PRODOTTI

Tradizione & innovazione nell'agroalimentare
Connubio o disfida?

Gran parte della stampa che si occupa di food & beverage è pervasa da una sorta di partigianeria verso ciò che fu, sorvolando, o dimenticando, che la società, gli stili di vita e di conseguenza i consumi, compresi ovviamente quelli alimentari, sono cambiati. Anzi, sono in continua mutazione. Perciò, può essere poetico ma è perlomeno ingenuo rimpiangere i buoni vecchi vini del contadino; chiederci dove sono finiti i profumi delle pesche d'un tempo, i brasati di una volta… "quattro ore di fuoco lento ma che sapori!". Puerile crucciarsi per le crostate di frutta fresca che preparava zia Alberta, sospirare per il burro giallo paglierino, angosciarci per gli ortaggi dell'orto che odoravano di terra e rugiada, affliggerci per quei grassi cotechini inguainati nel vero budello, intristirci per le trote d'allevamento tanto diverse da quelle guizzanti nei torrenti. Suvvia, facciamocene una ragione, preserviamo ciò che ancora rimane e difendiamo quei pochi operatori che sanno come lavorar bene ma smettiamola di fare del sentimentalismo fuori luogo. Vince un bel premio chi scova una casalinga-massaia, o se volete uno chef, che trova il tempo di cuocere per quattro ore un brasato di manzo o uno stracotto d'asino. Ma ammesso d'individuarli, trovare carni che reggano la cottura per quattro ore senza diventare una ignobile purea. Superfluo spiegare il perché ma fugacemente lo rammento: i tempi di cottura sono cambiati perché sono cambiati i metodi d'allevamento dei capi di bestiame, è cambiata la loro alimentazione, il loro habitat, si sono modificati i criteri degli incroci genetici e cosi via.
E allora sotto a recitar peane per il biologico, che di bio ha spessissimo solo l'etimo; pollice verso, anzi, guerra aperta agli Ogm, anche se è tutta da comprovare la loro eventuale nocività. Parentesi: è utile ricordare che le manipolazioni esistono da sempre, e da sempre i nostri pro-pro-pro avi hanno maneggiato i frutti della terra e gli armenti, ieri magari in modo un po' naif andando per approssimati tentativi per ottenere miglioramenti genetici e rese più cospicue, ma comunque negli anni modificandoli sostanzialmente.
Crediamo forse che le patate piuttosto che i pomodori che si mangiavano l'altrieri e mangiamo oggi sono quelli selvatici scoperti dai popoli andini in epoca pre-Pizarro? E così, il frumento, il mais, il riso, il latte, i formaggi, il vino, la frutta e un buon numero di specie ittiche. Il mandarancio, ad esempio, che è un ibrido, o le clementine dalla buccia sottile e senza semi cosa sono se non il risultato di manipolazioni genetiche che non sono state certamente eseguite nei laboratori della Monsanto o della Novartis ? Nota: nella fattispecie le clementine le ha ricavate dopo una serie di innesti e incroci un frate greco appassionato di botanica sbarcato sulla costa ionica che di nome faceva Clemente.

Le attese dei consumatori

Rammentando queste realtà mi procurerò comunque una buona dose di critiche ma a conforto ci sono alcuni recentissimi dati sulle attese della gente comune (i cosiddetti normali consumatori), raccolti trasversalmente tra tutti i ceti socioculturali in Europa, nel Nord e Sud America e in Asia (fonte Xtc) che hanno detto la loro circa le innovazioni nell'agroalimentare. Cosa si aspetta quindi questo campione altamente rappresentativo dalle inevitabili innovazioni di cibi e bevande? Gli assi portanti sono nell'ordine: piacere, praticità, salute, fitness ed etica. E per soddisfare queste attese, le industrie alimentari, e più a monte, coltivatori e allevatori si sono adeguati.
Certo, dalle nostre parti è difficile innovare preservando gli elementi che storicamente ci hanno resi famosi nel mondo per il buon gusto e la grande varietà dei prodotti alimentari di cui disponiamo. Segnatamente al cibo, l'approccio degli italiani conferma (quantomeno negli intenti e nelle dichiarazioni) l'impronta tipicamente famigliare e culturale che abbiamo, ossia un marcato valore della tradizione. Se però andiamo invece a verificare i comportamenti, la musica cambia. Cifre e percentuali possono apparire noiose ma hanno il pregio di fotografare nitidamente ciò di cui si parla. Pertanto, se diamo un'occhiata ai numeri di spesa ricavati dalle rilevazioni di Iri Infoscan, osserviamo che le performance di alcune categorie di prodotti innovativi lanciati in Italia sono eclatanti. Ne cito solo alcune: prendiamo i piatti pronti surgelati chiamati stir fry (ma ci sono anche i freschi che marciano fortissimo), per loro sono stati spesi lo scorso anno 208 milioni di euro con una crescita del 44,3% rispetto l'anno precedente; per i pre affettati confezionati (che in sé non è poi una grande innovazione ma evidentemente lo è dal punto di vista del servizio) la spesa è stata di 115 milioni di euro con una crescita del 76%; per le bevande a base di frutta (con buona pace delle sane spremute di frutta fresca, evidentemente laboriose da preparare nonostante l'ampia gamma di elettrodomestici disponibili) la crescita è stata del 36,6% e la spesa è stata la "bazzecola" di 704 milioni di euro. Che dire poi di un cibo veramente frugale qual è il tonno in scatola, "risolutore maximo" (così si pensa) per single sprovveduti? Vero che i single d'entrambe i sessi sono sempre di più, ma l'innovativo "tonno con contorno" ha avuto lo scorso anno una crescita del 194% !!! con una spesa per il suo acquisto di una quarantina di milioni di euro sborsati verosimilmente non solo da scapoli imbranati e zitelle in crisi esistenziale.
Secondo tradizione la prima colazione dell'Italia contadina era pane e olio, o lardo, oppure polenta fredda da inzuppare in scodellone di latte appena munto, poi, più modernamente, si è passati al classico trittico pane-burro- marmellata, vero? Oggi invece biscotti e brioches cellofanate vanno via a tonnellate, per tacere dei cereali che hanno registrato una crescita del 28% e per i quali abbiamo speso 220 milioni di euro.
Se poi vogliamo dare un'altra occhiata alle innovazioni riguardanti lo zucchero, passato da banale commodity a status (in zollette, di canna, vanigliato, super raffinato, aromatizzato alla violetta, alla cannella, al cardamomo, ecc), o al riso, anzi alle decine di qualità di risi, che oltre che disponibili tal quali o arricchiti di funghi, verdure e gamberetti sono pronti da consumare in sempre meno tempo e ora sono diventati anche pasta. Oppure, passando all'ortofrutta, da rilevare il boom inarrestabile delle insalate di quarta gamma (la quinta, ossia ortaggi affettati, grigliati e conditi sta già marciando alla grande), così come alcuni tipi di frutta tagliate, zuccherate pronte da mangiare i qualsiasi situazione poiché le confezioni sono dotate di pratiche forchettine usa e getta. Da citare ancora, per via dei notevoli volumi e delle relative spese che comportano, merendine e snack d'ogni tipo, forma, colore e sapore. E ancora, le infinite elaborazioni degli avicoli, dei würstel, dei sostitutivi del pane, dei cento e più tipi di yogurt e degli oceani di latte proveniente da ogni dove che dalla mungitura al consumo passa più tempo di quello di un matrimonio moderno.
Un bel discorso a parte meriterebbe l'italico vino. Ormai anche il più sciovinista ed esterofilo non può non ammettere che l'intera filiera enoica italiana negli ultimi 20-25 anni ha fatto passi da gigante offrendo ai mercati prodotti molto buoni quando non eccellenti. Certo diversi, molto, ma molto diversi da quelli del rimpianto "contadino" d'un tempo. Che significa? Significa che manipolazioni nei vigneti con innesti, incroci, trattamenti nei suoli e sulle piante con chimica adeguata, e in cantina con l'ausilio di tecnologie e infrastrutture d'avanguardia lo hanno permesso.
Insomma, osservando quotidianamente ciò che ho sommariamente descritto, rammentando che non è che una piccola parte di quello che è sotto gli occhi di tutti, - o meglio, di chi vuol vedere - si evince che le tradizioni sono nel cuore, nella mente e negli auspici di ognuno di noi (ed è giusto difenderle vivaddio) ma all'atto pratico…

Giuseppe Cremonesi


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