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FATTI E
PERSONE
La Cina ha voglia di vino
E il governo di Pechino punta su un piano che renderà
produttivi 24.600 ettari tra le province di Sichuan e Shaanxi, dove i
contadini tibetani non hanno mai coltivato la vite e la foresta dà
rifugio a 1.600 panda ...
La Cina ha voglia di vino, i consumi del
gigante asiatico crescono senza sosta di anno in anno, e la soluzione
non può arrivare, almeno dal punto di vista del Governo di Pechino,
dalle sole importazioni. Meglio un piano produttivo su scala nazionale:
a gennaio è arrivato il via libera delle autorità locali
ai primi 18.000 ettari di vigneti, ai piedi del monte Qín Ling,
nella Provincia di Shaanxi, confine meridionale dell’altopiano del
Tibet, caratterizzato dalle grandi foreste in cui trovano rifugio, attualmente,
1.600 esemplari di panda gigante, simbolo della Cina in tutto il mondo.
Altri 6.600 ettari sorgeranno invece ad Aba, nella Provincia di Sichuan,
riconosciuta anch’essa come habitat naturale del panda gigante,
dove vivono decine di migliaia di contadini tibetani che, nei piani del
Governo, dovranno “riconvertirsi” alla viticoltura, per fare
di Aba “la Bordeaux della Cina”. Numeri che raccontano la
grandiosità di un piano che sconvolgerà il panorama produttivo
interno del mercato a cui tutti guardano con speranza, ma che porta anche
a diverse riflessioni di natura diversa, che vanno dall’aspetto
sociale a quello naturalistico, storico ed etico. Per prima cosa, le aree
su cui sorgeranno i vigneti (ormai vincolate da investimenti governativi
e stranieri, specie francesi), scelte dagli enologi cinesi perché
simili a grandi terroir come la Valle del Rodano o la Toscana, da migliaia
di anni sono ricoperte dalla foresta, ed è qui che vivono la maggior
parte dei panda del Paese, che verranno costretti in una riserva, insufficiente,
secondo molti studiosi e scienziati, a garantirne la sopravvivenza. Quindi,
c’è fare i conti con gli sconvolgimenti che una rivoluzione
del genere porterà nella vita di persone: decine di migliaia di
contadini tibetani, legati alle loro terre da tradizioni secolari, diventeranno
viticoltori, con un netto miglioramento delle proprie condizioni economiche,
al prezzo di uno “sradicamento” dalle proprie radici culturali.
Alla fine, la conversione di Pechino al vino, rischia di tradire proprio
quei pilastri che lo rendono unico, un prodotto dell’uomo capace
di raccontare la storia e la cultura di territorio e popoli, sconvolgendo
la vita dei propri abitanti. (www.winenews.it)
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