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ENTI E
MINISTERI
Burocrazia del cavolo L'Europa ci vieta pure gli orti
Bruxelles vuole bandire i semi
non certificati. La regola vale pure per i coltivatori amatoriali
Vietato coltivare zucchine, peperoni, scalogni a meno che non abbiate
comprato i semi dalle multinazionali che si spartiscono un mercato mondiale
da 13 miliardi di dollari. Orti fuorilegge se non li avete impiantati
facendo gli interessi della Monsanto, della Du Pont, della svizzera
Syngenta, della tedesca KplusS o dell’Israeli Chemicals, che sono
poi anche quelli che governano il ricchissimo mercato degli Ogm. C’è
un grande fratello anche nei campi - chi controlla i semi, controlla l’agricoltura
- e ha il volto degli burocrati di Bruxelles. Perché l’Europa
vuol mettere fuorilegge gli orti e le coltivazioni amatoriali, oltre a
obbligare i contadini a comprare i semi dalle aziende certificate, cioè
le multinazionali. Tanto che appare surreale tutta la discussione sugli
Ogm (organismi geneticamente certificati), che Bruxelles fa finta di accettare
e che invece ha un gran voglia di mettere a tacere.
AGENZIA CONTINENTALE - L’Italia, come si sa, si oppone agli
Ogm: di recente il neoministro dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo
ha ribadito il no alla sperimentazione a pieno campo. Ma ora l’Unione
fa un passo ulteriore. La Commissione avanza una legge che vieta di coltivare,
riprodurre e commercializzare i semi di ortaggi che non sono stati approvati
da una nascente “Agenzia delle varietà vegetali europee”.
Il divieto che ingrassa la burocrazia dell’Unione diventa obbligo
per i coltivatori professionali, e sarebbe esteso anche a chi coltiva
per hobby, a chi si fa l’orto sotto casa, ai pensionati che cercano
di arrangiarsi raccogliendo melanzane e cipolle.
CAMBIALE ALLE MULTINAZIONALI - Apparentemente la norma è per tutelare
il consumatore, in realtà è un’altra cambiale staccata
alle multinazionali che commercializzano sementi sterili proprio per evitare
che i contadini possano riprodurli. E mentre la Commissione vieta gli
orti, dall’altra nulla ha mai fatto perché le etichette delle
bustine dei semi - anche quelle che si comprano al supermercato e che
però valgono un giro d’affari solo in Italia di circa 10
milioni di euro, in aumento causa crisi perché chi può prova
a farsi gli spinaci in casa - fossero trasparenti. Se ne conoscesse cioè
contenuto, provenienza, anno di coltivazione e resa. Teoricamente, se
meno del 90% dei semi contenuti in una bustina germoglia si potrebbero
chiedere i danni. Ma tant’è.
PETIZIONI SUL WEB - Tornando alla “Plant Reproductive Material Law”,
è un colpo durissimo alla piccola agricoltura. Fa seguito a una
sentenza della Corte di Giustizia europea, che nell’agosto scorso
ha vietato di detenere e propagare semi antichi. In pratica, se
un coltivatore si fa il seme da solo perpetuando piante sue, è
fuorilegge. Per poterlo fare, in base alla nuova norma, dovrebbe far certificare
i propri semi, spendendo attorno ai 15mila euro. Perché d’ora
in avanti si potranno usare solo semi brevettati - quelli delle multinazionali,
appunto. Così facendo l’Europa azzera la biodiversità
e omologa tutte le coltivazioni. E, come sempre capita in materia agricola,
a rimetterci sarà l’Italia, che detiene da sola il 25% della
biodiversità continentale, ma non ospita i colossi delle sementi.
La norma proposta dalla Commissione europea è ancora una volta
un favore fatto a Germania e Francia. Alla tedesca KplusS (capitale di
sei miliardi, fatturato vicino ai tre), che è il quinto player
mondiale nell’enorme mercato delle sementi e degli Ogm, e alla francese
Graines Baumaux Sas, la multinazionale che ha provocato la sentenza della
Corte di Giustizia che ha condannato l’associazione no profit Kokopelli,
attiva anche in Italia nella conservazione dei semi antichi e nella diffusione
della biodiversità agroalimentare. Così, anche stavolta
la Commissione rischia di alimentare il già forte sentimento
anti-europeo. Sul web è già partita una petizione globale
che in poche ore è arrivata a decine di migliaia di firme, per
chiedere al Parlamento di Strasburgo di bloccare la legge. Insomma, i
coltivatori hanno riscoperto che l’orto del vicino è sempre
più verde. Se non è frutto della globalizzazione.
(Carlo Cambi - www.liberoquotidiano.it)
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