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IN PRIMO
PIANO
Alimentare: i cibi kosher possono trovare
un ulteriore punto di forza nella qualità e nella salubrità
delle produzioni agricole “made in Italy
La Cia partecipa all’incontro
con il ministero delle Politiche agricole e con l’Unione comunità
ebraiche italiane. Aprire un Tavolo di confronto per fare crescere tale
certificazione e aumentarne i consumi nel nostro Paese. Ottime opportunità
commerciali si presentano per le aziende agroalimentari sui mercati internazionali.
Le produzioni di qualità dell’agricoltura italiana possono
contribuire allo sviluppo del ‘marchio kosher’ nel nostro
Paese. Sarebbe, pertanto, importante aprire al più presto un Tavolo
di confronto con la partecipazione del ministero delle Politiche agricole,
dell’Unione comunità ebraiche italiane e dei vari soggetti
che compongono la filiera agroalimentare, dalla produzione sui campi alla
distribuzione. Lo ha proposto la Confederazione italiana agricoltori intervenendo
oggi all’incontro promosso a Roma sul tema “Il marchio kosher.
Opportunità e sfida culturale”.
Attualmente in Italia -ha affermato la Cia- il kosher è poco conosciuto
al di fuori della cultura ebraica, ma abbraccia importanti prodotti tipici
della filiera nazionale e aziende di grandi, medie e piccole dimensioni
dell’agroalimentare. I cibi kosher rappresentano solo il 4 per cento
dell'interscambio Italia-Israele. Bisogna trovare un punto d’incontro
per dare impulso a una certificazione che, pur avendo tuttora un bacino
d’utenza limitato, è in grado di aumentare i consumi italiani
e dare una spinta all’export. Basta considerare che gli Stati Uniti,
dove i cibi kosher hanno un giro d’affari annuo di oltre 150 miliardi
di dollari e ogni anno 2500 nuovi prodotti acquisiscono tale marchio,
rappresentano un mercato di grandissime dimensioni. Molte sono, infatti,
le catene di supermercati che richiedono ai fornitori questa particolare
certificazione.
La certificazione kosher -ha rilevato la Cia- deriva dalla sacralità
dell’alimento. Le leggi alimentari del popolo ebraico, d’altra
parte, sono probabilmente le più antiche che la storia ricordi
e la tradizione vuole che queste siano state consegnate ai discendenti
di Abramo da Dio. E’ una certificazione applicabile ad una gran
varietà di prodotti, dagli ingredienti da cucina come l'olio d'oliva
ad alimenti confezionati, fino ai prodotti dietetici e integratori alimentari
ed è stata estesa, in generale, a tutti i prodotti destinati all'uso
umano, inclusi i cosmetici e i prodotti per l'igiene personale.
D’altronde, per avere il certificato kosher, un prodotto -ha detto
la Cia- deve rispondere a rigorosissimi standard di qualità. Tutte
le procedure di produzione e confezionamento, nonché ogni singolo
ingrediente utilizzato nella sua preparazione, devono essere conformi
a leggi molto restrittive. Il rispetto di queste severe regole è
verificato periodicamente e la loro estrema rigidità costituiscono
una tutela per il consumatore, indipendentemente dalla sua religione e,
nel tempo, hanno reso la certificazione kosher un marchio di qualità
riconosciuto in tutto il mondo.
Sta di fatto che negli Stati Uniti, ma anche in altri paesi d’Europa,
la certificazione kosher ha assunto per molti consumatori, non necessariamente
di religione ebraica, un significato di garanzia di qualità, di
salubrità, di purezza e di sicurezza alimentare. Questo perché
-ha rimarcato la Cia- tutto il processo produttivo si svolge sotto l’attento
controllo dei rabbini.
Una percezione che si comincia a intravedere pure nel nostro Paese dove,
nonostante i numeri ancora esigui, i cibi kosher stanno trovando sempre
più consenso tra la popolazione. Una crescita che può trovare
un punto importante di riferimento nella qualità delle nostre produzioni
agricole. Da qui la nostra proposta di un confronto costante al fine di
aumentare la certificazione kosher e aprire alle imprese agricolo-alimentari
nuovi sbocchi sul mercato nazionale, ma soprattutto su quello mondiale.
E’, dunque, un’opportunità in più e una vera
sfida culturale. (www.cia.it)
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