LUOGHI

Taglio del fieno, segale e back pain… dai ricettori sconosciuti
Cosa sono gli “articulate facets joints”? Che nesso hanno con il contest?

Che scoperta: basta un crash da onda violento per mettere in luce e in silenzio circuiti incredibili che scorrono tra le vertebre sacrali e le lombari, che arrivano a farti temere impotenza d’ogni genere e insensibilità spinale sopraggiunta per effetto di un trauma che di misterioso ha tutti suoi percorsi fisiologici, le gioie recondite, le attese colme d’ottimismo ritrovate…
Da due giorni i cerotti svolgono la loro azione specifica di disinfiammazione dell’eccitazione dei ricettori, cioè del loro stato iper-infiammato che non ti consente di alzarti al mattino. Di colpo si solleva la coltre di pena, di dolore al movimento, alla loro stimolazione. Ieri ne ho esagerato la gratificazione della ricuperata mobilità, su un campo assolato a 1000 metri con trenta gradi di pendio, con mietitori e mietitrici in competizione manuale di falciatura di fieno, di falciatura e raccolta ordinata di segale seminata per la dimostrazione dei saperi dell’uomo e della donna, in un processo di rimozione dall’archiviazione storica della spiga di segale che in agosto veniva raccolta nei campi a monte per alimentare le famiglie popolari e non, tutte quelle quelle locate-alto!

CORTENO GOLGI E L’ALTA VALLE OROBICA
Ricerco libri dell’ottocento a portata di mano nella casa di Galleno e me ne faccio una piletta di antologia agronomica di regioni del nord e dell’evoluzione della conoscenza di cereali ricchi di principi alimentari fondamentali nella storia dell’uomo che comprende definitivamente le sue conoscenze solo a partire dalla scoperta dell’apparato di Golgi. Ero proprio partito dal Museo dedicato a Camillo Golgi, nobel camuno per le sue innovative scoperte delle Cellule e Apparato vegetale ad animale del Golgi (componente fondamentale della Cellula Animale e Vegetale), nel suo paese natio, per caso e per destino di famiglia, la cittadina di Corteno, che porterà successivamente per sempre il suo nome di famiglia.
Avevo richiamato la memoria allo scenario quotidiano che durante pubertà e giovinezza lo scienziato aveva certamente stimolato l’interesse genetico spontaneo della mente del futuro scienziato, certamente quello della natura che lo circondava, propria del territorio in cui di giorno in giorno assorbiva ogni informazione primaria. Le assolate giornate estive significavano allora come ancora oggi lavoro per gli umili proprietari di campi e di radure dedicate alla coltivazione: orti e campi, ma soprattutto campi, che dal primo ottocento si colorano non solo di bianco, giallo e verde di grani, di segale, fino al recente granoturco, grande consumatore di falde acquifere ricche, e pertanto più adatto alle coltivazioni in piano.
Corteno, con le sue valli, è il pivot delle valli orobiche dette “cortenesi”, ricche di tradizione umana millenaria, di storia dei materiali (anche della siderurgia), di transito di genti, dimenticata strategicamente dalla seconda metà del XX secolo. La valle resta ricca di nicchie di territorio invidiabilmente conservate allo stato naturale, abitata da una popolazione autoctona ancora libera da incroci di immigrazione dal terzo mondo ma crogiolo di genti nel passato medioevale e preistorico. Vi è nato ed ama questo territorio il tipico uomo “camuno”, lavoratore, silenzioso, orgoglioso, amante della famiglia, semplice e di radici cristiane, più che altro cattoliche.
In occasione della prima intenzione di dedicare un Museo allo scienziato, aveva fatto capolino l’idea di dedicare allo scienziato una sala che ricordasse il territorio a fine ottocento, genuinamente marcata dal rintocco degli zoccoli sulle poche strade dell’epoca lastricate. Epoca caratterizzata ancora da una convivenza sofferta delle popolazioni con i problemi della vita giornaliera, anche in un’età che da altre parti avanzava a lunghi passi verso la modernità.
Zoccoli, lana cruda, alimentazione da cereali capaci di crescere anche in montagna, rischio di carestie da nevicate estive, greggi di piccole pecore locali, cortenesi, dalla carne dolce e delicata, molto resistenti; fin d’allora solo poche capre ma pascoli frequentati da vacche brune alpine in grado di sostenere l’accesso ai latticini, sostegno di calorie e merce di scambio con la bassa valle per altri materiali e cibi.
Il territorio cortenese, come quello della montagna adiacente, è al limitare della castagna e il maiale provvedeva, trasformato in gustosi salumi maturati dopo salutari fumigature antibatteriche, ad arricchire ogni dicembre le riserve di casa per l’anno; galline e pochi conigli ingrossavano e arricchivano le mense, rovistando nelle aie e a ridosso dei piccoli, colorati e curati orti estivi. Curati come giardini. Solo nei primi anni dell’ottocento arriva la patata a contendere lo spazio coltivabile a segale e grano saraceno. Per il mais e la vite, l’altitudine era troppo elevata e la stagione invernale troppo rigida.
Intorno flora, fauna alpina (compresa caccia e pesca) erano e rimangono prede di ricerca e sport venatorio. Un bel libretto edito dalla Banca di Valle Camonica riprende testimonianze dello scenario all’epoca di Camillo Golgi. E’ uno spunto encomiabile per riempire almeno parzialmente i vuoti della storia della Valle di Corteno, al limite, lasciata più ricca di notizie ai tempi della sua permanenza tra le terre lontane della Repubblica di Venezia che in epoca moderna!

MONNO E L’ALTA VALLE CHE PORTA IN VALTELLINA E AL PASSO DEL TONALE
Primo insediamento urbano di riferimento a nord est di Edolo, anche Monno svolge una funzione simile a quella di Corteno per iL suo collegamento con l’altopiano a quota 1800 – 2000 che si sviluppa dal monte Padrio attraverso il passo del Mortirolo, per congiungersi lungo il costolone che prosegue facendo diga est-ovest fino alla Valle delle messi, che apre a nord il passo da Ponte Di Legno verso Valtellina e verso il parco naturale della Stelvio ricco di varietà rocciose, di flora e fauna da antologia naturale.
Un sintetico pieghevole del Comune di Monno riporta in vetrina:
“ …Ammirerai la semplice bellezza del Mortirolo e conoscerai la sua storia millenaria”
“ …Rimarrai coinvolto nei balli ‘dela scùa e del bàcio’ durante le caratteristiche feste paesane”
“…Percepirai dai prati falciati e dal sapore dei prodotti caseari, il lavoro silenzioso delle famiglie di allevatori”

Uno sguardo dall’alto porterebbe a descrivere la zona a nord della linea del Tonale o “linea insubrica” come una lunga faglia che separa il sistema alpino vero da quello delle Alpi meridionali, con montagne che fanno parte di formazioni geologiche più antiche (ca 170 milioni di anni) e le altre dell’era terziaria recente, coeve al gruppo dell’Adamello-Presanella (ca 30-50 milioni di anni).
L’affluente dell’Oglio - ancora chiamato Ogliolo - a valle raccoglie le acque del torrente Re, che attraversa il paese di Monno, del torrente Mortirolo e di altri più piccoli tra cui l’emissario di un laghetto morenico del passo.
Per ora… la ripetizione della mietitura e della messe di segale oltre che gara di Fenfesta si è presentata con un’emozione che spontaneamente mi ha liberato dal timore di indurre le faccette articolari delle vertebre – offese dallo strike marino – a sforzi al di là dell’effetto di lenimento dei cerotti di Flurbiprofene e della preparazione al prossimo trattamento manuale conclusivo…
Non ho corso altro che il rischio di un po’ di dolore e stanchezza, che si è ricuperata prontamente, come era costume che ad ogni stagione la falciatura provocasse alle schiene giovani o anziane di mietitori e mietitrici della storia di ogni campagna rurale: tutti i muscoli stanchi sono pronti a riprendersi dopo una notte ben riposante su duri giacigli, con la fantasia magari sfuocata da buoni sorsi di vino e la carne in attesa di momenti più propizi agli slanci affettuosi…

SCENARIO DI MONTAGNA ESTIVO
Il progetto che affiora tra lo scenario delle manifestazioni estive D’ALTA VALLE, che stentano a tenere il confronto di partecipazione turistica con la BASSA e la MEDIA VALLE, appare saturo d’un immenso valore. Si è rivelato compiutamente ieri, in una serie d’interviste e di riflessioni sulle emozioni provate dai partecipanti, protagonisti, e dai numerosi spettatori presenti all’evento: CONSERVARE LE TRACCE DEL SAPERE DELL’UOMO, cioè del MESTIERE DELL’UOMO, dell’affetto dell’UOMO, della sua storia, la sua tradizione, la sua vita di comunità sociale ed individuale.
La tradizionale competizione locale di festa della mietitura, con la partecipazione di tutti i personaggi del paese, è portata dal campo fino al tavolo della morra e della briscola, vuole sviluppare un ritorno più completo all’emozione di riscoprire le proprie origini. Quest’anno alla falciatura del fieno si è aggiunta la raccolta di un campo di “Segale” fino alla sua battitura, cereale RISEMINATO dopo decenni e fatto ricrescere sui campi a ridosso della piazzetta del paese, proprio con lo scopo di ridare vita e presenza ad un CEREALE NATURALE per la Valle, come nella dinamica Valtellina il GRANO SARACENO mantiene una propria presenza simbolica nell’alimentazione, conservando una tradizione millenaria sia nella panificazione che nella cucina del PIZZOCCHERO.
Ho avuto un lungo scambio di riflessioni con l’ex presidente del bacino montano d’alta valle, un “monnese?” doc. L’apprezzamento per le iniziative che il Comune e la Pro Loco hanno portato avanti con la propria gente sulla rappresentazione scenica, all’aperto e in teatro, dei balli de la scua e del bacio, dell’artigianato di tessitura di fibre antiche come lino e canapa, e del folclore del buon ricordo, gastronomico e ludico, senza affidarmi alla sola mia memoria, si affida ai “Ricordi dei tempi andati”, sempre dalla vetrina sopra citata:
“Il gruppo folk “I Galber” ha ricuperato tre danze in uso un tempo in Valcamonica: Il bal de l’Umbrela e il Bal del Barber insegnati da un’ottantenne di Stadolina, il Bal de l’Urs appreso dal nonno Bortol Gata di Pescarlo di Cemmo che lo danza con una patata in bocca. Un tempo gli uomini del paese portavano le “braghe del metzdelà” (che tradotto chiama “mezzalana”, misto di lana e canapa”.
Ecco come persistano tracce d’artigianato tessile, con i “pezzotti”, caratteristici tappeti realizzati su vecchi telai con filati di ricupero di casa. La tradizione è molto vivace nell’alta Valtellina, il passo del Mortirolo ne testimonia l’origine comune, forse preistorica.
Altrettanto interesse è concomitante e ha luogo quest’anno in tutta Europa per le fibre naturali impiegabili in materiali avanzati, come compositi per edilizia e per l’industria dell’auto, a cui questo l’anno dedicato alla loro riscoperta non solo industriale ed alla ripresa della cultura storica. In Alta Valle solo un piccolo numero di artigiani svolge ancora abilità artigianale di produzione di gerli e cestini, esempio delle proprietà strutturali primordiali presenti nelle stoppie per la pratica e cura del trasporto delle “messi” di segale, ancor oggi molto più pratico nei campi a pendio dell’elegante carretto storico di trasferimento… collinare e di pianura, con asinello amico!
“I pendii dei monti, le cascine, i sentieri, i prati e i campi ben curati, le santelle legate ad episodi o a leggende lontane, le tradiziini ed il folklore sono un patrimonio… specialmente d’estate quando la montagna si anima di rumori e di suoni, fra cui queli dei campanacci delle mucche al pascolo, le voci dei montanari che si mescolano al …rombo dei piccoli trattori, il ritmico martellio della battitura delle falci, lo scroscio dell’acqua…”
La valle di Monno è stretta, ma dopo pochi chilometri si apre a ventaglio con vasti pascoli e malghe comunali che d’estate accolgono il bestiame del paese costituendo la “conca deliziosa” che fin dall’ottocento faceva del Mortirolo una delle zone di migliore attrattiva per le soste domenicali nelle baite. Esse erano dotate fin d’allora di “buona cucina con alloggio”! Oggi ci sono tre piccole strutture alberghiere che offrono un comodo rifugio per passeggiate verso orizzonti ancora tanto naturali da scoprire e da esplorare alla ricerca della flora alpina locale vivacemente colorata, con spunti di macchie di pino mugo, presenza di pino cembro ed estensioni, sotto i duemila, di conifere, abeti e larici che verso valle danno spazio a noccioli, frassini, betulle, quindi a castagneti.
Intorno è ricca e naturale la fauna alpina con marmotte, aquile, galli forcella, pernici, lepri e camosci oltre ad esemplari protetti di cervi e caprioli. La gastronomia? E’ semplice ed antica, con variazioni personalizzate dalle famiglie autoctone che da comune in comune sono rimaste nelle feste indipendenti attaccate a costumi derivati dalle antichissime istituzioni che si sono inserite geneticamente tra le strutture rigidamente vincolanti delle “vicinie”. Ieri è stato distribuito da graziose “monnine” in costume il “pan di segale”, poi offerto in piazza con ottimo cacio casalino naturale e un insaccato fresco che la tradizione norcina di Monno conserva ancora come di casa in casa per l’abbattimento ed il confezionamento e maturazione di salumi di famiglia da veri maiali di montagna, alimentati a ghianda e con i residui del cibo dell’uomo, conservati in cantine-grotte, di cui anche il Museo Golgi si appresta a renderne una adattata al divertimento gastronomico da accoppiare agli approfondimenti culturali e scientifici che l’istituzione museale si ripromette a breve e medio termine.
L’università, la cultura, le oasi d’allevamento e di conservazione, in un circondario che soffre dei vincoli dettati da burocrazia e politica e trova nell’accostamento con il turismo, sono di grandissimo stimolo e supporto alla divulgazione di cultura e costumi disinteressata ma congiunta con la dichiarata missione di valorizzare i propri territori d’origine. La collaborazione e il coinvolgimento delle genti di valle ed esterne potrà dare un contributo alla moltiplicazione di questi esempi che merita di essere imitato, anzi, clonato.
Iniziative come gli “Ecomusei”, “Oasi”, feste e sagre richiamate alla sincerità delle relazioni con natura, prodotti e territorio fanno già in parte e potranno fare ancor più di ogni territorio della regione e dell’Italia angoli di bellezze, amicizia, affetto che nei secoli hanno caratterizzato il richiamo che la penisola ha esercitato sulle genti di ogni stirpe.

DAL CENTENARIO DELLA COMMEMORAZIONE DI CAMILLO GOLGI
La nota eccezionale scaturita dalla presentazione spiritosa dell’animatore del contest dello scrivente e dalla mia casuale familiarità con culture di montagna e collina tipiche della tradizione secolare di questi territori, hanno portato all’individuazione di un potenziale sviluppo di coltivazione sperimentale, se coincidessero le date stagionali di seminazione ma soprattutto di raccolta, anche di antiche quanto locali piantagioni di lino e canapa, a scopo antologico e di memoria, ma soprattutto per NON PERDERE IL KNOW HOW DELL’UOMO, ancora presente in qualche esemplare umano nella valle, bassa o alta, che potrebbe essere richiamato a fare ponte tra i GRAFFITI CAMUNI e le esplorazione del territorio provenienti dalle OSSERVAZIONI SATELLITARI e dalle comunità ancora portatrici di cultura tessile e agronomica di pianura lombarda.
Viviamo in un’epoca straordinaria! Due anni fa era stata decisa la data del festeggiamento ufficiale in Corteno per il centesimo anniversario del conferimento del Premio Nobel al professor Camillo Golgi con il convegno ”L’uomo e la sua valle”. Si è parlato a lungo dell’uomo e sono state fatte promesse ambiziose per lo sviluppo della valle. Ne siamo stati sinceramente soddisfatti, anche se... mancava la partecipazione popolare della valle alla celebrazione dell’uomo Golgi, scienziato. Forse per timidezza?
Ebbene, lasciatemi dire, Monno ha dimostrato che la distrazione può essere vinta, con tenacia e trasparenza spontanea. Purtroppo la massa d’informazione mediatica si rivolge ad altri argomenti; i ritmi di vita hanno tolto in parte il piacere delle visite e dell’uso della stua tra vicini che s’incontrano solo in occasione delle feste popolari che tengono insieme un abbaglio di rapporti tesi al divertimento, in piazza o in chiesa. O si ritrovano ad un battesimo, o ad un matrimonio, per altro frequenti e frequentati trasversalmente, in ogni classe. E’ consuetudine rimasta intatta in Valcamonica, anzi rafforzata dalla disponibilità “una tantum” di fondi di famiglia, dei doni degli amici, parenti, conoscenti. Si trasformano in sagre vere, spesso, e chiedono alimenti della tradizione rinforzati da apporti dell’era moderna, acvcessibili a tutte le latitudini e longitudini del pianeta.
In “Elementi d’Igiene” del professore Paolo Mantegazza, uno dei maestri di Camillo Golgi all’Università di Pavia, trovo questa bella apertura del capitolo “Cereali” (Elementi d’Igiene del dottor Paolo Mantegazza, Sesto San Giovanni, Casa editrice Madella, 1911. Ristampa della Terza edizione del 22 giugno 1868).
“Cereali – Le biade accompagnano l’uomo come il cane, e vicino alla sua casa voi vedete sempre il campo in cui semina il suo pane. Egli lo ha cercato in Asia, In Africa, in America, e la schiera dei cereali è molto numerosa. In ordine di potere nutritivo si succedono con quest’ordine:
1° Frumento
2° Orzo
3° Segale
4° Avena
5° Frumentone
6° Riso
Quest’ultimo, per la sua povertà di materie albuminose e la sua ricchezza d’amido, dà la mano alla patata e agli altri alimenti idrogeno-carbonati.
Un’analisi semplicissima e che tutti possono fare ci dà un’idea della composizione generale di tutte le biade. Basta mettere in una tela un pugno di farina e mantrugiarla sotto un zampillo d’acqua; dopo qualche tempo rimane nel sacchetto una materia elastica, glutinosa, che appunto si chiama glutine, e che rappresenta l’albumina vegetale, mentre sul fondo dell’acqua, che ha servito a lavare la farina, si trova una materia bianca polverosa, che è l’amido.
I cereali, oltre queste due materie fondamentali, contengono destrina, un po’ di grasso e i soliti sali che si trovano negli alimenti e nella carne dell’uomo. Fra essi predominano i fosfati alcalini e terrosi. Nelle ceneri delle biade la potassa è d’assai superiore alla soda. Il maiz si distingue per la sua ricchezza di grasso.
Nelle cellule più esterne dei cereali si trovano più glutine e più grasso che negli strati interni. Così avviene che il riso mondato e l’orzo perlato hanno perduto del loro valore nutritivo, e il pane interrigno, che contiene una picciola quantità di cruschello, è più sano e migliore alimento del pane bianco. Ecco perché al soldato si dà del pane in ferrigno, e nella dieta degli atleti romani era prescritto l’uso del pane integrale cioè col cruschello. Un eccesso d questo può però offendere gli stomaci più delicati e produrre diarrea…”

Si potrebbe approfondire quanto stretto sia stato il rapporto tra Mantegazza e Golgi, ma lo si sa bene ed appare con spontaneità dal contenuto di queste pagine di cultura divulgate alla gente comune. La prossima occasione è fra pochi giorni: il 10 Agosto è stata indetto l’evento, con l’attiva partecipazione del Museo Camillo Golgi, ASSAPORANDO CORTENO, serata culturale enogastronomia nella VALLE DEL NOBEL. Il programma è attraente, forse verrà fatta della comunicazione effciente: 20,30 apertura della serata in Piazza di Santa Maria Assunta, per
Degustare prodotti camuni
Assistere alla caseificazione, alla filatura della lana e alla battitura della segale
Visitare il Museo Camillo Golgi
Visitare la mostra “Le meravigliose Valli di S. Antonio” di Lucicano Moranda
Ascoltare e guardare il gruppo Folk di Livigno!

Per inciso, ripeto l’aggancio anche scientifico con Camillo Golgi che coprì anche il “mattone” costituente delle cellule: il famoso apparato del Golgi. La Cellula e l’Apparato di Golgi è il componente fondamentale della Cellula Animale e Vegetale.
E i ricettori sconosciuti? Come nelle grandi scoperte, fanno parte delle casualità che riescono a procurare inconsciamente le emozioni più intense!

Enzo Lo Scalzo