LUOGHI, FATTI E PERSONE

Mitteleuropa a tavola

Intelligente iniziativa per evidenziare carattere e cultura di una zona di frontiera attraverso il cibo. Melting pot culinario innaffiato dai superbi vini del Collio e dell'Isontino

Tra i tanti, forse troppi, eventi enogastronomici che si organizzano con frequenza in Italia, Gorizia (città bambina che ha compiuto nel 2001 il suo primo Millennio) ha voluto mostrare come il compendio agrolimentare di un'area di confine esprima forse meglio e con più immediatezza di dotte disquisizioni storiche, la cultura, le abitudini e gli stili di vita delle genti la abitano. Area di frontiera quindi, ma soprattutto, con il recente allargamento della Ue, questa città e la sua provincia si sono in pratica consacrate come il cuore della nuova Europa. Sarò un rozzo materialista ma sono convinto che per conoscere realmente l'autentica identità delle persone basta "guardare nei loro piatti e nei loro bicchieri". Concetto superficiale? Mica tanto. Tuttavia, da queste parti il problema si complica poiché sia sulle tavole della ristorazione pubblica sia in quelle delle case private c'è buona parte della mitteleuropa disegnata spesso come opulenta e festosa coi suoi palazzi, le sue crinoline, i valzer e i galop, scordando che il substrato era, ed in gran parte ancora lo è, contadino. Fattore, appunto, che ritroviamo nelle dispense e nelle madie delle cucine e sulle tavole come ricorda il collega Walter Filiputti, considerato uno degli esperti più validi in materia, autore di una decina di volumi dedicati particolarmente ai vini e alla cucina friulana e giuliana. Quindi materie prime "veraci" coltivate e allevate in massima parte biologicamente preparate con molta semplicità. Insomma, una cucina povera, indubbiamente gustosa, di certo nutriente e poco o punto scenografica. In altri termini, una cucina concreta: si pensi al piatto che è uno dei simboli della cucina goriziana: musetto e brovada, ovvero cotechino accompagnato da rape bianche grattugiate fermentate nella vinaccia, oppure prosciutto cotto nel pane servito con salsa di rafano, mentre tra i dessert spicca la stranota gubana (il nome probabilmente deriva dallo slavo guba, che significa piega) dalla caratteristica forma a chiocciola fatta con pasta dolce lievitata con un ripieno di noci, uvetta, pinoli, zucchero, liquore e scorza di limone.
Ci sono ovviamente, eccome, anche prodotti d'eccellenza noti in tutto il mondo come i prosciutti San Daniele e di Sauris per tacere di quello di Cormòns che Lorenzo d'Osvaldo, principe dei norcini affinatori friulani, prepara con particolare cura affumicandolo leggermente con legno dolce di ciliegio e foglie d'alloro. Un salume, va detto, che il Ministero dell'agricoltura con un decreto ha definito "prodotto da salvare". Questi, assieme al celebre formaggio Montasio e al Carnia (una sorta di Montasio di montagna per il quale è auspicata la Dop), i mieli e ancora i formaggi di malga nonché i salumi d'oca che qui vantano un'antica tradizione fagocitata per un lungo periodo dagli insaccati suini, ultimamente ripresa con successo per la gioia dei buongustai autentici.

Gulash, njoki, palacinka… e altro

Sin qui i piatti squisitamente italici, ma le tavole goriziane diventano passerella e punto d'incontro tra mondo latino e realtà germaniche e slave. Troviamo, ad esempio, segni d'Ungheria espressi in particolare con l'immancabile gulash preparato anche con carni di pollame e insaporito con dosi personalizzate di paprika; notevole anche il Tokàny un robusto secondo piatto di tre carni (vitello, maiale, manzo) con l'aggiunta di peperoni verdi, panna acida e la sempiterna paprika.
C'è inoltre una dose massiccia di Austria, con un effluvio di knodel, ossia gnocchi dolci con le prugne e salati, di patate, di pane, di semolino più o meno farciti, conditi a prova di colestero con generose dosi di burro o lardo. La confinante Slovenia poi, sebbene minuscola, vanta ben mille piatti nazionali che in realtà sono spesso varianti di ricette base. Va però citato il loro pane (kruh) che anche i forni goriziani propongono fragrante in diverse fogge, pezzature e impasti. Tra i primi piatti, la jota chiamata kokosja, ossia la tradizionale minestra di crauti e fagioli e pastina all'uovo, in brodo di pollo o di carni rosse. Altro primo piatto sbarcato sulle tavole friulane, gli struklji simili ai pizzoccheri impastati con il grano saraceno e ancora gnocchi (njoki) e tanti tipi di risotto. Ovviamente gulasch in mille modi con carni di maiale (gustoso l'inusitato filetto con le caldarroste), tacchino e oca quale secondi importanti ma anche pesce, in particolare la trota (postrv), e gamberi di fiume. Per dessert oltre alle "trigliceridi" palacinke farcite con marmellate, confetture e noci, da segnalare la potica, pasta lievitata farcita di noci, uvetta, semi di papavero, ricotta e miele.
Ad accompagnare però sia i piatti elaborati sia quelli semplici, i superbi vini friulani, del Collio in particolare, con qualche assaggio di bottiglie della appassionata enologia Slovena che, a detta degli esperti, come ad esempio Wiktor Bruszewsky, vigneron estremo, ma anche acuto collega giornalista tra i fondatori dell'Istituto della Vite e del Vino, il quale afferma che in particolare nella Slovenia occidentale si sta lavorando molto bene sia tra i filari sia in cantina ed i vini della Primorska stanno avviandosi verso la qualità di quelli appunto del Collio, dell'Isontino e del Carso.
Cosa ha mostrato quindi questa manifestazione, denominata appropriatamente "Gusti di Frontiera", che ha animato per tre giorni il centro di questa città invero generalmente un poco tristanzuola?
In buona sostanza ciò che generalmente si pensa (con ragione) dei loro abitanti: ossia persone serie, positive, determinate, senza fronzoli, amanti della sobrietà e della concretezza. Fattori questi, che come si è detto si esprimono con evidenza a tavola e nei bicchieri che non sono certo riempiti della pur fresca e purissima acqua di quelle parti.

Quindi vino, anzi vini

Riguardo i vini friulani, del Collio in particolare, occorrerebbe intonare alati carmi. Ma credo che aggettivi e superlativi siano già stati spesi tutti, da tutti, e da parecchi anni. Buoni, buonissimi, molti addirittura superbi anche in annate climaticamente sfavorevoli. Figurarsi quelli ricavati dalla vendemmia 2004, che a detta anche degli operatori più misurati è stata eccezionale.
Sarà allora superfluo ricordare che le aziende vitivinicole di stanza da queste parti, tanto per citare le più note (chiedendo venia per le tante omissioni) si chiamano: Russiz Superiore, "alias" Marco Felluga, un gruppo vitivinicolo e commerciale costituito da quattro aziende, segnatamente Marco Felluga e Russiz Superiore allocati nel Collio Goriziano, Castello di Buttrio nei Colli Orientali del Friuli e San Nicolò a Pisignano "fuori zona", a San Casciano Val di Pesa nel Chianti così da offrire una gamma ampia e articolata ;Mario Schiopetto riconosciuto uno dei padri nobili della moderna enologia friulana; l'"Austriaco" - per via delle origini ma ormai furlano a tutto tondo poiché i bisnonni di Silvio Jermann si stabilirono nel Collio già dal 1880; Livio Felluga (deliziosa e golosa la sua nuova "osteria con alloggio" chiamata Terra & Vini" in quel di Brazzano voluta e animata dalla figlia Elda presidente, tra l'altro, della delegazione friulana del Movimento Turismo del vino) che ha i suoi splendidi bianchi nelle cantine dei migliori ristoranti del globo. E ancora, Roncada della famiglia goriziana Mattioni, Simon di Brazzan che una generazione dopo l'altra hanno portato le proprie fatiche enoiche a livelli ragguardevoli; in Oslavia sin dalla sin dalla fine del 1700 opera la famiglia di vignaioli Fiegl, realtà espressa oggi in 25 ettari di vigneto e una produzione di 120mila bottiglie straordinarie.
Questi, molto succintamente, i nomi più rappresentativi del Collio vitivinicolo, territorio che consta di circa 1.600 ettari di vigneti di collina. Tuttavia a questo già incompleto panorama manca del tassello probabilmente più significativo, il motore, o meglio, il volano dell'intera enologia friulana e giuliana. Mi riferisco alla Cantina Produttori di Cormòns realtà costituita da oltre 200 soci dislocati su di un'area di 430 ettari coltivati a vigneto. I vini prodotti e commercializzati sia in Italia sia all'estero provengono tutti dalle più pregiate zone Doc regionali, segnatamente dal Collio Goriziano, dai Colli orientali del Friuli, Carso, Friuli Isonzo, Aquileia. Vini, va da sé, perlopiù bianchi: Tocai Friulano in primis seguito da Pinot Grigio, Chardonnay, Sauvignon, Malvasia Istriana, Pinot Bianco, Ribolla Gialla, e poi Müller Thurgau, Traminer, Verduzzo Friulano, Moscato Giallo. Ma notevoli anche quelli da bacca rossa come l'autoctono Pignolo profumato di ribes e ciliegia o l'insospettabile Rosänder, appunto un rosato-ramato ricavato da Pinot Grigio senza scordare il Merlot, i Cabernet Franc e Sauvignon, il Refosco, lo Schioppettino, ecc.
Anima di questa Cantina (pare sminuente chiamare semplicemente cantina una grande entità così efficacemente organizzata strutturalmente) è Luigi Soini, assai più di efficiente direttore ma enologo, appassionato ricercatore, uomo di marketing strategico, animatore e relatore di convegni dove le chiacchiere, come si dice, stanno a zero, mentre i fatti parlan chiaro. La creatura più riuscita, o meglio, quell'"invenzione" che ha magicamente fatto abbracciare in nome di Bacco i popoli dei cinque continenti si chiama Vigna del Mondo. che produce il Vino della Pace. Poiché i media dell'intero Pianeta ne hanno già parlato e scritto diffusamente, non mi resta che rammentare davvero succintamente di cosa si tratta. L'idea, nata 35 anni fa, fu quella di impiantare e far cresce nei pressi della Cantina vitigni di uve a bacca bianca provenienti dai cinque continenti. Nomi come Shurrebe, Maizy, Tulilah e Pedral dicono poco anche agli addetti ai lavori, più noti lo Shirah, il Gamay, il Marzemino e il Merlot, eppure questi e altri vitigni dai nomi astrusi allevati con uno spirito di fratellanza e socializzazione che non sfugge neppure a più agnostici, ogni anno producono il Vino della Pace "benedetto" da tutti i potenti, laici e non, della terra. Ad accrescere la notorietà di questo vino e ad amplificarne la notorietà sono le etichette disegnate e dipinte (gratuitamente) dai maggiori artisti della pittura e del design. Qualche nome: il recentemente scomparso maestro Enrico Baj, prediletto da Luigi Soini, e poi Fiume, Minguzzi, Vedova, Nagasawa, Manzù, Zoran Music, Treccani ed altri esponenti massimi del Gotha dell'arte figurativa.
Materializzando si può stimare che se fossero messe sul mercato il valore di queste opere esclusive dedicate al Vino della Pace varrebbero una cifra con molti, molti zeri.

Giuseppe Cremonesi



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