|
FATTI E
PERSONE
Cultura del bere a Milano
Piccola storia dell’evoluzione del bere nel capoluogo
lombardo. Gusti e mode di questi ultimi due secoli
A
Milano in galleria, alla fine dell’ottocento, prima e dopo pranzo,
si poteva già degustare il Bitter, il Rabarbaro, l’ Amaro
e il Fernet. Questi prodotti hanno subito incontrato il gusto dei milanesi
diventando famosi in tutto il mondo. Venivano serviti freddi, lisci o
al seltz in un’atmosfera raffinata e un po’ snob; il target
decisamente alto. Ma gli stessi milanesi nelle serate d’inverno,
all’uscita del teatro, quando tutti i “grandi caffè”
erano chiusi, bevevano quello che in gergo meneghino sarebbe diventato
sinonimo di caffè cattivo e allungato “ il caffè del
geneogg (ginocchio)”. Si trattava di una bevanda calda realizzata
con i fondi di caffè raccolti dai bar del centro e messi in infusione
con acqua in un contenitore scaldato da carbonella; questo contenitore
era sistemato su un carretto con ruote e il venditore ambulante per spillare
il caffè si doveva inginocchiare sul selciato ( da qui il nome).
Questo significa che spesso ci si accontenta di bere quello che il mercato
o la situazione contingente offre. Se a Milano gli aperitivi sono nati
nell’ottocento, a Torino nel secolo precedente Antonio Carpano aveva
inventato il Vermut e la città ne diventa subito la patria.
Nasce il Milano-Torino, un gemellaggio nel bicchiere tra le due città,
Bitter e Vermouth (rosso) gireranno il mondo nei tumbler serviti, con
ghiaccio, in parti uguali con una fetta di arancia in tutti i locali più
trendy con il nome definitivo di Americano . Alla fine dell’ottocento
il barman Jeremy Thompson lancia i primi cocktail a New York. I primi
barman italiani, che hanno fatto esperienza in America, approdano nei
grandi alberghi milanesi e iniziano a preparare cocktail per la clientela
internazionale, poi altri barman che si sono fatti le ossa sulle navi
da crociera ai Caraibi e conoscono già il rum come ingrediente
del bere miscelato freddo, presentano questo distillato ai milanesi come
alternativa di consumo ai soliti punch caldi corroboranti assunti solo
come rimedio per il raffreddore.
Nella provincia di Milano (anni 50-60) c’è una proliferazione
di piccole aziende che propongono sul mercato bitter, fernet, vermouth
di mediocre qualità creando ancora di più disaffezione da
parte dei consumatori; se a questo aggiungiamo una certa improvvisazione
degli operatori dietro al banco, si giunge facilmente alla conclusione
che le ordinazioni più gettonate sono rimaste , per anni, oltre
ai classici liquori milanesi, gli aperitivi sodati in bottiglia e lo spumante.
Negli
anni “50 nasce l’Aibes, associazione italiana dei barman con
sede a Milano e questo sarà il primo impulso alla conoscenza del
bere miscelato. I primi cocktail codificati anche a livello internazionale
sono però particolarmente robusti ( il distillato presente - gin,
whisky, cognac- prevale sugli altri componenti) e questo circoscrive il
consumo ad una ristretta fascia di clienti. Ma l’angolo american-bar,
non facendo parte della cultura milanese, stenta a decollare. La lista
dei prodotti, se sfogliamo un listino dell’epoca, è molto
scarna e presenta alcune curiosità ( una aranciata in bottiglia
sigillata costa il 30% in più di una spremuta d’arancia realizzata
dal barista; si puo’ ordinare un wiski italiano proposto a metà
prezzo rispetto al whisky scozzese - c’è stato, infatti-
in quegli anni un tentativo da parte dei produttori italiani di importare
il know how degli scozzesi, ma è stato di breve durata). Poche
le tipologie di prodotti sugli scaffali e scarsamente rappresentate. Negli
anni 80 una fetta più ampia di milanesi comincia a scoprire il
rito dell’aperitivo, oggi sempre più “dominato”
dagli happy hour, dove non si può stabilire se il cliente gradisce
un buon cocktail o questo è solo il tramite per avvicinarsi al
comparto gastronomico. Come si beve oggi nella Milano del bitter e dell’amaro?
Il mix intrigante del cocktail ha conquistato soprattutto la fascia dei
giovani, oggi è molto trendy ordinare un cocktail specifico, magari
con un nome un po’ piccante come il Sex on the Beach o il Cosmopolitan,
lanciato da Madonna. Tanti consumatori non sanno che il Long Island Ice
Tea considerato molto di moda tra i giovanissimi, ha quasi 70 anni di
vita, infatti nasce nel periodo del proibizionismo e le poche gocce di
cola avevano la funzione di farlo sembrare un tè in caso di controllo
nel locale da parte della polizia. Le mode anche nel bere miscelato si
rinnovano e sono nate ricette come i Solid Cocktail, ricette di cocktail
internazionali solidificati che si infilzano con lo stecchino, piuttosto
che decorazioni costituite da insetti glassati o polvere d’oro stratificata
in superficie; una delle ultime è un cocktail a base di vodka al
veleno di vipera. Ma questi sono casi isolati che servono per stupire
il cliente: si tratta sempre di comunicazione. La nuova generazione di
barman propone ricette molto più morbide con dosi più basse
di distillato, a base di succhi di frutta, spumante o addirittura con
centrifugati di verdura (dietetici). La birra dagli anni 70 ha conquistato
ampie fasce di consumatori e questo soprattutto grazie a intense campagne
promozionali ; negli anni “80 proliferano a Milano i pub che all’inizio
offrono esclusivamente birra, poi ampliano la gamma delle proposte inserendo
a listino anche i cocktail. Negli ultimi anni sono stati lanciati sul
mercato i drink energetici e ultimamente i ready to drink, bevande in
bottiglia gasate e non, con bassa gradazione alcolica. Tra i distillati
il rum è quello che sta facendo la parte del leone, la suggestione
che trasmette è notevole, i frozen (rum, succo di limone, zucchero
e ghiaccio, frullati nel blender), i coladas (rum, panna o latte di cocco,
ghiaccio, frullati nel blender), cola e rum hanno successo nei disco pub
e nelle discoteche. Seguono caipirinha, cahipiroska, vodka lemon, gin
lemon, gin tonic, whisky e cola. Un tempo i distillati venivano proposti
come corroboranti, medicinali, digestivi; oggi non è più
permesso attribuire alle bevande proprietà salutari…ma ci
sono gli energy drink! Il whisky di malto ha progressivamente conquistato
un suo mercato a scapito del blended, anche se i consumi si sono notevolmente
contratti, ma sono molto pochi i locali, oltre i grandi alberghi, dove
si può trovare un’ampia rassegna di etichette. Il caffè
espresso è notevolmente migliorato al bar, il tè in pochi
locali viene servito con tutta la tecnica e la liturgia di cui necessita
Anche i milanesi bevono quello che i comunicatori (aziende e barman) propongono,
come in tutto il resto mondo. Oggi a Milano ci sono locali classici e
di tendenza dove la gamma proposta permette di scegliere una serie infinita
di drink, ma ci sono molti prodotti di eccellenza nel bere che rimangono
inchiodati sullo scaffale (come il Marsala, i vini passiti, gli Sherry
o il Porto) o che neanche vengono esposti perché non sono supportati
da investimenti pubblicitari che ne possano provocare la richiesta. L’arte
della distillazione ha qualche millennio di vita, ma in nessuna epoca
si è riusciti a comunicare una vera cultura del bere; la degustazione
di liquori, distillati, cocktail, birra e vino deve essere attenta, moderata
e consapevole; solo così si possono avvertire tutti i profumi e
la persistenza del retrogusto. Un cocktail tipo il Martini ( 8/10 di gin
e 2/10 di vermouth dry) ben lavorato nel mixing glass con molto ghiaccio
( la funzione del ghiaccio è quella di raffreddare, meno se ne
mette e prima si scioglie annacquando i componenti della ricetta) varia
secondo i tipi di ingredienti scelti; se poi durante una “happy
hour” il fine primario è quello di ingozzarsi di cibo, allora
tutta l’esperienza dei barman professionisti viene vanificata e
la qualità dei prodotti utilizzati diventa inutile. Va bene anche
un gin acquistato in bottiglioni e un vermouth prodotto in provincia di
Milano, ma questo continuerà a screditare il comparto dell’american
bar. Il vino, tramite una costante promozione comincia ad esser rispettato
dal consumatore. Un buon bicchiere di vino o di spumante viene richiesto
anche al bar per accompagnare un panino. Tutto l’altro “bere”,
in genere, viene consumato con grande velocità e poca attenzione.
Tracciare una breve scheda su come si beve a Milano, quindi, è
abbastanza complesso. Occorre stabilire quale target di consumatori vogliamo
analizzare, il loro comportamento: se entrano in gruppo o da soli nel
locale, il momento della giornata, la tipologia del locale e la preparazione
tecnica di chi sta dietro il banco.
Quasi sempre, ripetiamo, si beve distrattamente e frettolosamente, sono
rari gli intenditori che sanno ordinare e che gustano veramente ciò
che consumano. Capita talvolta di osservare alcuni clienti che seduti
al tavolo di un locale di lusso centellinano la loro consumazione ma questo
succede non perché sono esperti, ma per mantenere pieno il loro
bicchiere il più a lungo possibile per timore che il cameriere
proponga loro di riordinare.
Mauro Manni -
www.culturadelbere.it
Pubblicato sul numero 2/2006 di RistorArte
|
|
|