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FATTI E
PERSONE
Quando le piante battono il cemento
Non solo giardini per rendere
le città più belle, ma il verde può avere un ruolo
molto importante nel processo di rigenerazione urbana
È finita l’era del verde nelle metropoli come un mero fatto
ornamentale: la vegetazione, infatti, ora nelle città possiede
una vera e propria valenza urbanistica e ambientale al punto che nei Paesi
anglosassoni si parla di urban forestry, ossia di forestazione urbana,
per sottolineare il valore delle aree verdi in contrapposizione all’aridità
della cementificazione.
Le funzioni del verde urbano sono diverse e il loro elenco più
completo in Italia si trova nel “Manuale per tecnici del verde urbano”
della città di Torino. La funzione ecologico-ambientale mitiga
inquinamento e degrado, introdotti sia dagli edifici, sia dalle attività
umane, mentre quella sanitaria, specialmente nei pressi di ospedali e
case di cura, contribuisce positivamente sia sul piano fisico, per la
presenza di essenze, sia su quello psicologico alle convalescenze. Oltre
a ciò, il verde ha una funzione protettiva sul fronte del dissesto
idrogeologico urbano di aree degradate e sensibili, oppure particolarmente
stressate dall’impermeabilizzazione delle aree circostanti, evitando
frane e smottamenti, mentre fondamentale è il loro ruolo sul fronte
della funzione sociale e ricreativa così come sul fronte psicologico.
Infine, non sono da sottovalutare i ruoli sia didattici, nell’educazione
alle scienze naturali, sia quelli storici del verde urbano, ossia quello
estetico e architettonico. Sul fronte energetico la vegetazione può
essere utilizzata come un vero e proprio regolatore delle condizioni bioclimatiche
a costo zero. Una facciata di edificio esposta a Sud può essere
“circondata” da alberi ad alto fusto che in estate la ombreggiano
e d’inverno consentono il passaggio dei raggi solari, mentre la
creazione di piccoli boschi urbani consente di mitigare le cosiddette
isole di calore, tutte tecniche che riducono i carichi energetici per
la climatizzazione e il riscaldamento.
Gli esempi d’applicazione del verde in contesti di rigenerazione
urbana sono diversi. Si va dagli orti urbani, una pratica che si sta diffondendo
a livello planetario, ai giardini verticali, passando per le “high
line” verdi con le quali le sopraelevate vengono trasformate in
giardini pensili, trasferendo il traffico, pubblico o privato che sia,
nel sottosuolo. Gli orti urbani, oggi, si sono liberati dal retaggio che
in passato li considerava un residuo della povertà destinato essenzialmente
agli anziani per essere inseriti all’interno di una visione più
sostenibile delle metropoli, grazie soprattutto a un movimento nato dal
basso in diverse città del mondo. Molte volte, infatti, questi
orti sono gestiti in forma collettiva, condividendo e andando a “occupare”
terreni pubblici, spesso degradati o destinati alla cementificazione,
che vengono dati in concessione dagli enti locali, molte volte su pressione
dei cittadini stessi. Si tratta di un’attività che ha diverse
valenze, prima tra tutte quella sociale, che però non mette in
secondo piano quella ecologica, visto che gli ortaggi in questione sono
quasi sempre coltivati senza ricorrere a pesticidi e sono molto meno energivori
di quelli che si trovano nei punti vendita, dato che non devono ricorrere
alla logistica tradizionale dell’ortofrutta fatta di trasporti e
di catena del freddo. Oltre a ciò, gli orti urbani contribuiscono
a una corretta gestione idrogeologica del territorio, poiché l’attività
non impermeabilizza il terreno, lo controlla e abitua i cittadini a una
corretta visione del territorio urbano.
L’high line, invece, è un esperimento di successo della città
di New York che ha “riciclato”, anziché abbatterlo,
un tratto di ferrovia sopraelevata in disuso dal 1980, al di sotto del
quale ci sono delle normali strade. Dopo quasi vent’anni d’abbandono,
nel 1999 si costituì un’associazione di cittadini, Friends
of High Line, che si opposero al ventilato abbattimento della ferrovia,
proponendo, e anche in questo caso l’idea arriva dal basso, la riqualificazione
dell’opera come parco urbano. La municipalità della Grande
Mela approvò il progetto, affidandolo nel 2002 agli architetti
Diller Scofidio+Renfro e allo studio di architettura del paesaggio James
Corner Field Operations e i lavori cominciarono nel 2006. Risultato: dal
2009 New York ha un parco in più, sopraelevato e lineare, della
lunghezza di 2,33 chilometri che batte la Statua della Libertà
per numero di turisti annui che, nel 2013, sono arrivati a oltre cinque
milioni. La stessa cosa vorrebbe fare Roma, con una valenza ambientale
ancora maggiore, visto che la high line capitolina dovrebbe essere realizzata
sulla vecchia sopraelevata ormai dismessa tra Batteria Nomentana e la
stazione Tiburtina, per un tratto di 1,7 chilometri. Con nove milioni
di euro di fondi dall’Unione europea la high line dovrebbe sostituire
il tratto di tangenziale che per oltre trent’anni ha inquinato le
abitazioni che vi si affacciavano, incolpevolmente, visto che sono precedenti
all’opera. Nel frattempo a Singapore si progettano addirittura i
grattacieli interamente dedicati all’agricoltura. Una sfida magari
utopica, ma che, come ogni utopia che si rispetti, in futuro potrebbe
aprire strade oggi non immaginabili. (Sergio Ferraris - www.tekneco.it)
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