FATTI E PERSONE

Clima, accordo in bianco e nero
Il vertice Onu si chiude con un successo diplomatico ma le emissioni non si toccano fino al 2020

Sono le 4 e 45 di domenica mattina quando Maite NkoanaMashabane, la sudafricana che ha presieduto la Conferenza Onu sul clima, dichiara approvati i testi concordati. Una notte estenuante che chiude una maratona negoziale giunta a un passo dal fallimento, ma che ha prodotto un risultato politicamente importantissimo. Come dirà più tardi Christiane Figueres, il capo dell’Unfccc (l’organismo Onu per la lotta al cambiamento climatico), «Nelson Mandela spiegava che certe cose sembrano impossibili finché non le facciamo». E a Durban, smentendo le attese, è nato un accordo tra 194 nazioni del pianeta perché venga stipulato nel giro di alcuni anni un protocollo legalmente vincolante per ridurre le emissioni di gas serra.
Chiariamoci: come spiegano nei loro sconsolati commenti gli ambientalisti e le Ong, l’intesa di Durban ha un valore diplomatico indubbio, ma non contribuisce a ridurre neanche di un grammo le megatonnellate di CO2 frutto dell'attività umana che quotidianamente vengono sparate nell’atmosfera. I paesi che aderiranno al secondo tempo del Protocollo di Kyoto (l’Europa, visto che Russia, Canada e Giappone si sono chiamati fuori) continueranno ad agire con vigore. Altri, industrializzati o emergenti, come Usa, Cina, India e Brasile, si atterranno alle loro promesse di intervento «volontario» sui gas serra. Ma la scienza, come chiarisce l’Unep, l’agenzia Onu per l'ambiente, afferma che gli impegni e le promesse sono insufficienti a evitare che l’aumento della temperatura media della Terra si fermi a due gradi centigradi, il valore che permetterebbe di evitare conseguenze catastrofiche per il clima (siccità, inondazioni, cicloni) e per le popolazioni (crisi alimentari, migrazioni). Dal 1750 la temperatura è cresciuta di 0,8 gradi; di questo passo andremo a +3,5 entro il 2100.
Insomma, si rischia di perdere tempo, o di dover prendere provvedimenti più drastici in futuro per recuperare il terreno perduto. Ciò non toglie che la Durban Platform rappresenti un passo avanti notevole. Perché oltre a confermare il protocollo di Kyoto e dare il via libera (senza però stabilire come finanziarlo) al Green Climate Fund che agevolerà i trasferimenti di tecnologia e la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, per la prima volta si supera il muro dei veti incrociati. Tutti i paesi, ricchi e poveri, promettono di aderire a un nuovo trattato globale da chiudere entro il 2015 e che partirà entro il 2020. Proprio su questo aspetto si è giocata una delicata partita diplomatica nelle ore decisive della Conferenza. L’Europa, dopo aver forgiato un’alleanza con i paesi africani e isolani, dopo aver messo in un angolo gli Usa, è riuscita a convincere India e Cina ad accettare che il futuro trattato sarà un testo con «valore di legge». Una soluzione trovata dopo una mediazione raggiunta tra i Big riuniti a circolo nel bel mezzo della sala.
Soddisfatta la Commissaria europea Connie Hedegaard: «La strategia dell’Unione Europea ha funzionato - ha detto l’Europa voleva più ambizione e ha ottenuto di più». Concorda il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, secondo cui «siamo usciti dal “cono d’ombra” della Cop di Copenhagen del 2009».
Molto critici, invece, gli ambientalisti. Per Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace, quello firmato «non è nulla più di un accordo volontario che fa perdere un decennio. Questo potrebbe portarci oltre la soglia di due gradi in cui si passa dal pericolo alla catastrofe potenziale». Per la responsabile Policy Clima ed Energia del Wwf Italia, Mariagrazia Midulla, «i governi hanno fatto il minimo indispensabile per portare avanti i negoziati». E per Oxfam Italia, Elisa Bacciotti afferma che «alle nazioni più povere e più vulnerabili Durban invia un messaggio di indifferenza». (Roberto Giovannini – www.lastampa.it)

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