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FATTI E
PERSONE
Lavoro: sempre più giovani “dribblano” la crisi
tornando alla terra. E il 35 per cento ha una laurea
La Cia parte dai dati Istat sulla disoccupazione per evidenziare
un fenomeno nuovo del comparto: non solo agronomi, ma anche “dottori”
in economia o marketing scelgono di investire nel settore primario e reinventarsi
agricoltori. Il risultato sono aziende dinamiche, innovative, realmente
internazionalizzate e con un potenziale economico altissimo: il 40 per
cento in più dei colleghi “senior”.
Contro la disoccupazione giovanile, che in Italia sfiora il 36 per cento,
sono sempre di più i ragazzi che decidono di tornare alla terra.
E non si tratta più solo di figli che rilevano o continuano l’attività
dei genitori, ma di neolaureati preparati e determinati che, a causa di
una crisi che chiude le porte dei loro settori, scelgono di scommettere
sulla vita dei campi e reinventarsi produttori. Questi nuovi “dottori
dell’agricoltura” oggi sono quasi il 35 per cento degli “under
40” del comparto, che a loro volta rappresentano l’8 per cento
del totale dei conduttori agricoli italiani. Si tratta ancora di piccoli
numeri, ma in grado di fotografare un fenomeno nuovo e in continua crescita
che sta rivoluzionando il settore primario. Lo afferma la Cia-Confederazione
italiana agricoltori, partendo dai dati dell’Istat su occupati e
disoccupati diffusi oggi.
A volte poco avvezzi ai segreti del mestiere, i nuovi “dottori”
sono però fortissimi della propria preparazione settoriale, un
“know-how” prezioso per un comparto spesso restio all’iniziativa
imprenditoriale innovativa e multifunzionale. Invece per questi giovani
-spiega la Cia- la parola d’ordine è diversificazione: agronomi
che fanno ricerca e impiegano le tecnologie più all’avanguardia;
biologi che puntano sulla sanità e la qualità dei prodotti;
esperti della comunicazione che gestiscono il marketing e la promozione
telematica dei prodotti; esperti in economia che amministrano l’azienda;
educatori che si dedicano all’agricoltura sociale o ai progetti
educativi in fattoria; erboristi e farmacisti che scommettono sulla fitoterapia
e sulla cosmesi naturale.
Insomma, l’apporto delle nuove generazioni in agricoltura è
fondamentale, tanto più se con una laurea alle spalle, perché
aprono le porte alla competitività, al dinamismo e alla creatività.
E nonostante le difficoltà del settore, tra alti costi di avviamento
e di produzione, barriere fiscali e burocratiche e scarsa mobilità
fondiaria. Già oggi le imprese “junior” hanno un potenziale
economico altissimo: il 40 per cento in più dei colleghi maturi,
grazie anche a una maggiore attitudine al rischio e propensione all’export.
Ma anche grazie a una più elevata sensibilità per le tematiche
sociali e ambientali. Perché i giovani -sottolinea la Cia- non
si fermano solo agli agriturismi ma creano vere e proprie fattorie didattiche:
in Italia le conducono il 4,7 per cento degli “under 40” contro
l’1,2 per cento degli “over 40”. E poi non si accontentano
solo di produrre coltivazioni certificate, ma le vendono quasi sempre
in azienda: la vendita diretta, infatti, è appannaggio del 22,6
per cento degli “under 40” contro il 15 per cento degli “over”.
In più -conclude la Cia- scelgono sempre un approccio eco-sostenibile
nelle loro attività: i servizi per l’ambiente e la produzione
di energia alternativa sono una prerogativa aziendale per il 7,2 per cento
degli “under 40” contro il 4 per cento degli “over 40”.
(www.cia.it)
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