulia
(-1,1%) e Liguria (-0,9%), le regioni che, nel complesso, registrano le
maggiori "perdite" di esercizi; tra i comparti merceologici,
spicca l'aumento nel settore delle apparecchiature informatiche e telecomunicazioni
(con un +2,6% di esercizi), mentre si conferma lo stato di difficoltà
dei negozi di mobili e arredamento che si sono ridotti dell'1,3% con punte
di quasi il 2% al Sud e nel Nord-Est; prosegue lo sviluppo delle medie
e grandi superfici, con minimercati e supermercati che aumentano prevalentemente
al Centro e al Sud e ipermercati e grandi magazzini in espansione al Nord;
rilevante, nel sistema distributivo italiano, il ruolo di altre tipologie
di vendita che hanno raggiunto ormai un elevato livello di diffusione,
come il commercio ambulante (oltre 175 mila imprese di cui quasi la metà
al Sud), le imprese di e-commerce (+19% rispetto al 2010), e la vendita
attraverso i distributori automatici (oltre 2 milioni di macchine installate
in Italia). Tra il terzo trimestre del 2007, punto di massimo per l'economia
italiana, e il secondo trimestre del 2012, i consumi pro capite degli
italiani sono diminuiti in termini reali del 6,5%. Il 2012 dovrebbe presentare
la peggiore variazione negativa della spesa reale pro capite della storia
della repubblica (oltre il -3%). All'interno di questo perimetro fortemente
recessivo, solo pochissimi settori di spesa (la telefonia e l'informatica)
e solo un canale di distribuzione, il discount, tengono i livelli di fatturato
reale del 2011. Si comprimono i redditi dei cittadini italiani e ciò,
trasferendosi nella depressione dei consumi, colpisce tutto il sistema
commerciale, soprattutto nelle componenti meno caratterizzate da efficienza
di costo e capacità d'innovazione. Nel 1° semestre del 2012,
infatti, la grande distribuzione nel complesso ha registrato in termini
tendenziali un modesto incremento (+0,1%), contro una flessione del 2,6%
del fatturato delle imprese operanti su piccole superfici. A tenere un
profilo di crescita più dinamico nei primi 6 mesi dell'anno sono
solo i discount (+1,8%) ed i supermercati (+1,4%). E' del tutto evidente
che al netto di un'inflazione di poco superiore al 3%, il potere d'acquisto
del sistema commerciale si sia ovunque ridotto. E' difficile immaginare
dinamiche di prezzo molto differenziate tra canali di vendita. La forte
concorrenza che caratterizza il nostro pluralismo distributivo, non consente
rendite di posizione di alcun genere, a differenza di quanto accade in
altri settori produttivi ancora protetti. A conferma di queste valutazioni,
la Nielsen rileva che nei primi sette mesi del 2012 il prezzo medio del
venduto presso gli ipermercati è cresciuto del 2,4%, quello del
venduto nei negozi tradizionali dell'1,1%. In entrambi i casi si tratta
di dinamiche distanti dall'inflazione media: che è inflazione da
materie prime, soprattutto energetiche, e da politiche fiscali restrittive
(accise e Iva). Gli effetti della forte e duratura contrazione della domanda
si sono tradotti in un mutamento radicale delle quote di mercato, a detrimento
dei negozi tradizionali e a favore del discount che ha raggiunto una quota
di mercato, in termini di fatturato, pari a circa il 10% sul totale dei
consumi alimentari, delle spese per la persona e del chimico casa. Tutto
ciò conduce al ridimensionamento, lento ma inesorabile, dei negozi
che animano i tanti centri storici del nostro paese. non è un fenomeno
fisiologico di selezione dei migliori, che avrebbe riflessi positivi sulla
produttività aggregata, ma è evento patologico, che affonda
le radici nella crisi dei redditi e nella conseguente riduzione dei consumi
delle famiglie.
La distribuzione regionale dello stock di imprese commerciali e le dinamiche
settoriali della nati-mortalità riflettono la declinazione territoriale
di questi fenomeni. Il Mezzogiorno risulta particolarmente colpito nel
corso del 2011. La cosa non può e non deve stupire, anche soltanto
in considerazione del fatto che dei 3,4 milioni di persone assolutamente
povere, quelle che secondo l'Istat non sono in grado di acquistare un
paniere minimo di beni e servizi di sussistenza, il 54% risiede al Sud.
In altri termini l'8,8% della popolazione del Mezzogiorno è da
considerarsi povero nel senso assoluto sopra precisato. Gli imprenditori
del commercio nel Mezzogiorno sono tra i primi a pagare le conseguenze
di queste dinamiche eccezionalmente critiche. (www.confcommercio.it)
Torna all'indice di ASA-Press.com
|
|
|