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ENTI E
MINISTERI
L'uso sostenibile dei fitofarmaci nell'Ue
Comparato il piano d'azione italiano con quello di Francia,
Inghilterra, Spagna, Ungheria, Bulgaria, Spagna, Olanda, Danimarca e Slovenia.
Molte sorprese
Il 29 maggio, nell’ambito delle Giornate Fitopatologiche, si è
svolto nella facoltà di agraria dell’Università di
Bologna un incontro dedicato allo studio comparato della bozza di Piano
di Azione Nazionale (PAN) italiano e dei Piani già presentati in
sede comunitaria da Francia, Inghilterra, Spagna, Ungheria, Bulgaria,
Spagna, Olanda, Danimarca e Slovenia (complessivamente per ora sono 19
i PAN approvati a livello di Stato Membro che attendono il vaglio della
Commissione europea).
Sono molte le differenze tra i vari documenti presentati, ma quello che
è emerso subito è che tutti sono caratterizzati da una minor
complessità rispetto al PAN italiano. Inoltre, nonostante sia stato
presentato la prima volta quasi quattro anni fa, non è stato ancora
pubblicato.
A tal proposito il Ministero dell’ambiente ha ricordato che dalla
consultazione pubblica, chiusasi a gennaio di quest’anno, sono emerse
circa 1.900 osservazioni, ma che solo alcune di quelle prettamente tecniche
verranno prese in considerazione, senza lasciar spazio a modifiche strutturali
del Piano. In particolare, i prossimi passi che porteranno all’approvazione
del Piano saranno:
adozione del Piano da parte del consiglio tecnico-scientifico (di cui,
si ricorda, le associazioni di categoria non fanno parte);
approvazione da parte della Conferenza Stato-Regioni;
approvazione definitiva, prevista entro novembre prossimo.
Dall’analisi comparata con gli altri PAN, è emersa in quello
italiano una struttura molto più complessa, che sembra andare oltre
gli scopi della direttiva sull’uso sostenibile degli agrofarmaci
(direttiva 128/09/CE).
I Piani nazionali esteri puntano a semplificare e non ad aggiungere ulteriori
oneri per le imprese agricole, soprattutto tenendo conto di quanto già
viene fatto nei rispettivi Paesi. Tutti si pongono l’obiettivo di
mitigare il rischio e non di ridurre i quantitativi dei fitofarmaci a
livello aziendale e, laddove viene previsto qualcosa del genere (come
in Francia ad esempio), sono garantiti aiuti ed incentivi finanziari alle
imprese agricole e coperture assicurative per l’eventuale minore
resa di produzione.
Il PAN italiano sconta evidentemente il fatto di essere il frutto di un
decreto di recepimento della normativa comunitaria (d.lgs. 150/2011) affidato
in prima battuta esclusivamente al ministero dell’ambiente (si ricorda
a tal proposito l’art. 20 della legge comunitaria 2010) e, comunque,
rimasto successivamente incardinato su posizioni rigide come il principio
di precauzione applicato aprioristicamente, senza considerare i risultati
ottenuti nel tempo dalle aziende agricole italiane che hanno diminuito
il consumo di agrofarmaci di oltre il 7% a partire dal 2000, mentre in
Paesi come la Danimarca è aumentato del 35%.
Gli aspetti maggiormente approfonditi nella giornata di studio sono stati
i quattro temi caldi che preoccupano gli stakeholders a tutti i livelli,
ovvero la formazione, il controllo delle attrezzature, la tutela dell’ambiente
e l’implementazione della difesa integrata.
Per quanto riguarda la formazione, l’Italia, pur avendo un sistema
già collaudato da anni (introdotto in modo sistematico dal DPR
290/01), è intervenuta su aspetti che negli altri Stati membri
non sono stati regolamentati, come ad esempio le procedure per il rinnovo
ed il rilascio, i vincoli di incompatibilità per l’attività
di consulenza, la durata e frequenza ai corsi, i criteri di valutazione
ed i requisiti per gli enti di formazione e docenti (presenti solo nei
PAN di Gran Bretagna e Spagna).
Anche per quanto riguarda le attrezzature per i trattamenti il PAN italiano
è più dettagliato degli altri, anche se ci sono Paesi che
hanno previsto adempimenti più restrittivi (in alcuni è
già previsto il controllo funzionale obbligatorio con cadenza dai
2 ai 5 anni). Il problema vero è che in diversi Paesi si sono già
attivate le procedure per il controllo delle attrezzature, mentre in Italia
siamo ancora in ritardo a fronte di 600.000 macchine irroratrici che dovranno
essere controllate entro il 2016.
Senza contare che, a norma dell’ articolo 13 del D.M. n. 30125 del
22 dicembre 2009 (disciplina del regime di condizionalità), così
come modificato dal D.M. n. 10346 del 13 maggio 2011, in assenza dei provvedimenti
delle Regioni e Province Autonome, le aziende agricole che attivano le
misure agro ambientali hanno l’obbligo di verifica funzionale dell’attrezzatura
per l’irrorazione, con cadenza almeno quinquennale, oltre ad essere
tenute a rispettare le disposizioni sull’uso degli agrofarmaci nelle
vicinanze di corpi idrici o altri luoghi sensibili, conformemente alla
legislazione nazionale.
Inoltre, nessun piano, ad eccezione di quello italiano, promuove in modo
specifico l’agricoltura biologica, essendo già supportata
tramite i Piani di Sviluppo Rurale.
In sostanza, dall’analisi comparata tra i vari Piani sono emerse
le stesse considerazioni che Confagricoltura ha già presentato
più volte ai ministeri competenti, anche in fase di consultazione
pubblica.
Tuttavia, non si tratta esclusivamente di osservazioni tecniche, ma di
criticità di impostazione dell’intero PAN e, nonostante ciò
da parte del Ministero dell’ambiente, almeno in questa prima fase,
non c’è nessuna intenzione di andare ad incidere sulla struttura
del documento.
A questo punto, anche sulla base di quanto emerso in occasione di questa
giornata di studio, Confagricoltura ripresenterà con forza le proprie
osservazioni in occasione dell’indagine conoscitiva che la Commissione
Agricoltura della Camera sta avviando per assicurare il pieno perseguimento
degli obiettivi prefissati a livello europeo e nazionale in materia di
agrofarmaci. (C.S. - www.teatronaturale.it)
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