LUOGHI

Pitigliano: nozze d’oro per la locale Cooperativa
Un’occasione per fare il punto sul futuro (ruolo) delle Cantine Sociali

Nel contesto di un luogo splendido, che lascia attoniti, quasi abbacinati tanto è bello e suggestivo, di rarissima perfezione estetica: stiamo parlando ovviamente del borgo di Pitigliano (Grosseto), le cui profonde radici storiche - etrusche prima, medioevali poi – avviluppano il visitatore, ne risucchiano lo spirito e ne cullano l’anima, si è svolto, lo scorso sabato 23 agosto 2008, un importante convegno intitolato: il “ruolo, le opportunità e le prospettive che, ancora oggi, sono in grado di offrire le cooperative vitivinicole”. Un incontro fortemente voluto dallo scrittore Andrea Zanfi e la cui organizzazione è stata stimolata dalla stessa Cantina Cooperativa di Pitigliano e dal suo presidente, Renato Finocchi, in occasione del 50° Anniversario della sua fondazione, una realtà importantissima da un punto di vista socio-economico per il proprio territorio di riferimento. Al suo nascere la storica Cooperativa presentava numeri relativamente contenuti; nel corso della prima vendemmia si lavorarono “solo” 6.632 quintali di uva. Tale quantità crebbe gradualmente sino a toccare un picco, nel 1980, di oltre 152mila quintali. Da allora vi furono diverse oscillazioni, ma con una tendenza alla diminuzione a partire dal 1994, per attestarsi in questi ultimi anni su un valore mediamente intorno ai 70mila quintali (68.642 nel 2007). Parlando del numero dei soci, si può notare un trend di crescita più o meno simile, ma anticipato di 6-7 anni. Partiti nel 1958 con 264 membri della cooperativa, tale numero è via via cresciuto sino a raggiungere nel 1973 le 1470 unità. Da allora i soci sono gradualmente diminuiti, sino ad attestarsi ad una media di 550 aderenti (521 nel 2007). Ma al di là dei numeri è senz’altro importante capire il ruolo sociale svolto dalla Cantina di Pitigliano nei suoi cinquant’anni di vita, una realtà che ha saputo promuovere, con lungimiranza e modernità, non solo la vitivinicoltura di un territorio per secoli depresso, dopo un glorioso, ma ormai lontano passato, ma tutto il suo sistema economico, fungendo da importantissimo volano per il rilancio di bacino che sentiva il bisogno di nuovi stimoli socio-economici, ma anche culturali.
In linea con la sua filosofia, da sempre attento ai temi legati sì all’enogastronomia, ma dalla complessa prospettiva del loro legame con il territorio, nel contesto di una sua piena valorizzazione, facendo attenzione che siano in primis gli stessi abitatori a poter godere di uno sviluppo dell’area da loro presidiata, sviluppo che deve (o dovrebbe) travalicare i meri interessi del singolo, per andare a ricadere e a beneficiare un’intera area, scopo di Zanfi era quello di fare il punto sull’attuale e prospettico ruolo delle Cantine Sociali. Stimolati dal giornalista Pierluigi Camilli, coordinatore del dibattito, si sono susseguiti numerosi ed interessanti interventi; serrati, sintetici, splendidamente efficaci nella loro chiarezza espositiva. Nessuna sovrapposizione di temi, ripetizioni o ridondanze, ma tutti spunti intriganti, non sempre intuitivi e proprio per questo ricchi di significati, utili come punto di partenza per futuri e doverosi approfondimenti. Che non mancheranno… Resta per di più la positiva impressione che al termine del dibattito vi fosse ancora la voglia di stare ad ascoltare altre testimonianze, un aspetto assai raro questo, e da non sottovalutare.
Tra gli altri interventi, il professor Attilio Scienza ha per esempio sottolineato il ruolo delle cooperative vitivinicole nel costituirsi trait d’union tra viticoltori e Istituti Universitari. Infatti, oltre alla ricerca “autogenerata”, che viene dall’alto, esistono delle necessità sentite dal basso, ma che rimangono latenti: l’agricoltore spesso avverte un bisogno ma non riesce a focalizzarlo, a chiarire i termini del problema. Ecco che allora le cooperative potrebbero/dovrebbero farsi carico di monitorare con attenzione le esigenze dei loro viticoltori/conferitori e fare da tramite fra loro e gli Istituti di Ricerca per far sì che questi bisogni traducano la ricerca da latente in esplicita. Paradigmatici sono stati gli interventi di Dino Taschetta, presidente della Cantina Sociale Colomba Bianca, in Sicilia, e di Fausto Peratoner, direttore generale della Cantina La Vis. Il primo ha sottolineato gli sforzi che ha dovuto fare al suo arrivo, per “imporre” ai soci adeguati investimenti onde poter far uscire la Cooperativa dall’anonimato e renderla capace di produrre vini di qualità e competitivi sul mercato, abbandonando una visione strettamente assistenzialistica, orientata più a ricevere contributi che a produrre vino. Dal canto suo Peratoner ha illustrato le strategie di crescita di una cantina dalla visione socio-imprenditoriale “illuminata”, che ha saputo nel corso degli anni calibrare le decisioni strategiche, da un lato consolidando la cantina, dall’altro migliorando costantemente il valore dei vini, nell’ambito di un rapporto qualità-prezzo più che competitivo. Il tutto, avendo come punto di riferimento il territorio (parliamo del Trentino), da un punto di vista economico, sociale, culturale.
Fabio Piccoli ha inteso sottolineare il ruolo che in una moderna Coop dovrebbe assumere il socio conferitore. Un ruolo sempre più da protagonista, un’individualità da coinvolgere attivamente nella dinamica cooperativa e nella gestione delle decisioni strategiche, non hanno più molto senso quelle realtà che si limitano a catalizzare la raccolta delle uve, ma senza coinvolgere realmente l’agricoltore. Detto con uno slogan, che va interpretato e non frainteso: occorrono “più imprenditori e meno viticoltori”.
Andrea Zanfi ha invece voluto rimarcare come parte del senso delle realtà cooperative sia in parte andato perduto. L’aspetto del “sociale” (che nel significato più profondo significa “alleato”) è un po’ andato perduto, con tante, troppe cantine sociali (appunto) che invece che dedicarsi alla mutua assistenza, sia pure riveduta in chiave moderna, sono prone al profitto come fossero società private, oppure sono dedite a raccatar contributi senza nessun reale beneficio né per i soci né per il territorio. Ecco che allora è necessario recuperare l’intima essenza del concetto di cooperativa; è chiaro che non si può più prescindere dal concetto di profitto, ma a patto che questo non sia un mero strumento di arricchimento individuale, bensì una leva attraverso cui operare reinvestimenti, arricchire culturalmente e socialmente (oltre che economicamente) un territorio, rafforzarne – in sinergia con altri settori (a partire dal turismo) – l’immagine, aiutare la collettività più o meno legata alla cooperativa, e così via…
Hanno chiuso il convegno la professoressa Magda Antonioli e il giornalista Carlo Ravanello. La prima, con un intervento breve ma efficacemente “scomodo”, ha messo in guardia gli operatori toscani dal continuare a perseguire logiche di “campanile” ormai davvero pericolose e controproducenti in un mondo sempre più globalizzato epperciò anche competitivo ed agguerrito. Il turismo enogastronomico per esempio necessita di adeguate strutture di accoglienza e di un approccio sistemico (che dovrà “seguire” il turista anche quando se ne sarà tornato a casa sua): comfort, bellezze culturali, paesaggistiche, grandi tradizioni enogastronomiche… Se non si fa sistema, appunto, questa visione sinergica vien meno e il consumatore non sarà più allettato dal recarsi in un certo territorio, cambiando senza particolari problemi i propri itinerari. Carlo Ravanello ha illustrato le difficoltà della vitivinicoltura ligure e le tante contraddizioni di un territorio difficile, dove anche la mentalità di coloro che lo abitano non è certo fra le più semplici ed elastiche. Non ci si deve poi stupire di alcuni paradossi, come il fatto che nella sola stagione estiva si vendano in regione quantità di vino circa 5 volte superiori ai volumi dichiarati a Doc…
Oltre al Convegno tecnico, i giornalisti convenuti hanno avuto la possibilità di cogliere anche altri aspetti del comprensorio di Pitigliano, come i suoi antichi trascorsi etruschi, apprezzati attraverso la visita alle antichissime e suggestive tombe etrusche, ed alle affascinanti e misteriose “Vie Cave”: razionali arterie di comunicazione, o simboli religiosi per aiutare la trascendenza delle anime? Il dibattito è ancora aperto… Ma non è finita. La cittadina delle profonda Maremma ha ospitato in passato anche una fra le più importanti comunità ebraiche della penisola: non poteva mancare dunque la splendida Sinagoga. Infine la Cantina Cooperativa ha dato l’opportunità agli ospiti convenuti di poter visitare le antiche e profonde cantine scavate nel tufo. Sotto l'abitato visibile di Pitigliano si nasconde un'altra città invisibile, sotterranea, meravigliosamente suggestiva. E' fatta di grotte, colombari, cunicoli, ma soprattutto di cantine, dove si conservavano i vini. La cantina pitiglianese è di solito costituita da un "cellaro" o linaio e da una profonda gola scavata nel tufo, che si conclude nel bottaio, dove si tiene il vino in botti e damigiane. Vi era in esse tutto l'occorrente per vinificare: torchio, line, bigongi, vasi da vino, come le caratteristiche panate e rabbine in ceramica, prodotte in loco dai "cocciai" di Sorano. Le cantine create dalla particolare abilità locale di scavare il tufo, hanno le forme più varie, perché sono anche la risultante di trasformazioni di vani preesistenti: stalle, tombe etrusche, antiche case rupestri. Spesso si svilupparono dai caratteristici pozzi da grano, dalla curiosa forma ovale, quando il vino assunse la prevalenza nell'economia di Pitigliano.
Quasi tutte le cantine hanno spiccati caratteri architettonici nelle forme ben squadrate del cellaro e del bottaio, nella volta rotonda della gola, nell'ingegnosa soluzione delle "mine", strette gallerie per portare fuori l'acqua eventualmente infiltratasi. Non mancano talvolta pilastri con capitelli, mascheroni, nicchie decorate. Più rara è la gola con arco a sesto acuto, come nella vecchia cantina nel rione "la Fratta", che era utilizzata dalla Cantina Cooperativa per l'invecchiamento in botti di rovere dei vini "Gran Tosco" bianco e rosso, il cui nome evoca ricordi danteschi come indicato nel libro del Purgatorio, canto XI, v. 58.

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