|
FATTI
E PERSONE
Mangiare in pubblicitese
La comunicazione pubblicitaria dell’agroalimentare
di casa nostra è goffa, trita, omologata, ripetitiva. Praticamente
inappetibile
Tra i convegni organizzati da Veronafiere per la prima edizione del
recente Salone Agrifood, quello riguardante la comunicazione dell’agroalimentare
“Comunicare il buono” è stato interessante anche se
parecchio scioccante. La riflessione sullo stato dell’arte della
pubblicità del food & beverage è stata sviluppata da
Marco Carnevale, direttore creativo di una tra le più importanti
agenzie pubblicitarie mondiali, facendo emergere uno scenario disarmante.
Una sorta di miserere dell’advertising con messaggi piatti, patinati
e fasulli, particolarmente quelli riguardanti cibo e bevande. Già
è improbabile che l’attenzione del consumatore-acquirente
si soffermi tra la marmellata giornaliera di oltre tremila spot, se poi
gli sono forniti come paradigma mulini bianchi, zuppe fumanti dove carote,
zucchine e borlotti hanno subito un pesante maquillage cromatico e che
il contadino testimonial con vanga ed erpice, abbigliamento finto casual
abbia l’aspetto di un bancario, va da sé che la gente non
ci crede. Non è geniale neppure la pubblicità nell’ambito
del beverage; minerali che fanno fare ‘plin plin’ oppure ti
snelliscono, provengono da alte vette ma (guai a ricordarlo) arrivano
al punto vendita dopo duemila chilometri di autostrada, amari con cui
corroborarsi dopo pseudo avventure, brandy con tango incorporato, mescite
di sambuche che vanno in curva nel bicchiere. E a tavola, per la prima
colazione (mai in pigiama semmai con la mise di Tarzan) ci sono famigliole
dove la mamma alle 7 del mattino, truccata e pettinata come per una prima
teatrale, non ha mai più di 30 anni, i figli 18 e il maritino davanti
a fagottini rifritti non è mai inc…ato, ma sorride beato.
Scenari che rafforzano la consapevolezza che la pubblicità è
davvero fasulla, pilotata e non coincidente con i propri interessi. Più
bravi i pubblicitari stranieri? Mediamente si, perché usano la
leva più intelligente che esiste: l’ironia. Ma anche sanno
trasmette emozioni vere, sanno esprimere i concetti di buono, naturale
e genuino con immagini e testi convincenti, sanno contestualizzare e contaminare
il messaggio spesso con la trasgressione. Carnevale non l’ha detto,
tuttavia esistono anche dalle nostre parti bravi pubblicitari e creativi
di vaglia (ed è corretto sottolineare che non ha neppure accennato
ai lavori della sua agenzia). Ma esistono soprattutto cattivi committenti
che vogliono più rosso magenta sul pomodoro in primo piano, la
riga ben stirata sui pantaloni del raccoglitore di mele e la modella,
qualsiasi cosa proponga, con spacco inguinale e scollatura con push up
a vista. E sono loro che comandano. (g.c.)
|
|
|