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IN PRIMO
PIANO
Le donne in prima linea a difesa della biodiversità
In Italia sono centinaia quelle
che custodiscono semi e razze rare di animali. Da un convegno promosso
dall’associazione “Donne in Campo” della Cia, all’interno
della rassegna “Terra Futura” di Firenze, parte un appello
delle imprenditrici agricole: “Sarebbe delittuoso sottovalutare
il problema della tutela della biodiversità. Fare chiarezza sulle
norme che regolano la commercializzazione e la coltivazione di semi non
brevettati”.
La biodiversità si sta progressivamente riducendo. In un secolo
si sono estinte trecentomila varietà vegetali. Solo nel nostro
Paese, sono a rischio di estinzione, ad esempio, ben 1500 specie di frutta.
La stessa sorte è riservata agli animali domestici: negli ultimi
cinquant’anni abbiamo perso almeno ottanta razze tra bovini, caprini,
ovini, suini ed equini. Un problema complesso e di grandissima rilevanza
che la Cia, più volte e a più riprese, porta all’attenzione
pubblica con iniziative e specifici progetti di lavoro. Dall’“Albo
degli agricoltori custodi” all’“Atlante dei saperi e
dei sapori”. Ora, anche le “Donne in Campo”, le imprenditrici
agricole aderenti alla Cia, si candidano a interpretare un ruolo da protagoniste
nella difesa del patrimonio biodiverso e nel recupero di varietà
a rischio d’estinzione, per incidere sulle leggi che regolano la
spigolosa materia dei semi nel nostro Paese. Un concetto espresso sia
da Maria Annunziata Bizzarri che da Mara Longhin, rispettivamente Vice
Presidente e Presidente nazionale di “Donne in Campo”, nei
loro interventi al convegno promosso dall’associazione delle imprenditrici
agricole, all’interno della rassegna “Terra Futura”,
in svolgimento a Firenze, sul tema: “Le donne per la biodiversità:
innovazione nella tradizione”.
Del resto, l’agricoltura italiana -è stato detto durante
il convegno- è sempre più “rosa”: un’impresa
su tre è guidata da donne, che stanno dimostrando di avere una
visione lungimirante su alcune scelte di fondo in materia di agricoltura
sostenibile, dando prova di maggiore sensibilità e attenzione rispetto
agli uomini. Il convegno nasce da questa logica. Molte vecchie razze e
varietà locali -hanno evidenziato le imprenditrici della Cia- sono
a rischio di estinzione perché soppiantate dalle varietà
più produttive adatte ai sistemi di allevamento e coltivazione
intensivi e alle regole del mercato globale. In questo schema -hanno spiegato
le Donne in Campo- si inserisce tutta la partita connessa alle sementi,
il problema dei brevetti e i vincoli sulla commercializzazione, con una
legislazione sulla materia, che presenta molte zone d’ombra, come
il divieto sia del dono che del libero scambio tra agricoltori di semi
non coperti da brevetto.
L’intervento nel convegno di Vandana Shiva ha un grande valore simbolico
-hanno sostenuto le Donne in Campo- che allarga la discussione a livello
internazionale per aprire un serio dibattito. La scomparsa di una varietà
o di una razza -hanno sottolineato le agricoltrici- è una perdita
per l’intero territorio poiché significa la scomparsa di
un pezzo di storia, della nostra cultura, della nostra memoria, dei saperi
sviluppati dagli agricoltori e dalle comunità locali di uno specifico
territorio. Custodire e portare a produzione una pianta “rara”
così come allevare un animale in via d’estinzione, vuol dire
-hanno sottolineato le imprenditrici agricole- salvare un patrimonio economico,
sociale e culturale straordinario, fatto di eredità contadine e
artigiane ricche e complesse.
Il convegno è stato arricchito dalle testimonianze dirette di alcune
agricoltrici italiane, Elisa Bigianini, Manuela Cozzi, Lucia Andreotti
e Barbara Gobbi, che custodiscono quattro esempi di biodiversità
a rischio estinzione: il “cece pergentino”,il “grano
marzolo”, la “pecora sopravvissana”, la “vacca
marchigiana”. Grazie al loro appassionato e responsabile lavoro
queste specie e varietà sopravvivono nel nostro Paese. Il convegno
-hanno concluso le “Donne in Campo”- è stato anche
occasione per mettere in relazione donne agricoltrici di tutta Italia,
per scambiare esperienze e conoscenze.
E non solo. Hanno portato con loro molti altri esempi di biodiversità
da salvaguardare come il “mais maranino”, il “fagiolo
straccione”, l’“iris fiorentino”, il “pomodoro
pisanello”, i “fagioli borlotti lingua di fuoco” le
“melanzanine genovesi”, i “semi di Guado” e il
“fagiolo gentile con l’occhio”. (www.cia.it)
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