FATTI E PERSONE

La banca dei semi per il Giorno del Giudizio
Riportiamo un articolo pubblicato sul giornale anglosassone The Economist che racconta della banca dei semi di Svalbard in Norvegia.

Il 28 febbraio sono giunti nel Deposito sotterraneo globale dei semi di Svalbard (Svalbard global seed vault) altri semi: provenienti dall’ America, Colombia, Costa Rica, Tagikistan, Armenia e Siria sono giunti campioni di altri 25.000 semi. Particolarmente benvenuti sono stati, secondo l’architetto americano che ha disegnato il deposito, Cary Fowler i ceci e le fave siriani.
La Banca nazionale dei semi delle Filippine è stata danneggiata prima da un incendio, e sei anni dopo dalle inondazioni, mentre le banche genetiche dell'Afghanistan e dell'Iraq sono andate distrutte nel corso delle recenti guerre: è proprio per evitare tali eventualità che si è deciso di costruire il caveau. Se l'attuale conflitto in Siria dovesse colpire la ricca banca delle sementi di Aleppo, il danno sarebbe decisamente minore, in quanto circa 110.000 dei 750.000 esemplari di sementi siriane sono ora custoditi nel deposito delle isole Svalbard. "Quando li vedo, penso: grazie al cielo sono salvi", spiega Fowler guardando amorevolmente gli ultimi arrivati.
Il caveau di Svalbard è protetto da due camere stagne, poste alla fine di un tunnel scavato a 160 metri di profondità nel permafrost dell'arcipelago artico della Norvegia, nei pressi della cittadina di Longyearbyen, uno degli insediamenti più a nord del mondo. La temperatura interna viene mantenuta costantemente a -18°C, Questo in modo che in caso di interruzione di corrente elettrica ci vorrebbero due secoli prima che, secondo i calcoli di Fowler, si arrivi a riscaldare il punto di congelamento. La calotta della galleria a forma concava, aggiunge, e' stata progettata anche per resistere a un eventuale attacco missilistico. Tutte queste precauzioni sono valse all'impianto il soprannome di "Doomsday Vault", il "Deposito del Giorno del Giudizio".
Il bunker, che Fowler gestisce per conto del governo norvegese, di un'associazione di banche genetiche e dell'organismo internazionale Global crop diversity trust (Fondo mondiale per la diversità delle colture), contiene un campione di circa i due terzi della biodiversità colturale conservata a livello globale. Fowler intende ampliare ciò e a breve, grazie a 50 milioni di dollari dati dal governo norvegese, inizierà un nuovo progetto che prevede lo stoccaggio di molte specie selvatiche originarie. La maggior parte delle banche genetiche sono state create tra gli anni Settanta e Ottanta, verso la fine della cosiddetta Rivoluzione verde, che aveva portato all'incremento globale dei raccolti grazie all'adozione di varietà di sementi ibride. L'idea è nata dalla consapevolezza di aver perso una gran quantità della biodiversità agricola, giacché gli agricoltori abbandonarono i vecchi semi, sviluppati localmente nel corso dei secoli, per coltivare i nuovi ibridi.
L'entità della perdita, che continua fino ad oggi, è ancora scarsamente documentata, ma secondo la Fao ben il 75% della diversità biologica presente nei terreni agricoli a livello mondiale sarebbe andato perso. Per esempio, un secolo fa l'India possedeva oltre 100.000 varietà di riso, mentre ora ne ha solo poche migliaia, e in passato l'America disponeva di 5.000 varietà di mele; adesso solo poche centinaia. Tali cifre tendono probabilmente addirittura a sottostimare la portata reale delle perdite, perché una singola varietà tradizionale possiede spesso un'elevata diversità genetica.
E' difficile capire quanto questo sia importante, ma i rischi a lungo termine sono potenzialmente enormi.
La biodiversità' agricola rappresenta la migliore difesa contro future catastrofi causate da parassiti, malattie o cambiamenti climatici: ecco perché i coltivatori, siano essi piccoli coltivatori o le grandi aziende di biotecnologia (i cosiddetti "sovrani degli Ogm'') ampliano continuamente i propri stock genetici, spesso da fonti oscure,
"Se non teniamo conto della diversità genetica mentre sviluppiamo prodotti Ogm, corriamo il rischio che queste varietà vengano spazzate via da una malattia o da qualche parassita", afferma John Soper, responsabile della ricerca genetica delle colture presso la Pioneer Hi-Bred, divisione delle sementi del gigante chimico DuPont. Come rivela l'esperto, l'azienda nell'ultimo decennio ha, tre o quattro volte, estratto materiale genetico dalle sue scorte di semi di girasole americano selvatico per tentare di rendere le sue varietà commerciali resistenti all'orobanche, una pianta parassita erbacea originaria dell'Europa meridionale. Inoltre, per combattere i cambiamenti climatici, ha recentemente inaugurato un istituto di ricerca nel Canada occidentale in cui sta sviluppando specie locali di mais e di soia, che per ora non sono coltivati a scopo commerciale ma che potrebbe esserlo in futuro se la temperatura dovesse aumentare.
La difesa della biodiversità delle piante non può essere tuttavia affidata alle imprese biotecnologiche. Le loro banche genetiche sono troppo piccole e troppo concentrate su poche colture commerciali. Senza contare che il loro proprio profitto personale potrebbe non necessariamente essere in linea con il bisogno di alimentare la popolazione mondiale.
Da qui la recente volontà di potenziare le banche genetiche nazionali, che ha portato alla creazione dello Svalbard Vault: un esempio incoraggiante di cooperazione internazionale. Nel sepolcro ghiacciato, si trovano infatti l'uno accanto all'altro semi della Corea del Nord e della Corea del Sud, ma anche del Congo, Bangladesh e Perù. In molti paesi in via di sviluppo le banche di geni sono impoverite e mal gestite, e ciò rappresenta un'altra grave minaccia per le riserve di sementi. Commentando questo rischio Flower avverte che ‘un millennio di attività agricola può sparire in una notte’.
Per salvaguardare la biodiversità delle colture le banche di semi non sono però l'unica risposta, al contrario è necessario anche continuare a preservarla nei campi, perché le banche genetiche raramente conservano varietà che non producono semi, come la manioca, le banane, le bacche o molti altri frutti. Inoltre le banche dei semi con conservano le conoscenze legati alle colture, qualcosa che è altrettanto importante dei semi stessi.
Al contrario delle banche di semi, la natura ha, inoltre, una forte capacità di adattamento. Negli ultimi quindici anni in Africa occidentale si è osservato per esempio come alcune varietà tradizionali di sorgo abbiano accorciato di due settimane il proprio ciclo di crescita, in risposta a una stagione di piogge che si è andata riducendo nel tempo. Il modo migliore per sfruttare questa adattabilità è semplicemente lasciare che la natura faccia il suo corso.
E' comprensibile che gli agricoltori vogliano abbandonare i loro vecchi ecotipi, dopo aver visto aumentare - grazie alle varietà migliorate di sementi - la resa dei loro raccolti del 21-43%, indipendentemente dall'utilizzo di fertilizzanti o da altri fattori di produzione.
Per proteggere la biodiversità colturale nell'inevitabile corsa agli ibridi, le banche di semi hanno dunque un ruolo importante, ma non basta. Un'altra soluzione sarebbe quella di migliorare radicalmente la pianificazione dell'uso del suolo e incoraggiare gli agricoltori locali a riservare una piccola parte dei propri terreni alle colture non transgeniche, sviluppare mercati di nicchia per le verdure e i cereali tradizionali, o organizzare iniziative come la festa del raccolto che si tiene in Nepal, dove regolarmente vengono premiati gli agricoltori con una maggiore biodiversità di colture. Misure come queste vengono invece, purtroppo, prese solo raramente, perché meno attraenti e più problematiche rispetto alla più facile soluzione di immagazzinare i semi in un bunker dell'Artico, gentilmente pagato dai contribuenti norvegesi. Se l'umanità' riuscisse a conservare meglio la biodiversità delle colture nei campi, forse il temuto Giorno del Giudizio verrebbe scongiurato. (www.aiol.it)


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