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FATTI
E PERSONE
4 Italiani su 10 mai entrati in ristorante straniero
Ben quattro italiani su dieci non hanno mai messo piede in un ristorante
straniero (41 per cento) o acquistato per strada kebab, tacos, involtini
primavera o sushi da portare via (38 per cento). E’ quanto emerge
dall’indagine Coldiretti/Swg sulle nuove tendenze alimentari degli
italiani al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione
di Cernobbio, che evidenzia la presenza di uno “zoccolo duro”
di italiani che sfida la globalizzazione e mostra grande diffidenza verso
il cibo straniero. La percentuale dei diffidenti cresce peraltro notevolmente
se si considerano anche quanti solo raramente - sottolinea la Coldiretti
- hanno provato la cucina straniera per raggiungere il valore di ben il
71 per cento degli italiani per i ristoranti stranieri e del 64 per cento
per il take away. Nonostante la rapida diffusione degli esercizi commerciali
che offrono cibi etnici da consumare sul posto o da portare via - sottolinea
la Coldiretti - solo il 7 per cento degli italiani frequenta molto spesso
un take away straniero e il 5 per cento un ristorante straniero. Tutto
questo non pregiudica però la tolleranza degli italiani che per
oltre la metà sono comunque favorevoli alla presenza degli esercizi
alimentari stranieri nei centri storici, con una percentuale del 54 per
cento per i take away e del 51 per cento per i ristoranti.
La diffidenza sembra riguardare soprattutto la qualità degli alimenti
e porta a preferire il consumo di cibi italiani piu’ tradizionali
anche se - sottolinea la Coldiretti - gli effetti della globalizzazione
si sono fatti sentire sulle tavole nostrane, spesso all’insaputa
degli stessi italiani. A farne la spesa è ad esempio la pizza che
è considerata la piu’ valida alternativa al cibo straniero
che però, nella metà dei casi, è preparata nelle
25mila pizzerie nazionali con ingredienti importati dall’estero:
cagliate provenienti dall'est Europa invece della tradizionale mozzarella,
pomodoro cinese invece di quello nostrano, olio di oliva tunisino e spagnolo
e farina canadese o ucraina che sostituisce quella ottenuta dal grano
nazionale, all’insaputa dei consumatori. E la situazione è
analoga per l’altro piatto tipico delle trattorie nazionali come
gli spaghetti al pomodoro con il 60 per cento del grano duro utilizzato
per la pasta che arriva dall’estero mentre negli ultimi dieci anni
sono quadruplicate le importazioni di concentrato di pomodoro importato
dalla Cina (+272 %) che è diventato la prima voce delle importazioni
agroalimentari dal gigante asiatico con un quantitativo stimato per il
2010 di 100 milioni di chili.
Solo in alcuni casi, come ad esempio per le importazioni di ananas che
sono raddoppiate negli ultimi dieci anni, la globalizzazione in tavola
è stata il frutto di una scelta consapevole, mentre quasi sempre
è entrata “di nascosto” nel piatto degli italiani.
La Coldiretti stima che due fette di prosciutto su tre vendute come italiane
sono provenienti da maiali allevati all'estero, tre cartoni di latte a
lunga conservazione su quattro sono stranieri senza indicazione
in etichetta, oltre un terzo della pasta ottenuta da grano che non è
stato coltivato in Italia all'insaputa dei consumatori, e la metà
delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate straniere.
Una presenza che resta ignota ai consumatori perché nelle etichette
degli alimenti non è sempre obbligatorio indicare la provenienza.
Negli ultimi anni con la mobilitazione a favore della trasparenza dell'informazione,
la Coldiretti è riuscita a ottenere l'obbligo di indicare la provenienza
per carne bovina, ortofrutta fresca, uova, miele latte fresco, pollo,
passata di pomodoro, extravergine di oliva ma ancora molto resta da fare
con l’etichetta che è anonima per circa la metà della
spesa: dai formaggi ai salumi, dalla pasta ai succhi di frutta. Una notizia
positiva viene però dal Parlamento dove, dopo il via libera della
Camera, entro il 2010 dovrebbe essere approvata definitivamente la legge
che obbliga ad indicare in etichetta la provenienza di tutti gli alimenti
e vieta anche pratiche commerciali sleali nella presentazione degli alimenti
per quanto riguarda la reale origine geografica degli ingredienti utilizzati,
compresa la comunicazione commerciale che induce in errore il consumatore.
Niente più pubblicità al succo di arancia con le immagini
della Sicilia se viene utilizzato quello proveniente dal Brasile, come
purtroppo spesso avviene. (www.coldiretti.it)
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