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ENTI
E MINISTERI
Usa, la crisi stritola le “banche
del cibo”
Operano senza scopo di lucro in aiuto
delle fasce più deboli nell’ambito di un programma federale,
ma con i tagli governativi non riescono più a far fronte all’aumento
di richieste
Se lo tsunami finanziario esploso oltre quattro anni fa ha messo a dura
prova le banche di Wall Street, oggi a finire nella morsa della crisi
sono le «banche del cibo». E il conto viene presentato, ancora
una volta, ai cittadini più poveri. In questo caso non sono la
contrazione di liquidità o i debiti pubblici straripanti la genesi
di questa ennesima emergenza: la crisi in oggetto è quella legata
alla siccità che tra 2011 e 2012 ha segnato una stagione record
negli Stati Uniti.
Le ricadute sui prezzi dei prodotti alimentari sono state assai pesanti
e hanno causato il progressivo prosciugamento dei forzieri delle «food
bank». Si tratta di istituzioni senza scopo di lucro che operano
a sostegno delle persone disagiate, di coloro che non si possono permettere
neanche un carrello di spesa al «discount». Operano nell’ambito
di un programma federale chiamato «Emergency Food Assistance»:
il governo acquista sui mercati, carne, frutta e verdura in eccedenza
e la distribuisce alla banche del cibo nella forma di bonus. Così
da una parte stabilizza il mercato ed evita cadute dei prezzi, dall’altra
funziona come una banca centrale per le «Food bank». Queste
ultime operano come filiali, distribuiscono i generi alimentari direttamente
ai cittadini bisognosi o li smistano ai centri di assistenza, chiese e
ricoveri ad esempio. Ma quando la domanda è elevata come è
accaduto tra il 2011 e il 2012 a causa della siccità e dell’aumento
della popolazione complessiva, il governo non ha interesse a intervenire.
Così le forniture per le banche del cibo si riducono, mentre queste
devono far fronte a una richiesta sempre crescente a causa dell’impoverimento
dettato dalla crisi, questa volta però quella finanziaria. Ancor
più con l’emergenza causata dall’uragano Sandy che
ha ulteriormente compromesso la situazione della banche del cibo nella
regione del Nord-est degli Stati Uniti, e oltre che nell’area newyorkese.
«Stiamo rimanendo con gli scaffali vuoti», spiega Peggy Taylor,
gestore di una «food bank» della One Accord Baptist Church
di Martinsville, in Virginia. Racconta che il numero di cittadini che
si rivolgono a loro è raddoppiato in un anno a 500, mentre le forniture
governative sono crollate da 200 casse di prodotti in scatola ad appena
trentadue.
Il dipartimento dell’Agricoltura, che gestisce il programma, ha
acquistato nel 2011 circa 235 milioni di dollari di prodotti agricoli
destinati alla banche alimentari, contro i 347 milioni dell’anno
precedente. E il dato parziale per il 2012 è fermo a poco più
di 100 milioni. Un trend inversamente proporzionale a quello della povertà:
dal 2008 in alcuni casi la «clientela» delle banche del cibo
è triplicata, e solo quest’anno le «food bank»
sono state costrette a spendere di tasca propria milioni di dollari, indebitandosi
a ritmi insostenibili. Col rischio di assistere, oltre quattro anni dopo,
al default di queste istituzioni, una catena di collassi tipo Lehman Brothers
alimentari.
(Francesco Semprini - www.lastampa.it)
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