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FATTI
E PERSONE
Brutti ma buoni (ma anche puliti e giusti)
Presentati i dati di una ricerca di Last minute market per verificare
i reali benefici del progetto di recupero dei prodotti invenduti di Coop
Adriatica
1.100 tonnellate di alimenti recuperati, 5,4 milioni di euro di valore
risparmiati, 23mila beneficiari individuati esclusivamente tra persone
in difficoltà. Sono i numeri dell'ultimo anno di "Brutti ma
Buoni", il progetto nato, promosso e sostenuto da Coop Adriatica
avvalendosi delle competenze di "Last minute market", società
nata sotto l'egida del professor Andrea Segrè. L'idea è
semplice ma efficace: non buttare via i cibi un po' ammaccati o in procinto
di scadenza per raccoglierli e donarli a chi ha bisogno. Sono ormai dieci
anni che Coop Adriatica ha intrapresa questa strada di responsabilità
e consapevolezza, da quando, nel 2003, per la prima volta, la "filiale"
di Villanova di Castenaso (Bologna) aprì le porte a quel gruppo
di ricercatori di Agraria così appassionati. Morale, oggi la raccolta
degli invenduti a fini solidali è attiva in 85 punti vendita Coop
distribuiti su quattro regioni. L'obiettivo del 2013 è allargare
"il giro" anche a pane e prodotti da forno finora rimasti esclusi
per ragioni logistiche, di freschezza dei prodotti e di conseguenza di
costi.
La ricerca presentata venerdì 22 marzo, vuole proprio fare il punto
sui benefici sociale e ambientali ed eventualmente sulle criticità
emerse in questi dieci anni: «Dal nostro punto di vista - dice Adriano
Turrini, presidente di Coop Adriatica - è un'iniziativa che tutela
l'ambiente ed educa alla sobrietà e al rispetto delle risorse,
coinvolgendo e sensibilizzando i lavoratori che realizzano la selezione
nei negozi; i soci Coop volontari, che individuano le strutture beneficiarie
e tessono reti di solidarietà sul territorio; e le stesse associazioni,
che hanno imparato a gestire i prodotti ricevuti con sempre maggiore consapevolezza».
E ancora: «Vogliamo andare oltre: estendere il recupero a nuovi
punti vendita e ad altre associazioni e, soprattutto, coinvolgere i soci
nelle azioni di sostenibilità e di lotta quotidiana agli sprechi.
Perché è nelle case di ciascuno che questa battaglia sarà
vinta, e solo un'azione congiunta e più incisiva anche da parte
dell'amministrazione pubblica potrà indirizzare i cittadini verso
un consumo più consapevole e sostenibile, cioè "pulito
e giusto"».
Entrando nello specifico della ricerca scopriamo che la valutazione dell'impatto
ambientale è stata fatta sulla base dei valori ricavati da tre
indicatori rappresentativi del consumo di risorse: il carbon footprint
che misura la quantità totale di gas serra immesso nell'atmosfera
lungo l'intero ciclo di vita di un prodotto o servizio; l'impronta ecologica
che misura la superficie di mare e di terra necessaria per rigenerare
le risorse consumate durante il ciclo di vita di un prodotto; e infine
il water footprint che corrisponde al volume totale di acqua utilizzata
per la produzione di un determinato bene.
Dal punto di vista economico si è scelto di mettere in evidenza
il valore della vendita dei prodotti recuperati: da una parte come potenziale
risparmio per gli enti beneficiari, dall'altro come costo che sarebbe
stato necessario per smaltire i prodotti.
(Alberto Picci - www.famigliacristiana.it)
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