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Nomisma: nasce 'Wine Monitor' l'osservatorio sul mercato del vino
Cambia il mercato del vino e le imprese
italiane devono modificare le proprie strategie produttive e commerciali.
Così Nomisma ha previsto Il lancio di Wine Monitor per il prossimo
3 aprile, nell'ambito di un convegno intitolato ''Quale futuro per il
vino italiano?'' dove si confronteranno le istituzioni e le principali
imprese vinicole italiane sulle criticità e prospettive che il
mercato sembra riservare ai nostri prodotti.
Tra i relatori, oltre al presidente di Nomisma Pietro Modiano e agli esperti
di Wine Monitor, saranno presenti Rolando Chiossi del Gruppo Cantine Riunite
& CIV, Donatella Cinelli Colombini delle Fattorie Cinelli Colombini,
Emilio Pedron di Tenimenti Angelini, Antonio Rallo di Donnafugata, Gianni
Zonin di Casa Vinicola Zonin nonché il Presidente della Commissione
Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo, Paolo De Castro.
In uno scenario contraddistinto da consumi in continuo e strutturale diminuzione
a livello nazionale e, all'opposto, da crescite esponenziali nei paesi
extra-europei, le imprese italiane del vino hanno sempre più bisogno
di strumenti utili alla comprensione delle tendenze e delle dinamiche
in atto nei diversi contesti di consumo.
Si tratta di tendenze consolidate che ormai hanno sostanzialmente diviso
a metà il mercato del vino prodotto in Italia. Il 2012 ha infatti
consegnato alla storia un ulteriore record dell'export, con il raggiungimento
dei 4,66 miliardi di euro di vini venduti oltre confine (+6,6% rispetto
al 2011) per un quantitativo pari a 21 milioni di ettolitri, in calo di
quasi il 9% rispetto all'anno precedente ma che se comparati alla produzione
media dell'ultimo biennio indicano sostanzialmente come ormai metà
del vino prodotto in Italia venga consumato all'estero. Sono ormai un
lontano ricordo gli anni in cui gli italiani - eravamo nel 1995 - si bevevano
35 milioni di ettolitri di vino, più del 60% dell'intera produzione
nazionale.
Anche i paesi di destinazione segnalano un'ulteriore bipartizione: sempre
nel 1995, l'Unione Europea pesava per il 70% sul valore delle nostre esportazioni
vinicole. Oggi, dopo diciassette anni tale ruolo si è ridimensionato
al 52%.
Insomma, il futuro del vino italiano sembra essere legato a mercati geograficamente
sempre più distanti. E qui si gioca la vera sfida per le nostre
aziende.
In Italia, i produttori di vino che possono vantare un fatturato superiore
ai 50 milioni sono meno di 30. A questo ''ridotto'' aggregato di medie
e grandi imprese si deve quasi il 40% dell'export complessivo. Questo
significa che il rimanente 60% del vino italiano esportato avviene ad
opera di piccole e medie imprese, operatori cioè che nella maggior
parte dei casi non possiedono un export manager o più semplicemente
mancano di quella forza commerciale e organizzativa in grado di rispondere
in modo efficace alle sollecitazioni che derivano da questi mercati ''lontani''.
D'altronde, neanche le imprese più strutturate riescono sempre
a tenere la posizione in questi contesti: basti pensare alla Cina, dove
a fronte di una crescita delle importazioni di vini imbottigliati che
nel giro di dieci anni sono passate da 9 a 1.376 milioni di dollari, la
quota dell'Italia è scesa dall'8% al 5,7%. Chi ci ha guadagnato
sono stati soprattutto i vini francesi, cresciuti dal 43% al 53%. (www.asca.it)
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