LUOGHI, FATTI E PERSONE

Un viaggio ad Asgardh, la dimora degli Dei

Nelle più accreditate saghe della mitologia nordica si narra che il Ginnungagap (l'Oceano Atlantico ?) è l'abisso degli abissi, il baratro gigantesco dove misteriose energie e incontrollati fermenti si agitano in un'affascinante e desolante paesaggio primordiale, per dar vita all'universo. A settentrione si estende il "Niflheim", la "casa delle nebbie", la regione dei ghiacci eterni, dominata dal gelo e dalla nebbia fittissima: al centro del Niflheim si trova un gigantesco pozzo l'"Hvergelmir", che significa "caldaia tonante" (l'Islanda ?). Sulle coste che si affacciano su questo abisso nacque Odino che confisse il brutale gigante Ymir sortito dal caos del Ginnungagap e, dopo la vittoria, creò gli uomini. Lo stesso Odino fondò Asgardh, il recinto degli Dei: nessun mortale può mettere piede nella dimora degli Dei, ma qualcuno dice di aver visto, in un giorno di primavera un'altissima roccaforte, circondata da imponenti bastioni, da rupi scoscese e da immani baratri che inghiottono gli imprudenti profanatori che osano disturbare la divina tranquillità. Qui, nella loro maestosa dimora, siedono su 13 troni d'oro, Odino e gli altri dodici Dei.

Con un po' di fantasia, non è difficile identificare l'ambiente e i paesaggi descritti nelle saghe con le isole Lofoten, un mirabile arcipelago che si sviluppa quasi parallelamente alla costa più settentrionale della Norvegia e che sarebbe, vista l'elevata latitudine compresa fra il 67° e il 68° parallelo (e quindi ben oltre il Circolo Polare Artico), del tutto inospitale, se non fosse presente la corrente del Golfo. Questa, risalendo dal Messico, lo lambisce per andare a disperdere le sue tiepide acque nelle gelide profondità dell'Atlantico del Nord. Questa "curiosità" climatologia fa sì che la temperatura delle Lofoten non discenda praticamente mai al di sotto dei -15° nei mesi più freddi (-1° di media) e al contrario possa salire fino a + 30° nei mesi estivi di giugno e luglio quando l'insolazione copre tutte le 24 ore del giorno (con +12° di media). Ciò permette quindi una piacevole esistenza a uomini e Dei (se vogliamo dar credito alla favolosa leggenda di Asgardh), ma consente anche la fondamentale presenza del merluzzo che qui emigra dalle freddissime acque del Mare di Barents, alla ricerca di un clima più temperato per deporre le uova e riprodursi.

La laguna interna

La superficie totale delle Lofoten è di 1.227 Km quadrati abitati da circa 25.000 persone e la massima distanza stradale tra Fiskebø la città più a nord ed Å la città più a sud è di 170 Km. Le prime tracce umane risalgono a circa 6.000 anni fa ma, con tutta probabilità, una vera e propria énclave organizzata compare solo verso la fine del primo millennio cristiano con l'arrivo di alcune colonie vichinghe che vi si stabilirono per poter più agevolmente compiere il gran balzo verso la Groenlandia e l'America del Nord. A Borg, nell'isola di Vestvågøy, sono stati trovati i resti dell'abitazione di un capo vichingo la quale, date le grandi dimensioni della sala consiliare, fa pensare a un luogo d'incontro per importanti decisioni collettive come appunto quelle di affrontare il Ginnungagap. Già agli inizi del XII secolo compare una chiesa cristiana a Vågan e nelle saghe vichinghe dello stesso periodo compaiono frequentemente preziosi riferimenti ai "rorbu", le caratteristiche capanne dei pescatori colorate in rosso e costruite su palafitte, tuttora in uso.

La pesca e la conservazione del merluzzo

La pesca invernale del merluzzo rappresenta l'attività fondamentale per la sopravvivenza stessa della popolazione delle Lofoten. Nel tardo inverno (da gennaio ad aprile), migliaia di pescatori provenienti da tutto il nord della Norvegia confluiscono sulle isole per incontrarsi con il merluzzo artico norvegese (Gadus morhua), lo "skrei", ovvero il "vagabondo" in norvegese antico, che in preda a irrefrenabile fregola si trasferisce qui in milioni di esemplari dal lontano mare di Barents, seguendo una consuetudine antica di secoli, se non di millenni. Questo tipo di merluzzo, dalla carne bianca e delicata viene utilizzato sia per produrre stoccafisso che baccalà salato ma con una rilevante preferenza per il primo. È infatti da considerarsi un miracolo della natura il fatto che lo skrei lasci il suo habitat naturale e si trasferisca nelle Isole Lofoten per deporre le uova esattamente nel periodo atmosferico ideale per l'essiccazione, quando, cioè, il gelo si ritira per lasciare il posto al vento, alla pioggia e al sole che hanno il compito di effettuare la trasformazione da merluzzo in stoccafisso. Al contrario, la produzione di baccalà è più tipica della costa sud-occidentale della Norvegia, nella zona compresa fra Ålesund e Kristiansund, perché è proprio qui che la produzione del baccalà vi venne introdotta agli inizi del XVII° secolo.
La quantità di pesce catturata dai pescatori norvegesi, assommata a quella proveniente dalle stabulazioni di allevamento nelle fresche acque artiche (in prevalenza salmone) raggiunge valori vertiginosi se si pensa che la nazione scandinava ha esportato nel 2003 qualcosa come 2,1 milioni di tonnellate di pesce per un valore pari a 30 miliardi di corone (circa 4 miliardi di Euro) e naturalmente a tutto questo va assommato il consumo interno dei suoi 4 milioni e 200 mila abitanti che, in quanto a consumo di prodotti ittici, non scherzano. L'Italia ha assorbito nel 2003 oltre il 60 % dello stoccafisso totale esportato (di cui oltre il 90 % proveniente dalle Lofoten) con 3.200 tonnellate su poco più di 5.000, mentre si è assestata su un abbondante 7 % fra baccalà salato e baccalà secco, avendone acquistate poco più di 7.000 tonnellate su un totale di circa 100.000. Da questi dati si evince con facilità che il consumo dello stoccafisso (e, in seconda battuta, quello del baccalà) è fortemente legato alla nostra cultura mediterranea per motivi storici, economici, dietetici e, perché no, culturali: si dice infatti che il primo manoscritto sulla lavorazione dello stoccafisso risalga ad un aristocratico veneto, tal Pietro Quercini che, in un suo viaggio da Creta alle Fiandre, spinto da un forte vento di tempesta, finì a Røst. Siamo nel 1432.

I robur

I norvegesi, sapendo che in Italia si trova il loro primo cliente mondiale, hanno messo a punto tutta una serie di strategie di pesca, di scelta, di essiccamento e di conservazione del merluzzo tenendo nella debita considerazione che il prodotto finisca in Veneto o in Liguria, piuttosto che in Campania, Calabria o in Sicilia, senza dimenticare importanti città come Ancona e Livorno, che hanno ulteriori specifiche tradizioni culinarie legate al loro passato di porti commerciali.
Diciamo subito che, mentre il baccalà del Veneto è in realtà stoccafisso e di conseguenza le più famose ricette del nord-est, come il baccalà alla vicentina o il baccalà mantecato, sono fatte con il merluzzo essiccato, nel resto d'Italia si è saputo assimilare i sapori della tradizione norvegese con il gusto della cucina tradizionale nostrana, inventando connubi nuovi e sfiziosi che hanno lo stoccafisso come protagonista. Questo viene infatti proposto lessato, fritto, stufato o grigliato utilizzando come ingredienti olio, aglio, capperi, cipolle, parmigiano, olive nere, acciughe, pomidoro e altri prodotti tipici della cucina mediterranea.
In Veneto si preferisce il tipo di stoccafisso più magro e sottile, il famoso Ragno, che, prima della vendita, viene rullato e battuto in modo da rendere più facile a casa il processo di rinvenimento. Nelle altre Regioni si preferisce il tipo di stoccafisso più robusto e pieno. Naturalmente esiste una classificazione dello stoccafisso delle Lofoten che lo divide in due grandi scelte, la prima e la seconda (e, all'interno di queste, in ulteriori sottoclassi), tenendo conto di tutta una serie di parametri che vanno dal contenuto in grassi, alla polposità, alle dimensioni, alla brillantezza, per finire nei difetti strutturali e/o di conservazione (ecchimosi, lacerazioni, residui di sangue, muffe, danni da gelo).

Valori dietetici e nutrizionali dello stoccafisso

Come abbiamo già avuto modo di ricordare, ancora in mare aperto il merluzzo viene decapitato, sventrato e dissanguato rapidamente. A terra viene rilavato, legato per la coda a coppie e posto a cavalcioni su apposite rastrelliere in prossimità del mare dove viene lasciato a essiccare per circa tre mesi in balia del sole e dell'aria pulita secondo un processo assolutamente naturale e una tradizione plurisecolare. In queste condizioni, il pesce, che è già strutturalmente poverissimo di lipidi, perde rapidamente umidità, non consentendo il deterioramento delle carni che si concentrano nella sola materia proteica, formata da numerosi amminoacidi fra cui i preziosi 14 amminoacidi essenziali indispensabili per la crescita e per il rinnovamento dei tessuti, e in un prezioso "pacchetto" di sali minerali e vitamine: il contenuto energetico si attesta sulle 75 kcal per 100 gr. di prodotto bagnato. Questo bassissimo valore energetico unito però all'eccezionale capacità auxologica, la trascurabile quantità di colesterolo, l'elevato contenuto di potassio, la notevole presenza delle vitamine A, gruppo B, D ed E ne fanno cibo ideale per giovani e giovanissimi, anziani, adulti con difficoltà digestive e/o di assimilazione e convalescenti. Qualora si rivelasse indispensabile aumentare la quantità di energia è sufficiente arricchire il piatto di stoccafisso con carboidrati evitando, per quanto possibile, i grassi: ma a ciò ha già pensato la nostra cucina contadina con l'intervento della polenta al Nord e delle patate al Sud.
Tutto quanto abbiamo fin qui detto vale anche, naturalmente, per il baccalà, con qualche piccolo distinguo legato a una maggiore presenza di sodio e una diversa capacità di riassunzione dell'acqua perduta che nel caso del baccalà è di circa 1 kg per 1 kg di pesce salato, mentre nel caso dello stoccafisso può raggiungere anche le 4 volte rispetto al peso dell'essiccato di partenza.

Stoccafisso e pecore

La cucina del merluzzo nella "dimora degli Dei"…

Abbiamo già avuto modo di dire che i norvegesi sono robusti consumatori di pesce e di merluzzo in particolare. Dai reperti archeologici risulta che lo stoccafisso veniva prodotto in Norvegia ancor prima dell'epoca dei Vichinghi ed esso rappresentava anche la principale scorta di viveri a bordo delle navi, perché permetteva una notevole autonomia durante i lunghi periodi di navigazione e, oltre a ciò, l'eventuale surplus poteva servire come ottima merce di scambio. Ancor oggi viene consumato in abbondanza come "cibo di strada" o come lutefisk, una singolare preparazione ammollata nella soda.
Nel nostro caso, abbiamo avuto la fortuna di ricevere una lezione di alta cucina locale a cura dell'Istituto Gastronomico Norvegese che ci ha fatto "preparare" e degustare due ricette di altissima qualità: chef d'eccezione, Kjetil Gundersen, direttore tecnico della scuola.
I 2 piatti sono: "Sandwich di baccalà con pomodori al forno, insalata e maionese alla mostarda di Digione" e "Stoccafisso e polenta con bacon, asparagi e formaggio parmigiano".

…e in casa nostra.

Non è certo qui il caso di trascrivere le innumerevoli ricette italiane in cui compaiono come protagonisti lo stoccafisso e il baccalà, ma riteniamo opportuno ricordare ancora una volta che esse discendono da un sottile connubio fra pesce nordico e cucina mediterranea che si compenetrano e si completano in maniera così piacevole da diventare sorprendente. Certo è che a partire dal basso Medio Evo, proseguendo lungo il Rinascimento e il XVII°-XVIII° secolo, i pesci scandinavi rappresentarono una valida e salutare alternativa alla dieta quasi esclusivamente carnivora delle tavole signorili italiane. Fino ai primi dell'800 non si conoscevano i danni provocati dalla sconsiderata ingestione di carni bovine, ovine e suine e dalle pantagrueliche mangiate di selvaggina e cacciagione, ma è certo che pur non conoscendone gli intimi meccanismi, non pochi medici avevano già da tempo cominciato a valutare la riduzione di numerose patologie in funzione della dieta osservata: addirittura alcuni grandi cuochi delle corti italiane, francesi e tedesche e degli stessi Pontefici, avevano cominciato a introdurre nei loro menù ricette a base di grandi pesci artici. E' così che nascono nel Veneto il baccalà alla vicentina e il baccalà mantecato, in Liguria lo stoccafisso alla "brandacujun" o alla badalucchese, in Campania lo stoccafisso alla vesuviana, tipico piatto natalizio, in Calabria lo stoccafisso alla calabra con olive, pomidoro e patate e, in Sicilia, lo stoccafisso alla messinese, non dissimile da quello calabrese, ma con l'aggiunta di capperi, uva passa e pinoli. Senza dimenticare la ricetta alla livornese che allo stoccafisso predilige il baccalà salato e seccato e la ricetta all'anconetana dove si accompagna il pesce con il pomodoro, l'aglio e il vino bianco.



Giornalisti ASA a pesca

Baccalà, klippfisk e stoccafisso

Abbiamo fin qui parlato con disinvoltura di baccalà e stoccafisso perché questi termini ci sono noti fin dall'infanzia come facenti parte della più schietta ed immediata cucina di casa nostra. Ma è giunto il momento di mettere un punto fermo sull'origine di questi nomi.
Il termine baccalà, in lingua basca bacalhau, è nato più come riferimento al sistema di conservazione che al tipo di pesce. I pescatori originari del Golfo di Biscaglia, infatti, che avevano individuato al largo di Terranova fin dal XIV° secolo, i banchi più pescosi, riuscirono a mantenere per oltre tre secoli il segreto della localizzazione della "Terra do bacalhau", New Foundland (Canada), grazie alla messa a punto di una tecnica di salatura che, applicata a tutto il pescato, permetteva loro di rimanere in mare per moltissimo tempo senza perdere nessuna parte del prodotto. Questa tecnica poi introdotta, come abbiamo visto, anche in Norvegia nel XVII° secolo, consisteva nella decapitazione, veloce dissanguamento e squartamento dei malcapitati pesci e immediata loro ricopertura con sale. Una volta a terra questi pesci, solo in seguito divenuti in maggioranza merluzzi, venivano nuovamente salati e messi nei barili diventando così baccalà. Con l'affinamento della tecnica e il subentro dei pescatori norvegesi a quelli baschi, che si trovavano infinitamente più distanti dai luoghi di pesca, prese campo anche il processo di lavorazione del baccalà salato ed essiccato, ovvero del klippfisk. Con questo metodo il baccalà salato viene lavato in acqua corrente, pulito nuovamente e messo ad essiccare al sole sui "klippe", ossia gli scogli che contornano le coste norvegesi (oggi sostituiti da tunnels): il periodo di asciugatura può variare da due giorni a una settimana.
Per quanto riguarda invece lo stoccafisso, il suo nome non deriva come molti argomentano dal termine tedesco stockfish, pesce-bastone, ma bensì da stokkfisk, ovvero dal termine norvegese che significa pesce da rastrelliera, proprio quella tipicissima struttura dove il pesce viene appeso ad essiccare, nelle Isole Lofoten, per circa tre mesi: naturalmente il tempo varia a seconda delle condizioni atmosferiche e delle dimensioni del merluzzo.

Carlo Ravanello



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