ENTI E MINISTERI

Le PMI italiane in difficoltà
Le soluzioni dello Small Business Act non ancora del tutto attuate in Italia

Il settore delle piccole e medie imprese italiano tornerà ai livelli di fatturato di prima della crisi soltanto dopo il 2011. Dal 2008 al 2010 le PMI italiane hanno perso il 3,3% dell'occupazione, e il loro valore aggiunto è diminuito del 4%. Quest'anno il numero di PMI dovrebbe scendere dello 0,6%, con quasi il 3% di perdita di valore aggiunto e nessuna crescita sul fronte del lavoro.
L'Italia è un Paese che dipende dalle microimprese (cioè le imprese che impiegano meno di dieci dipendenti) molto di più rispetto agli altri Paesi europei. Sull'applicazione delle Small Business Act, resta ancora molto da fare per raggiungere la performance media dell'UE in quasi tutti i settori, soprattutto la semplificazione amministrativa e l'accesso al credito. Nel 2010, l'Italia ha adottato una strategia per accelerare questo processo, e ha nominato il suo "Mister PMI", Giuseppe Tripoli del Ministero dello Sviluppo economico, per coordinate queste iniziative.
Sono queste le principali conclusioni sulle PMI in Italia,, contenute nella relazione della Commissione europea sull'applicazione dello "Small Business Act (SBA)", presentata nel quadro della settimana europea delle PMI. Lo SBA è l'iniziativa faro dell'UE a sostegno delle piccole e medie imprese.
In Italia ci sono oltre 3 milioni e mezzo di micro imprese, il 94,5% del totale, rispetto al 92% della media UE. Le imprese italiane sono in tutto 3.765.825, di cui meno di tremila hanno più di 250 dipendenti. Le PMI, quindi, garantiscono l'81,4% dell'occupazione, molto di più rispetto alla media dei Paesi UE, che arriva al 67%. In termini di valore aggiunto, le micro imprese producono un terzo del totale nazionale, mentre in Europa il dato supera di poco il 20%. Includendo anche le imprese piccole e medie, il valore aggiunto in Italia arriva al 71,3%, mentre nell'UE non raggiunge il 60%. Il dato europeo, però, cresce di più di quello italiano: nel 2011 il valore aggiunto delle imprese in Europa è cresciuto di oltre il 30% rispetto al 2003, mentre in Italia questa crescita raggiunge circa il 25%.
Sui diversi aspetti dello Small Business Act, la performance italiana varia di molto rispetto alla media europea. Ad esempio, solo 4 cittadini italiani adulti su 100 hanno manifestato l'intenzione di creare un'impresa nei prossimi tre anni, a fronte dell'11% come media nell'UE. Solo il 37% degli italiani ha detto che l'istruzione scolastica li ha stimolati a diventare imprenditori, mentre in Europa uno su due lo ha affermato. I media italiani, inoltre, dedicano meno attenzione al tema dell'imprenditoria.
Un altro problema molto italiano, come gestire un fallimento o la chiusura di un'impresa. Il costo elevato del recupero crediti è più del doppio della media dell'UE, ed è il più alto rispetto a tutti gli altri Stati. Questa difficoltà ha un effetto negativo sulla disponibilità a prestare capitale a chi ha già subito un fallimento in passato.
I tempi per avviare un'impresa in Italia sono, in media, meno della metà rispetto a quelli europei (6 giorni a 14), ma i costi sono decisamente più elevati. In Italia rappresentano il 18,5% del reddito pro capite italiano, mentre in Europa solo il 5,5%. Molto onerosi in Italia sono anche i costi di attuazione dei contratti. In questo settore, le autorità italiane hanno comunque introdotto alcune misure di semplificazione nel corso degli ultimi due anni, come la Comunicazione unica telematica, chiamata ComUnica: con questa procedura sono state aperte 180.000 imprese tra aprile e luglio 2010.
Sugli appalti pubblici, spicca (in negativo) il dato sui ritardi dei pagamenti: il tempo medio in Italia è di 100 giorni, a fronte dei 25 in Europa. In questo contesto, dovrebbe essere di grande aiuto l'entrata in vigore della direttiva sui ritardi dei pagamenti, approvata a fine 2010, che prevede la scadenza massima di 30 giorni per pagare le fatture, con poche eccezioni come il settore della sanità, che può arrivare a 60. L'Italia invece concede molti più aiuti pubblici alle PMI: il 24% degli aiuti di Stato concessi va a loro, rispetto al 7% della media UE.
Altro settore cruciale, quello dell'accesso al credito. In Italia vengono respinte meno richieste delle PMI, rispetto alla media europea: 17% contro 23%. Però la differenza sui tassi sui interesse applicati dalle banche tra i prestiti piccoli (cioè inferiori a un milione di euro) e quelli grandi è molto maggiore in Italia che all'estero. Grande è anche la difficoltà di far rispettare i contratti sui crediti in Italia.
Il numero di PMI italiane che commerciano all'estero i propri prodotti è inferiore rispetto alla media UE: meno del 4% delle imprese italiane esportano, contro il 7% in Europa.Il tempo medio necessario per esportare prodotti italiani è di venti giorni, mentre negli altri Stati questo periodo è quasi dimezzato. Ciò è dovuto anche ai ritardi in materia di innovazione, dove quasi tutti gli indicatori italiani sono negativi, in particolare sul numero di imprese che offrono opportunità di formazione, o le PMI che vendono o acquistano on line: la percentuale italiana è di tre volte inferiore rispetto alla media europea.

Matteo Fornara e Paola Sacilotto
Rappresentanza a Milano della Commissione Europea
tel. +39.02.467514229
matteo.fornara@ec.europa.eu


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