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QUALITA'
Il falso mito del cibo 100% italiano
Il nostro Paese non è autosufficiente e importiamo grandi
quantità di grano, legumi, latte e carni bovine
L’Italia nel settore alimentare non è
autosufficiente e deve importare grandi quantità di materie prime
dall’estero. Una situazione ben conosciuta dagli addetti ai lavori,
ma meno nota al grande pubblico, che vorrebbe sempre comprare cibo “made
in Italy”. Questa mancanza si traduce nella necessità di
importare ingredienti da trasformare in prodotti finiti destinati sia
al consumo interno sia all’esportazione. Un rapporto firmato da
Coop e pubblicato sulla rivista “Consumatori” cerca
di fare chiarezza.
Il dossier sfata il mito del prodotto preparato con materie prime al 100%
italiane. Il nostro Paese non riesce a produrre tutte le risorse di cui
ha bisogno sia a causa di politiche restrittive dell’Unione Europea,
sia per la diminuzione dei terreni destinati all’agricoltura. Secondo
dati raccolti da Coop, dal 1970 a oggi gli ettari di superficie coltivabile
sono scesi da 18 a 13 milioni, mentre la popolazione è cresciuta
del 10%. L’importazione è indispensabile per produrre
molti altri alimenti tipici del made in Italy.
L’esempio della pasta è istruttivo: il grano duro italiano
copre solo il 65 % del fabbisogno, occorre importare frumento da Paesi
come Canada, Stati Uniti, Sudamerica e Ucraina. Anche per il grano tenero
vale la stessa cosa poiché il prodotto interno copre solo il 38%
di ciò che richiede il settore, con importazioni da Canada, Ucraina,
ma anche Australia, Messico e Turchia. Non cambia la situazione per altre
categorie merceologiche: le carni bovine italiane rappresentano il 76%
dei consumi e per il latte si scende addirittura al 44%, anche per lo
zucchero e il pesce fresco dobbiamo rivolgerci ad altri mercati poiché
riusciamo a coprire solo il 24% e il 40% del consumo interno. Lo zucchero
viene soprattutto dal Brasile, mentre il pesce da Paesi Bassi, Thailandia,
Spagna, Grecia e Francia, oltre a Danimarca ed Ecuador.
Anche la maggior parte dei legumi non sono italiani, a causa di drastiche
riduzioni delle coltivazioni a partire dagli anni ’50. Adesso le
importazioni provengono principalmente da Stati Uniti, Canada, Messico,
Argentina, ma anche da Medio Oriente e Cina. Quest’ultimo Paese
è diventato il primo fornitore italiano a seguito della siccità
che ha colpito l’Argentina.
Dobbiamo ricordare poi l’annosa questione del pomodoro. Premesso
che tutto il pomodoro venduto sugli scaffali è italiano, dalla
Cina importiamo triplo concentrato di pomodoro, che viene lavorato e
esportato in altri Paesi. Siamo invece autosufficienti per quanto riguarda
riso, vino, frutta fresca, pomodoro, uova e pollo. Solo in questi casi
abbiamo la quasi totale certezza di comprare un prodotto made in Italy
al 100%.
La situazione per il cibo trasformato è opposta: produciamo il
220% della pasta rispetto al fabbisogno interno, che viene esportata,
4 volte la quantità di spumante consumato, mentre per i formaggi
questa percentuale è pari al 134% ( vedi tabella Coop sotto). L’importazione
della materia prima diventa nel caso della pasta indispensabile
per poter produrre quantità in grado di soddisfare le richieste
del mercato.
La bresaola IGP è prodotta in Valtellina con materie prime provenienti
dall’estero, a causa dell’insufficiente quantità di
animali allevati in Italia
Alcuni esempi rischiano anche di sorprendere: alcuni prodotti correlati
al territorio come quelli IGP (Indicazione Geografica Protetta), sono
in realtà il risultato eccellente della lavorazione di materie
prime non italiane. La bresaola proveniente dalla Valtellina viene preparata
con carne argentina o del sud america. La Valtellina offre un ambiente
ottimo per la stagionatura e la lavorazione del prodotto, ma non dispone
di allevamenti in grado di fornire l’ingrediente di base (17 mila
tonnellate l’anno di cui 11 mila di prodotti Igp).
Alla luce di questi dati la ricerca insistente dell’alimento fatto
solo con materie prime italiane ha poco senso, tranne per alcune categorie
merceologiche dove siamo autosufficienti. Per questo motivo Coop ha deciso
di fare conoscere ai clienti l’origine degli ingredienti dei
suoi prodotti attraverso la rete. Il sistema, che abbiamo già descritto
in un articolo, è molto semplice: basta collegarsi al sito della
Coop e digitare il nome del prodotto o utilizzare il codice a barre di
ciò che abbiamo acquistato. Se proviamo a scrivere la parola “pasta”
troveremo decine di voci, dalla pasta di semola a quella all’uovo.
Alcune sono fatte con materie prime italiane al 100%, altre invece sono
ottenute con grano importato da Australia, Canada, Francia e Stati Uniti.
La provenienza di materie prime dall’estero non è sinonimo
necessario di scarsa qualità: la sicurezza dipende dai controlli
e dal rispetto delle regole. È più importante
poter potenziare gli strumenti che garantiscono la qualità di un
prodotto o di un ingrediente, a prescindere dalla sua provenienza geografica,
piuttosto che ricercare l’italianità a tutti i costi, anche
quando non è possibile.
(Eleonora Viganò - www.ilfattoalimentare.it)
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