LUOGHI, FATTI E PERSONE

Bacco ha conquistato gli scaffali della Gdo

Rispetto al resto dell'Europa, dalle nostre parti per gran parte delle insegne della distribuzione organizzata il vino è stato sino a non molto tempo fa una sorta di Carneade. Gli scaffali dei punti di vendita erano desolanti, sia per la limitatezza delle proposte sia per la modesta qualità del prodotto. Per tacere dell'esposizione. Il reparto vini era considerato marginale e per nulla strategico; salvo rarissime eccezioni è stata per anni la merceologia Cenerentola delle grandi e medie superfici che invece per altri prodotti era il paese di Bengodi. Un esempio su tutti? il pane. Non veniva ancora panificato integralmente come accade ora in gran parte di super e ipermercati ma comunque era già disponibile quello surgelato che, dorato più volte il giorno, veniva servito fragrante e croccante. Si dirà: era un servizio aggiuntivo per il quale si sacrificava la redditività. Probabilmente la strategia fu quella, tuttavia oggi il reparto forno con pani di tutti i tipi sfornati due tre volte al giorno, oltre a pizze, focacce e focaccine, torte, dolci, paste e pasticcini conta una marginalità considerevole. E tutto ciò con buona pace della corporazione degli oltre 25.000 statici panificatori artigianali di casa nostra.
Per i vini invece, l'offerta era minima e scadente. Oltre all'inadeguatezza strutturale delle insegne e alla scarsa preparazione professionale dei buyer del beverage, va detto che nessuno stimolo era esercitato da parte dei produttori che, al contrario, rifuggivano dal proporsi al canale considerato negativo rispetto alle proprie politiche commerciali e d'immagine tutte rivolte alla ristorazione e alle enoteche. Punti di vendita questi (oltre, va da sé, alle proprie cantine dove si realizzavano, e si realizzano, consistenti vendite dirette spesso "in nero") considerati dai vigneron nostrani i soli santuari di Bacco, i depositari del sapere enoico e perciò gli unici in grado di trattare doviziosamente i loro nettari.
In realtà, molto più prosaicamente i produttori e la loro elitaria clientela "ci hanno marciato" allegramente applicando ricarichi assurdi con i risultati che (complice se vogliamo l'avvento dell'euro e quant'altro) sono sotto gli occhi di tutti. Ciononostante sugli scaffali un certo numero di bottiglie, bottiglioni e brick non mancavano, ma per molti anni sono stati assenti i buoni vini e le grandi etichette. E' generalmente mancata la qualità contro una pletora di prodotti mediocri, tra l'altro esposti e proposti in maniera disorganica e approssimativa differenziati al massimo tra bianchi, rossi e spumantizzati.

I fattori che hanno determinato la svolta

A modificare sostanzialmente il panorama dei consumi e dei relativi acquisti, sono intervenuti alcuni fattori decisivi. In primo luogo il generale concreto miglioramento dell'intera filiera vitivinicola nazionale. Dopo lunghi periodi in cui si è perseguita unicamente la quantità, da una quindicina d'anni circa si registra una virtuosa inversione di tendenza riconosciuta da più parti, compresa Federvini, dove affermano che "La maggiore parte delle aziende, piccoli produttori inclusi, hanno finalmente adottato una politica inversa che privilegia qualità, rafforzamento dei legami con il territorio e tutela delle denominazioni d'origine". Migliorato, inoltre, anche il marketing aziendale che, seppure ancora parecchio balbettante, ha permesso d'ottenere risultati confortanti.
Altro fattore, l'autorevole voce della scienza della nutrizione che ha spazzato i tabù che assediavano il vino ponendo, per contro, l'accento sui benefici apporti di un moderato consumo pur se un certo numero di accidiose Cassandre sono in perenne agitazione. Quindi i media: dalle decine di testate di enogastronomia, alle numerose guide, alla diffusione dei siti internet dedicati nonché alla trasmissioni Tv anche se necessariamente stringate e approssimative. Infine, il fattore preponderante è la pressoché acquisita maturità da parte della moderna distribuzione che, conscia del proprio ritardo culturale verso il vino, unitamente alle sollecitazioni di una clientela maggiormente informata, ha recuperato gran parte del gap creando e formando category manager dedicati al prodotto in grado di colloquiare alla pari anche con i vinattieri più riottosi disegnando, inoltre, layout espositivi e corner dedicati e meglio organizzati capaci di attrarre il consumatore. La volontà di organizzare fattive partnership tra aziende produttrici e il canale, seppur lungi dall'essere completate, vanno in questa direzione.
Ultimo fattore, certamente di non trascurabile importanza, la lievitazione abnorme dei prezzi del prodotto-vino (in particolare nella ristorazione) consente da parte del consumatore spietati oggettivi raffronti e quindi la crescita degli acquisti presso questo canale.
Lo suffragano i dati rilevati dall'osservatorio Iri Infoscan i quali illustrano che all'interno del canale Gdo si è registrata (anno 2003) una spesa in vini superiore al miliardo di euro pari a circa 500 milioni di litri a fronte di un consumo nazionale di 857 milioni. I supermarket, in relazione della più ampia e articolata offerta, con il 66% delle vendite sono il punto di vendita più attivo, seguono gli iper con il 19% e il format superette con il 15%. Quanto alle tipologie, la Federdistribuzione (Faid) assegna il 45% ai vini Doc e Docg, il 39% ai vini da tavola e Igt ed il restante 16% al vino in brick. Riguardo ai formati, interessante la crescita (+3,5%) delle bottiglie da 0,75 cl, packaging notoriamente utilizzato per vini di una qualche importanza, in calo le ormai obsolete dame da cinque litri e i "boccioni" da 1,50 litri.
Il percorso per giungere ad avere reparti efficienti e ricchi d'offerta non è stato però facile. Le esortazioni ad imitare l'operato delle catene distributive di altri Paesi europei non erano a suo tempo percorribili. Ciò, perché dalle nostre parti il vincolo più ostico è stato quello di scardinare la mentalità dei produttori che per anni hanno testardamente rifiutato di cedere i loro vini al mass market interno adducendo una serie di motivazioni spesso cervellotiche. Vero è che alcuni hanno davvero produzioni talmente limitate che non potevano (e non possono) comunque soddisfare le esigenze di questo tipo di distribuzione, ma è altrettanto vero che inadeguati sono stati, ed ancora lo sono, molti produttori riguardo alla definizione dei prezzi in rapporto alla qualità, alla resistenza a mettere in produzione linee di prodotto diversificate, ad investire nella logistica, in strumenti informatici, in personale di assistenza post vendita, ecc. In grado, insomma, di fornire quelle garanzie qualitative e strutturali indispensabili per fare del business in linea con le esigenze di mercato.
La situazione attuale? Molto diplomaticamente i compratori delle catene dichiarano che "Adesso la situazione è decisamente migliorata e i rapporti sono più fluidi, ma sacche di resistenza e vincoli, perlopiù psicologici, ce ne sono ancora parecchi".
Se l'offerta è ora più ampia e profonda, significa che le insegne hanno posto mano all'esposizione dedicandole particolari cure, organizzando all'interno dei punti di vendita cantine, enoteche, wine cellar, corner e display organizzati razionalmente. Il che sottende la consapevolezza della strategicità del reparto e della buona redditività che produce.
Per gli acquisti centralizzati, Esselunga, ad esempio, ha ben due buyer dedicati non genericamente al beverage ma espressamente al vino, di cui uno designato per le grandi etichette e per i vini cosiddetti "fini". "D'altronde - spiegano - per noi il reparto ha grande importanza per l'elevato contenuto di servizio che riveste nei confronti di una clientela che avanza maggiori richieste rispetto agli anni passati". Palmare il fatto che concependolo come una vera e propria enoteca, l'insegna ha inserito (primo retailer in Italia) in diversi punti di vendita un sommelier professionale dell'Ais per aiutare il consumatore a districarsi tra i vari vini, suggerendo come organizzare una cantinetta domestica, oltre a consigliare quelli più adatti ai diversi piatti. Va inoltre aggiunto che alle frequenti offerte e promozioni di carattere scontistico, per i format più piccoli, nei pressi del banco gastronomia non è raro notare allestimenti di vetrinette dedicate a specifiche tipologie di vini (da dessert, da meditazione, di pronta beva come i Novelli, ecc) nazionali ed esteri.
Conad dal canto suo ha varato il progetto "La Vineria" rivoluzionando profondamente nel giro di pochi mesi il sistema-vino all'interno dei suoi punti di vendita elevando la qualità e la profondità degli assortimenti e conseguentemente il parco fornitori, mettendo a punto una logistica ad hoc e curando puntigliosamente l'esposizione. Utilizzando insomma le più adeguate leve del marketing strategico tant'è che questo nome identifica ormai stabilmente il reparto.
Bocche cucite all'ufficio acquisti de Il Gigante, tuttavia, in particolare sulle grandi superfici, sono ben visibili gli sforzi di caratterizzare fortemente la zona vini anche in questo caso con un ampio assortimento e una costante razionalizzazione dell'esposizione. Nei loro super, per qualche ignota ragione, è scomparso uno strumento a mio avviso assai utile per il consumatore. Si trattava di un totem - fornito in comodato dal Gruppo Coltiva - dotato di uno schermo touch screen in grado di fornire molte informazioni riguardanti le diverse varietà dei vini disponibili (zona d'origine, uvaggi, colore, gradazione, note per la conservazione e servizio, ecc) ed ovviamente gli accostamenti più adatti alle diverse vivande.
Ristrutturato interamente il reparto vini in casa Crai che ha organizzato una propria cantina col suo nome aggiungendo qualcosa in più in termini di servizio. Ad esempio ha posto su ogni bottiglia un collarino con diverse informazioni utili circa le caratteristiche del vino, temperatura di servizio, accostamento ai cibi, ecc. Inoltre, pensando al sociale, alcuni collarini sono scritti in braille leggibili dai non vedenti. Infine, l'insegna ha lanciato una operazione tesa alla fidelizzazione: acquistando tre bottiglie della "Cantina Crai" si ha diritto a ricevere in omaggio una enciclopedia del vino.
Per Auchan, gruppo Rinascente, presente in Italia con 38 iper a insegna Auchan e 1.600 punti vendita diretti e affiliati fra Super Cityper e Punto Sma il vino pesa per il 2% sul fatturato complessivo che è attorno ai cinque miliardi di euro; 2.000 le referenze in assortimento.
Quaranta milioni di euro è il giro d'affari enoico per il gruppo Pam che conta 20 ipermercati e 120 punti di vendita in franchising oltre a 220 hard discount. Infine il colosso Coop (1.100 supermercati e 68 iper) ha un fatturato di 12 miliardi di euro di cui 5,1 miliardi ricavati dal grocery sui quali il prodotto vino incide per il 3,1% pari a 160 milioni di euro.
Conclusione: il tema è di grande attualità ed ha molteplici sfaccettature tant'è che all'ultima edizione del Vinitaly si è tenuto un affollato convegno dedicato al problema dove molte tematiche sono state sviluppate ed illustrate anche con il contributo di esperti e buyer di importanti catene distributive estere. Un fatto è acclarato, la determinazione verso i prodotti vinicoli da parte della distribuzione organizzata è chiara, così come è chiara la tendenza ad un sempre più accentuato sviluppo. Insomma, la rivincita di Bacco sugli scaffali è ormai (finalmente) una realtà.

Giuseppe Cremonesi

- Torna all'Indice di fatti, luoghi e persone


- Torna all'Indice delle Rubriche