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FATTI E
PERSONE
Crisi: Marini (Coldiretti), "L'Italia che vogliamo" in 10 punti
E’ una proposta in dieci punti quella contenuta nel documento “L’ltalia
che vogliamo” presentato dal presidente della Coldiretti Sergio
Marini all’apertura del Forum Internazionale dell’agricoltura
e dell’alimentazione di Cernobbio, dove si sono dati appuntamento
opinion leader, segretari di partito, membri dell’esecutivo, compreso
il presidente del Consiglio Mario Monti. Dall’esigenza di un governo
globale di beni comuni come il cibo contro gli effetti di una globalizzazione
senza regole fino all’etica che deve traguardare insieme alla politica
anche le forze social e tutti i cittadini.
1. Un governo globale dei beni comuni: “E’ necessario che
i decisori politici ne tengano conto mettendo ai vertici della loro agenda
la strategicità del cibo e promuovendo politiche che a livello
globale definiscano una regia di regole per i beni comuni come il cibo,
l’acqua e il suolo”.
2. Più Europa: “E’ necessario lavorare alacremente
alla costruzione degli Stati Uniti di Europa, dotando l’Unione di
forti istituzioni politiche elette democraticamente, capaci di orientare
sia il cammino di integrazione iniziato, che di ricondurre le spinte disgreganti
in atto. Dal punto di vista del sistema agroalimentare italiano dobbiamo
essere in grado di portare pienamente “l’Italia in Europa”,
facendo sì che la nuova Politica Agricola Comunitaria riconosca
il valore strategico del “modello italiano” e le sue straordinarie
peculiarità, consentendo che esso diventi patrimonio della comunità
contaminando virtuosamente il pensiero comunitario”.
3. L’Italia, una, sussidiaria e solidale: “Di fronte alla
ripresa - dopo quasi un secolo - di forti squilibri nella distribuzione
della ricchezza prodotta e nel contesto di un necessario contrappunto
federale il valore della sussidiarietà diventa strumento cardine
per gestire la semplificazione burocratica e i principi di solidarietà
sono indispensabili per superare le diseguaglianze. Al tempo stesso quando
pensiamo a “una” Italia facciamo riferimento alla pletora
di livelli amministrativi che ostacolano il dispiegarsi del potenziale
dell’imprenditoria nazionale”.
4. I nostri punti di forza: “Gli assets su cui il nostro Paese può
e deve puntare, sono di natura materiale e immateriale: patrimonio storico
ed artistico, paesaggio, biodiversità, ricchissima articolazione
territoriale, originalità e creatività, gusto e passione,
intuito e buonsenso. Accanto a questi fattori, siamo stati capaci di sviluppare
nel tempo un capitale sociale che rimane fortissimo; resta viva una forte
capacità di relazionarci e di fare comunità, di innovare
mantenendo in vita saperi antichi. Risorse che appartengono al Dna del
Paese e che garantiscono quel valore aggiunto inimitabile e non delocalizzabile
al “saper fare” italiano. La nostra agricoltura ha fondato
su tali risorse il suo successo. Se essa mette in luce elementi di competitività,
distintività, innovazione ed eccellenza, è perché
ha saputo innovarsi ancorandosi al paradigma antico e non omologabile
del Paese”.
5. Il nostro modello di sviluppo: l’Italia che fa l’Italia:
“L’Italia e il suo futuro sono legati invece alla capacità
di tornare a fare l’Italia, imboccando intelligentemente la strada
di un nuovo modello di sviluppo che trae nutrimento dai punti di forza
a cui abbiamo già fatto riferimento. E’ nella nostra capacità
di trasferire nei nostri prodotti e nei nostri servizi il valore materiale
e immateriale della distintività italiana e nel rafforzare il nostro
saper “fare rete” che troveremo la forza e l’autorevolezza
per riconquistare la giusta capacità competitiva, anche nella dimensione
globale”.
6. Le politiche necessarie: “Per accompagnare la crescita, abbiamo
bisogno di “buona politica” e ciò significa in primo
luogo il ritorno a funzioni di mediazione intelligente fra ceti e interessi
distinti e contrastanti ai fini di perseguire un più ampio interesse
di carattere generale, ciò che si definisce “bene comune”.
“Alla politica, fortemente deficitaria, chiediamo un’operazione
coraggiosa di verità, giustizia e legalità, aspetti la cui
declinazione è diventata in questi anni via via più opaca”.
“E per la nostra agricoltura chiediamo un impegno speculare, a servizio
di ciò che stiamo perseguendo con il nostro agire quotidiano:
- la verità, per garantire trasparenza ai cittadini consumatori
e metterli in condizione di conoscere ciò che va sulle loro tavole
(lotta all’italian sounding, norme per l’informazione ai consumatori,
applicazione di quelle leggi approvate dal Parlamento ma finite in un
binario morto);
- la giustizia, per contrastare le posizioni di rendita e ridistribuire
il valore aggiunto a vantaggio di chi lo produce (sostegno ai nostri progetti
di Campagna Amica e della Filiera Agricola Tutta Italiana tesi ad accorciare
e costruire nuove relazioni di filiera);
- la legalità, per impedire i fenomeni che minacciano il valore
del marchio “Italia” (continuità di impegno nella lotta
alla contraffazione e sofisticazione, condivisione della nostra denuncia
sulle Agromafie in stretta collaborazione con magistratura e forze dell’ordine)”.
7. La molla per tornare a crescere: “L’Italia è un
Paese in cui le scelte economiche, politiche e sociali sono fortemente
condizionate da dimensioni emozionali. Elementi come “la fiducia”
tendono a ripercuotersi in maniera più che proporzionale sui comportamenti
degli individui e delle famiglie. In stagioni congiunturali particolarmente
difficili, “la fiducia” diventa una sorta di “molla”
che se nutrita dal giusto orgoglio nazionale e messa in tensione va a
costituire un fattore rigenerativo, se trascurata si traduce in un ulteriore
chiave “depressiva”.
8. Far crescere il Pil con il benessere: “E’ tempo di ripensare
lo sviluppo in una logica di benessere secondo principi di sostenibilità,
etica del lavoro e coesione sociale. Il Pil in tal caso è strumento
e non fine ultimo di una crescita sostenibile. Dentro al consumo di cibo
c’è la cultura dei territori, la tipicità e la creatività
di tutta la gente che l’ha generato. Dentro al cibo c’è
la sicurezza alimentare che noi abbiamo garantito. C’è la
qualità e la diversificazione assicurata dalla lotta continua che
facciamo per difendere la biodiversità. Si tratta di tutta una
serie di componenti immateriali che quando ci fanno stare a tavola ci
fanno stare bene al di là del Pil”.
9. Il valore della comunità: “La crisi ci ha fatto riflettere
sulla necessità di investire su alcuni valori, che sono anche essi
durevoli, continuativi, che non conoscono erosione: la socialità,
l’amicizia, la famiglia, lo stare bene assieme, la spiritualità
nelle sue varie espressioni culturali e religiose, la solidarietà.
Nella “prossimità”, che è elemento fondante
della comunità, c’è l’essenza, il concetto base
del modello di sviluppo verso cui dobbiamo tendere; c’è la
chiave, per potersi integrare nel mare della globalizzazione senza smarrirsi,
conservando la solidità e la coerenza dei nostri modelli identitari
e valoriali. Del resto l’agricoltura multifunzionale e la stessa
produzione agroalimentare sono nello stesso tempo generatrici e rappresentazione
di questo modello, e la stessa impresa multifunzionale, continua a rimanere
al centro di questo fare “comunità””.
10. Etica prima di tutto: “Una molteplicità di episodi in
questi anni e mesi ha messo pesantemente a nudo le debolezze del ceto
politico nazionale e locale. Ciò da un lato ha generato una diffusa
indignazione all’interno dell’opinione pubblica, dall’altro
ha dato vita a forme, movimenti e pulsioni di sapore antipolitico”.
“Tutto ciò - e si tratta di un problema non trascurabile
- rischia di produrre un meccanismo di rimozione individuale: se la colpa
è degli “altri”, le persone nel loro quotidiano agire
finiscono per sciogliersi da quelle responsabilità che pure hanno
e dovrebbero esercitare nella sfera pubblica e in quella privata. Se tuttavia
in questi anni c’è stato un venir meno dei valori di trasparenza,
di verità, di assunzione di responsabilità ciò, in
taluni casi, ha investito anche le forze di rappresentanza. A volte, infatti,
è accaduto che esse abbiano espresso scarsa progettualità,
bassa propensione a rischiare, incapacità di essere punto di riferimento
esemplare per i loro associati, che siano rimaste prigioniere di logiche
legate a rendite corporative. Ma soprattutto ci è parso che esse
non abbiano saputo fuoriuscire dalla logica schiacciante del “presente”
e a configurare quella proiezione in chiave futura di cui il Paese ha
bisogno. Che ciò sia il riflesso di una più generale miopia
e assenza di lungimiranza della classe politica, non è motivo di
consolazione”. (www.coldiretti.it)
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