FATTI E PERSONE

Alimentare: nonostante la crisi, nelle feste di Natale oltre 1,3 miliardi di euro di cibo finiti nella pattumiera
Dalla Vigilia a Capodanno “sprecate” 440 mila tonnellate di cibo, il 20 per cento della spesa degli italiani. Uno sperpero di risorse e un danno rilevante per l’ambiente, “costato” più di 50 euro a famiglia. Il 12 per cento in meno dell’anno scorso: una diminuzione che però in gran parte dipende dalla contrazione complessiva della spesa alimentare. Nei cassonetti più di tutti carne, uova, latticini e pane.
 
La crisi non frena gli sprechi delle tavolate natalizie. Nonostante il 2011 si sia chiuso con i consumi in calo e l’approvazione di una manovra “lacrime e sangue”, gli italiani non perdono le cattive abitudini dissipatorie e nemiche dell’ambiente: dalla Vigilia di Natale a Capodanno sono finite nei cassonetti 440 mila tonnellate di cibo, per un valore complessivo di 1,32 miliardi di euro, più di 50 euro a famiglia. Un vero schiaffo alla miseria che ha ridimensionato le sue cifre del 12 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Ma non si tratta di un gran traguardo, se si considera che i piatti delle festività quest’anno si sono “alleggeriti” del 10 per cento. È quanto sottolinea un’indagine della Cia- Confederazione italiana agricoltori sugli sprechi alimentari nelle festività natalizie.
A passare con più facilità dal piatto alla pattumiera -sottolinea la Cia- sono stati latticini, uova e carne (43 per cento), seguiti dal pane (22 per cento), frutta e verdura (19 per cento), pasta (4 per cento) e dolci (3 per cento). Un fenomeno dalle dimensioni insostenibili che tocca puntualmente il suo apice nelle festività di fine anno, periodo in cui anche quest’anno il 20 per cento della spesa degli italiani è andata direttamente a riempire le buste della spazzatura. Neanche la crisi è riuscita a contenere questo fenomeno: da questo punto di vista, infatti, le abitudini delle famiglie sono cambiate di poco, facendo registrare complessivamente una lieve contrazione (meno 2 per cento) del cibo sprecato, mentre a scendere del 10 per cento è stata la quantità di cibo acquistata. Troppo poco: a finire nel bidone dell’immondizia è stato quasi un quinto delle portate preparate per allestire le tavole delle Feste. Tutto ciò a dispetto della recessione alle porte.
Gli sprechi maggiori si sono concentrati a ridosso di Natale (cene e pranzi del 24, 25 e 26 dicembre), quando le famiglie italiane avrebbero gettato nei cassonetti -secondo l’indagine della Cia- quasi 90 milioni di euro, poco meno di 40 euro a famiglia. Mentre più di 10 euro a nucleo familiare sono stati dissipati tra il cenone del 31 e Capodanno. Uno scempio dal punto di vista etico ed economico, oltre che ambientale: basti pensare, infatti, -ricorda la Cia- che una sola tonnellata di rifiuti organici genera 4,2 tonnellate di Co2.
Quella dello spreco alimentare -ricorda la Cia- è una tendenza, cresciuta del 50 per cento dal 1974 ad oggi e che globalmente interessa, secondo la Fao, un terzo del cibo prodotto nel mondo: ogni anno 1,3 miliardi di tonnellate di cibo vanno “perdute” dal campo alla tavola nei paesi industrializzati (670 mln di tonnellate) e in quelli in via di sviluppo (630 mln di tonnellate). Uno sperpero a cui i consumatori europei e Nord-Americani contribuiscono con uno “spreco procapite” di 115 kg all'anno, contro i 6-11 kg delle popolazioni dell’Africa sub-sahariana e del Sudest asiatico.
Tutto ciò -ricorda la Cia- nonostante in Europa quasi 80 milioni di persone vivono sotto la soglia della povertà, mentre sono 900 milioni le persone al mondo che soffrono di malnutrizione. Nonostante questi tristi bilanci, solo in Italia ogni anno si getta una quantità di cibo che potrebbe soddisfare i ¾ della popolazione (più di 44 milioni di abitanti). E in questo “impegno” dissipatorio siamo in buona compagnia: come evidenziato recentemente dal prof. Andrea Segrè, presidente della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, sono gli Stati Uniti a detenere il titolo dei più “spreconi”; con il 40 per cento degli alimenti prodotti finiti nel pattume, seguiti dalla Svezia con il 25 per cento e la Cina con il 16 per cento. (www.cia.it)

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