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PRODOTTI
E' crisi profonda
per l'ortofrutta
Acrobazie lessicali, scuse e patetici scaricabarili
per celare disorganizzazione, carenze strutturali macroscopiche nonché
ingiustificati pesanti ricarichi sui prezzi finali.
La
22a edizione di Macfrut che si terrà nella sede storica di Cesena
dal 5 all'8 maggio prossimi sarà, o meglio, dovrà essere
per tutti gli operatori di questo importante settore agroalimentare il
momento focale per dire chiaramente qual è lo stato dell'arte del
comparto, quali misure concrete e quali strumenti reali verranno utilizzati
per uscire dalla pesante crisi che lo attanaglia.
Un momento di confronto indispensabile che dovrà essere franco
sino alla spietatezza senza l'evocazione delle solite litanie di ipocrite
scusanti: clima avverso, aggressività della concorrenza straniera,
costi della manodopera, leggi e decreti bizantini e via salmodiando.
Poiché sono ragionevolmente pessimista non credo affatto che dall'importante
rassegna cesenate scaturirà una volta per tutte quella svolta decisa
che tutti si attendono. Troppi gli attori da mettere d'accordo, troppi
gli interessi, troppi in realtà (ma sempre pochi per alcuni) gli
aiuti e le provvidenze comunitarie, statali, regionali, provinciali, comunali,
ecc a cui rinunciare. Quindi temo fortemente che si udranno i soliti auspici,
le solite promesse, le solite indicazioni sul cosa e come fare senza che
poi nessuno faccia niente. Vero è, come sintetizza Domenico Scalpellini,
presidente di Agri Cesena "che manca ancora un progetto per l'Italia
agricola" ma mancano anche ben altre cosette. Per esempio le pianificazioni
delle semine (io pianto pomodori perché rendono, io la soia perché
i contributi Ue sono notevoli, io i kiwi, io le pere, io i finocchi ma
non le patate) tutti coltivano di tutto a ruota libera senza alcun collegamento
tra produttori, cooperative et similia e le esigenze dei mercati che,
peraltro, nessuno monitora. Manca inoltre una logistica efficiente, informatizzata,
capace di stoccare volumi consistenti di derrate, condizionarle e smistarle
seguendo logiche di just in time. Non mancano, al contrario, le filiere,
lunghe, lunghissime e tortuose così da foraggiare un po' tutti
(faccendieri, intermediari, grossisti, buyer, mercati generali, trasportatori,
ma anche frange di malavita come riporta sovente dalla stampa), tutti,
tanti, salvo gli agricoltori che hanno ricavi sempre più risicati
e, ovviamente, i consumatori che subiscono oscillazioni di prezzi incontrollate.
Neppure alle Borse mediorientali o balcaniche avviene ciò che accade
ai prezzi degli ortofrutticoli in Italia. Da un giorno all'altro le zucchine
piuttosto che le fragole, le melanzane o le carote, hanno prezzi raddoppiati
senza nessuna ragione o giustificazione plausibile. Anzi, i commercianti
(dalla bancarella alla "boutique dell'insalata") sono talmente
spudorati che se durante la notte è nevicato o a piovuto, ad esempio,
a Siracusa o nel Cuneese) a Milano o a Genova gli stessi peperoni e i
cespi di lattuga esitati ieri, oggi costano il 40% in più imputando
il rincaro alla neve o alla pioggia.
Non sono sadico, ma mi piacerebbe sapere cosa ribadirebbe una casalinga
(pardon non esistono più, diciamo una/un responsabile acquisti
di una famiglia italiana) ai commenti sull'andamento del settore nel 2004
da parte di Gino Peviani presidente dell'Associazione nazionale esportatori
importatori ortofrutticoli e agrumari (Aneioa) il quale ha precisato che
è stata un'annata "difficile e tormentata e che ci sono stati
due elementi che hanno giocato un ruolo determinante: il clima estivo
sfavorevole e una produzione in crescita in tutta Europa che ha generato
un eccesso di offerta".
A tale affermazione il suddetto responsabile acquisti potrebbe aver avuto
uno smarrimento, chiedendosi se gli ortofrutticoli sono cose diverse da
tutte le merci soggette al commercio che rispondono ad una logica basilare,
ossia: eccesso d'offerta = diminuzione dei prezzi. Invece no, per l'ortofrutta
questo scontata legge di mercato non vale. Anzi, vale l'opposto, i prezzi
salgono.
Risultati? Eccoli sintetizzati in qualche cifra. Le famiglie italiane
hanno acquistato lo scorso anno 8.266milioni di tonnellate di ortofrutticoli
freschi, il 4,6% meno rispetto al 2003, spendendo 11,9 miliardi di euro
con un calo del 6,52%. La bilancia commerciale pur mantenendosi in attivo
di 585 milioni di euro si è erosa del 10% rispetto al 2003. Scese
anche le esportazioni globali del 2,7%, unica voce in controtendenza gli
agrumi che segnano un bel + 23,9% mentre la voce di maggior peso, ossia
la frutta fresca scende sotto i 2 milioni di tonnellate segnando un calo
del 5,4%. Il raffronto con le importazioni è consolante soltanto
per il già citato Peviani il quale ammette "che il risultato
di bilancio può definirsi soddisfacente: crescono le importazioni
ma l'Italia può ancora considerarsi un Paese esportatore".
Fino a quando? Al Mafrut si parlerà anche di questo
Giuseppe Cremonesi
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