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ENTI E
MINISTERI
Imu & Agricoltura, è caos
Nessuno (nemmeno i Ministeri delle Politiche Agricole e dell’Economia!)
sanno quanto costerà alle aziende? si va dagli 1 ai 5 miliardi
di euro. E intanto le regioni chiedono di “salvare” almeno
i fabbricati strumentali
L’applicazione della nuova Imposta Municipale Unica sugli immobili
rurali e sui terreni introdotta dal Governo Monti è avvolta dal
caos. Innanzitutto, anche se può sembrare un’assurdità,
nessuno sa quale sarà il gettito richiesto alle imprese agricole
dal nuovo regime fiscale: lo abbiamo chiesto al Ministero dell’Agricoltura,
che ci ha detto che spetta al Ministero dell’Economia fare le stime,
ma che ancora, interpellato direttamente anche da noi, non ha risposto.
Di sicuro, insomma, un aumento di imposte e tasse che avrà senza
dubbio un impatto fortissimo su uno dei settori vitali dell’economia
nazionale è stato fatto, pare, senza avere la minima idea (o senza
averla voluta comunicare) di che somma porterà, da ora in poi (perché
non è “una tantum” per esigenze di bilancio, ma strutturale),
nelle casse dello Stato e dei Comuni (che si divideranno la somma al 50%).
Alcune organizzazioni di categoria, come Coldiretti e Confagricoltura,
hanno stimato un extra-gettito, sul regime fiscale precedente, tra 1 e
1,5 miliardi di euro.
E chi ha limitato il suo calcolo sul territorio prevede fino al 300% di
gettito in più, come Copagri Piemonte, secondo cui un’azienda
che prima paga un Ici di 2.200 si troverebbe a pagare 8.600 (+300%). Ma
abbiamo provato anche noi a fare un non “scientifico”, ma
plausibile, “conto della serva”, basandoci su qualche dato
disponibile (ma ancora non definitivo), dell’ultimo censimento Istat
dell’agricoltura (datato 2010): considerando che le aziende agricole
e zootecniche censite (al 24 ottobre 2010) sarebbero 1,6 milioni, che
la Superficie Aziendale Utilizzata (Sau) è di 12,8 milioni di ettari
(a fronte di una Superficie Aziendale Totale di 17,2 milioni di ettari),
e che gli immobili rurali censiti (dato addirittura del 2000) sarebbero
3,5 milioni, è lecito aspettarsi un impatto sull’agricoltura
di 4-5 miliardi di euro. Un po’ come dire che tutto il valore dell’export
vinicolo del 2011, che la voce “attiva” più importante
della bilancia commerciale dell’agricoltura italiana, è sostanzialmente
“bruciato” dalla nuova imposta. Che si calcola (in attesa
dell’approvazione definitiva e della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale
del “Milleproroghe”), sui terreni, moltiplicando la tariffa
di reddito dominicale risultante in catasto al 1 gennaio del periodo d’imposta,
rivalutata del 25% e moltiplicata per il coefficiente 120, con un aliquota
dello 0,76%; e sulle case rurali e gli immobili strumentali (prima “esentati)
prendendo la rendita catastale rivaluta del 5% e moltiplicata per 160,
con aliquote, nel primo caso dello 0,4%, e nel secondo dello 0,2%.
Su stime calcolate in maniera più precisa, però, nessuno
rischia di sbilanciarsi: intanto perché tutti temono che “saltino”
all’ultimo momento le esenzioni dall’Imu comunque previste
per chi fa agricoltura in territori svantaggiati come quelli di montagna,
e poi perché c’è l’incognita degli accatastamenti,
con il Catasto che ancora non è in grado di fornire nessun dato
attendibile.
Quello che pare certo è che, se in certi territori dove l’agricoltura
genera prodotti ad alto valore aggiunto, come avviene in alcuni distretti
del vino, le imprese possono avere la forza di “assorbire”
la nuova imposta (che se gestita bene dai Comuni potrebbe addirittura
diventare una risorsa in più per la valorizzazione e al crescita
del territorio), in altri dove l’agricoltura è più
povera e con dei margini ridotti all’osso, potrebbe segnare la scomparsa
di tantissime aziende, con un danno pesante non solo dal punto di vista
socio-economico, ma anche da quello territoriale-ambientale, perché
sparirebbero tante realtà che oltre che fare agricoltura presidiano
anche il paesaggio. E l’altra certezza, come hanno già detto
molti, è che gli agricoltori si troveranno a pagare una vera e
propria “patrimoniale” anche sui beni destinati alla produzione.
Alla quale, peraltro, le Regioni stanno cercando di porre un argine: la
commissione Agricoltura della Conferenza delle Regioni ha approvato la
proposta della Toscana di chiedere al Governo di esentare totalmente dall’Imu
i fabbricati di servizio all’attività agricola, come stalle,
fienili, strutture di ricovero per macchine e attrezzi. Lo ha fatto sapere
a Bologna l’assessore dell’Emilia-Romagna, Tiberio Rabboni.
La proposta dovrà passare al vaglio di fattibilità della
commissione Bilancio della Conferenza, prima di acquisire lo status di
richiesta delle Regioni da presentare al Governo. Rabboni ha precisato
che si tratta di esentare solo gli immobili strettamente di servizio (non
l’abitazione del titolare dell’attività agricola),
ovvero i fabbricati senza reddito domenicale e che, ora presenti solo
nel “catasto terreni”, costerebbe troppo accatastare all’“urbano”,
rischiando di consumare così il gettito eventualmente prodotto.
Nulla a che fare quindi con la richiesta avanzata dal Pdl in Emilia-Romagna
di chiedere ai Comuni di applicare l’aliquota ridotta allo 0,1%
agli immobili rurali con reddito domenicale. “La proposta mi vedrebbe
d’accordo - commenta Rabboni - ma non si possono fare i conti senza
l’oste: chiederemo un incontro all’Anci regionale, cercando
la condivisione per una Imu rurale “sostenibile” per entrambe
le parti, sia per il mondo agricolo che per i Comuni dai bilanci in difficoltà”.
Peccato, però, che non ci sia una base “economica”
ufficiale sulla quale discutere. (www.winenews.it)
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